Viaggio terrestre e celeste di Mario Luzi
maggio 11, 2014 in Album fotografici, Letteratura da Pino Mongiello
Dalla foce alla sorgente attraversando le Crete senesi
“Quello è un paesaggio quasi ascetico. E’ un paesaggio dove non leggi la linea di demarcazione tra il finito e l’infinito. Sembra che il pensiero ti scorra e cerchi di sconfinare dal limite” – diceva Mario Luzi nella conversazione che tenni con lui nel febbraio 2000 (ne nacque poi un’intervista sulla Felicità, pubblicata da Vannini, Bs). E quando gli dissi che a me le Crete sembravano dolci e materne, subito mi fermò: “Nel Canto salutare uso la parola matria parlando di questo paesaggio morbido e rotondo che sa di maternità”.
Ogni volta che torno in quel mare di dune è, per me, come rientrare nel grembo della natura. Lo guardo con rispetto e stupore, e lascio che sia lui a mostrarmi i suoi tortuosi sentieri. Lo dico con l’occhio del viaggiatore, non con la mente di chi vi ha trascorso stagioni importanti della vita.
Mario Luzi che, fiorentino di nascita, ne aveva fatta la sua terra d’elezione, la racconta invece così: “La terra senza dolcezza d’alberi, la terra arida/ che rompe sotto Siena il suo mareggiare morto/ e incresta in lontananza/ (inganno o verità/ miraggio o evidenza -/ insidia a lungo la mente/ una tortura di dilemma)/ sperdute torri, sperdute rocche/ è un luogo non posseduto dal senso, una plaga diversa/ che lascia transitare i pensieri/ però non li trattiene, non opera come ricordo, ma come ansia./…….” (Al fuoco della controversia). La nostalgia è completamente bandita. Nelle parole del poeta prevale la vita come crogiolo.
Il bambino, che il padre portava con sé nei suoi viaggi in treno tra la Val d’Arbia e la Val d’Orcia, sedimentava nella memoria i luoghi, con nomi dalle strane assonanze, per cui egli potrà dire, giunto all’età senile, che da sempre, “in quelle terre grigie, prive di qualsiasi dolcezza d’alberi” ne aveva “colto un mistero di vita e di morte”. Vita e morte come sviluppo biologico, come corso naturale delle cose. Ma in Luzi si aggiunge un’altra consapevolezza o, meglio, un’altra attesa. Egli stesso dice di voler “comprendere quale pedaggio vi si dovesse assolvere per accedere alla perennità di vita che sempre e comunque vi si racchiude”. In quelle terre egli sperimentava una sorta di “mistero pasquale”: “la terra/ che ci s’era prima aperta/ nuda, secca/ di cenere e di calce,/ bruciata da una luce sua, la trova/ ora prativa/ ciascuno, e tenera/ in tutte le sue valli…” ( “I mesi della Terra di Siena”, a cura di C. Fini e L. Oliveto, Apt Siena, 2000).
La Terra di Siena non è solo retaggio di esperienze infantili. In quella terra, e nella città stessa di Siena, era venuta a formarsi la prima adolescenza di Luzi, età in cui comincia a manifestarsi e a modellarsi il carattere, in cui conta molto ciò che si vede e si vive. In un’intervista rilasciata a Paolo Di Stefano per il Corriere della Sera (10 agosto 1999) egli può allora dire: “A Siena mi trovai quasi immerso in una pagina celeste: quella città fu una rivelazione continua, rivelazione anche di un me che non conoscevo e che aspirava ad apprezzare, a godere, a glorificare l’arte o meglio qualcosa che produce non solo bellezza ma durata, una prospettiva di prolungamento e direi di eternità. Mi sembrò di stabilire un immediato colloquio tra me e le immagini della città, la sua architettura, il complesso urbanistico, le pitture antiche, vi colsi un nodo straordinario di esistenze e di solitudini. Scoprii quella tensione che è l’arte”.
Nel 1994 Mario Luzi pubblica il Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini, una raccolta di versi in cui si immagina che il grande pittore senese, sul finire dei suoi giorni, da Avignone torni nella città natale. Poco importa se la storia ci dice che Simone Martini morì in Provenza. In realtà si tratta di un viaggio della mente che è lo stesso Luzi a compiere, celandosi nel nome del pittore, immaginando l’approssimarsi della fine. Il suo è un viaggio di ritorno a quella città e a quella terra che sempre hanno costituito un fondamento illuminante per la sua poesia; è un ritorno alle origini, che gli consente di cogliere le valenze del paesaggio, le luci dei giorni, i silenzi delle notti, la voce del vento, le tracce del tramestio quotidiano e delle cadenze della storia, i segni delle architetture e i colori delle opere d’arte. Non sono emozioni quelle che Luzi cerca; con i suoi ragionamenti, mentre entra sempre più nel vivo dell’enigma che si annida nel mistero della vita e della morte, egli pone soprattutto interrogativi esistenziali.
Giunto quasi alla fine del viaggio, Simone Martini (Mario Luzi) immagina così la sua terra natale: “Terra ancora lontana, terra arida/ graffiata dalla tramontana/…Passano/ su di lei da borgo a borgo,/ ricorda, i mercanti in carovana/ e i pellegrini verso Roma./ Passano/ talora da castello/ a castello in solitudine/ sulle loro bardate/ cavalcature i capitani/ con la mente a Siena/ e al suo difficile governo. …” Sembra di veder scorrere, in questi versi, Guidoriccio da Fogliano, che Simone Martini immortalò nel Palazzo Pubblico di Siena.
Per dire tutto il suo amore a quella che fu la culla della sua formazione umana, culturale e spirituale, il pittore (poeta) alza lo sguardo: “Mi guarda Siena,/ mi guarda sempre/ dalla sua lontana altura/ o da quella del ricordo -/ come naufrago? -/ come transfuga?/ mi lancia incontro/ la corsa/ delle sue colline,/ mi sferra in petto quel vento,/…Siamo ancora/ io e lei, lei e io/ soli, deserti./ Per un più estremo amore? Certo.” Ma la fine è ormai prossima. L’ultimo abbraccio alla città tanto amata è stato breve. “Si ritira da me lei, mia città,/ e io da lei. Finito il tempo dato,/ l’amalgama perduto/ oppure fondono/ vissuto e non vissuto/ in quel celeste sovrumano tedio/ sempre atteso, sempre in agguato…”
Dopo Siena, “riemerge in lontane chiarità… (la) terra orciana”, e all’’artista morente non può che far cornice “il canto ancora/ e il grido di felicità/ del giorno…” finchè, a sera, “se ne va il giorno/ e l’uomo/ e la vita ch’è in loro,/ se ne va/ avendo e non avendo/ saputo qual è stata la sua parte…/ ma è stata – lei lo sa -. E’ stata/ e questo la fa piangere/ talora di grazia e di letizia.”