Vivere sulla lama: odiarsi per poter odiare

gennaio 8, 2020 in Approfondimenti, Recensioni da Viola Allegri

Bobby Fisher

Bobby Fisher

Come ebreo a chi e a che cosa appartengo?

Ai miei vecchi che fuggirono da Hitler, cambiarono più paesi che scarpe – come scrisse Brecht – che mi educarono secondo la tradizione askenazita? Oppure al Paese in cui sono nato e vivo dove la religione dominante è diversa e rapidamente si estingue?

Due grandi ebrei configurarono il mondo di oggi: Einstein e Freud. Ma da sempre siamo ritenuti pericolosi da tutti i popoli della terra che ci hanno usati come responsabili di ogni problema, divisi, marchiati, accusati in modo indecente: endogamia e incesto, fragilità nervosa, brama di lucro e potere, deicidi, sodomia e tutte le abiezioni possibili che ci accompagnano da secoli: ghetti, insegne distintive sui vestiti, leggi speciali, pogrom, disprezzo, fino alla Shoà.

E ancora ci accompagneranno, secondo le statistiche sull’intolleranza nei Paesi europei: primi antisemiti gli ungheresi, secondi gli italiani che poi balzano in testa ai Paesi europei per altre intolleranze.

Il perturbante nel libro di Jacques Fux, Sulla follia ebraica, Giuntina 2019 è che vi furono ebrei, anche intellettuali, ad avvalorare le accuse al proprio popolo.

Freud nel periodo di amicizia con Fliess si convinse che esisteva una depravazione sessuale degli ebrei dipendente dalla salute del naso: era la loro nevrosi nasale riflessiva la patologia da curare. Anche i maschi ebrei avevano mestruazioni: una sporadica secrezione di sangue dal naso. Subito Freud ne somatizzò i sintomi. Scrisse a Fliess: mi sono improvvisamente bloccato per tre giorni (a distanza di 28 dagli altri) con fenomeni somatici identici, in particolare il sanguinamento del naso. Da ciò si deve concludere che le mestruazioni non favoriscono il lavoro.

 

Il libro è costruito su due linee che si intrecciano per arrivare al risultato ultimo: la prima si trova nei vari capitoli, tutti dedicati ad una personalità ebraica, in pagine brevissime, e riprende le accuse periodicamente scagliate contro gli ebrei; l’altra, estesa, narra la vita di alcuni ebrei che lasciarono nel mondo il segno di una sofferenza inestinguibile, un rovesciamento della realtà che li portò progressivamente alla follia e al suicidio.

Il merito dell’opera è aver indagato sottilmente e dimostrato con un discreto grado di attendibilità, come i pregiudizi riuscirono a scalfire anche grandi personalità creando in loro una spaccatura fra la tradizione, la ricercata e impossibile integrazione, la fuga in un ateismo di maniera, insomma un diventare marranos di castigliana memoria. Il più noto degli “indagati” è senz’altro Woody Allen.

Una storia per tutte, quella che amo perchè la più vicina ai miei interessi: qualche lettore ricorda Bobby Fischer ? Un americano, il più grande scacchista di ogni tempo, quello che in piena guerra fredda battè gli insuperabili maestri russi in questo “gioco”, che gioco non è, diventando campione del mondo nel 1972 in Islanda dopo uno scontro al meglio delle 12 partite col campione sovietico Boris Spasskij. Aveva 29 anni, da tempo aveva rinnegato la sua origine ebraica.

La sfida Fisher-Spasski

La sfida Fisher-Spasski

Fisher, privo di padre, madre medico che da anni viveva negli Stati Uniti facendo infimi mestieri, emigrata dalla Russia, fu oppresso dai fantasmi che portava dentro di sé e che esplosero alla vigilia del campionato mondiale: non voleva partecipare all’incontro che pure avveniva dopo un’accanita selezione, e prese l’ultimo volo utile per l’Islanda, sembra su pressante invito di Kissinger.

Non partecipò alla prima partita, chiese garanzie impossibili, come quella di un pompino da Brigitte Bardot, particolari controlli alla sala sostenendo che i russi avrebbero aiutato il loro campione; fu accontentato nel possibile.

Divenuto campione, osannato in America e coperto di soldi, abbandonò gli scacchi, ruppe i rapporti con sua madre, passò all’alcool, cedette alle manie che periodicamente lo sconvolgevano. Maturò un odio per l’America che lo portò ad esaltare la caduta delle torri gemelle e a scrivere una lettera: “Caro Signor Osama bin Laden (…) condivido il suo odio per lo stato bandito e assassino di Israele e per il suo patrocinatore gli Stati Uniti d’America” dominati dagli ebrei.

La vecchiaia di Bobby

La vecchiaia di Bobby

Le usanze e tradizioni ebraiche imparate da secoli sui libri sacri e nelle prediche dei rabbini, le accuse del passato e i problemi del dopoguerra, la necessità di adattarsi al Paese in cui ora vivevano (Paese che spesso li sfruttava, come nel caso della madre di Bobby Fisher) hanno finito per colpire e trasformare migliaia di persone dividendole schizofrenicamente tra il passato e il presente: sono ebreo o non lo sono? una lacerazione aggravata anche da divisioni intestine: chi era comunista, chi sionista, chi ortodosso. Fu una ferita insopportabile: a cosa appartengo? Di qui la trasformazione, la scelta di una vita che negava il passato, l’adesione (dopo la guerra) anche al nazismo.

La negazione del passato diventava possibile solo con l’odio verso se stessi. In modo diverso, i suicidi tra i sopravvissuti alla Shoà sono il triplo di quelli del resto della popolazione, l’angoscia, la disperazione, la follia che spinge alla morte.

Condividi: Email this to someoneShare on FacebookTweet about this on TwitterShare on Google+Pin on Pinterest