Viaggio in Armenia
luglio 8, 2015 in Album fotografici, Letteratura da Pino Mongiello
In Viaggio in Armenia (1930), di Osip Mandel’stam, ed. Adelphi, ho trovato il riscontro alle molte impressioni che mi si formavano nella mente quando, nel 2014, calpestavo quella terra pre-caucasica e ne scoprivo il paesaggio. Già negli anni Trenta lo scrittore scriveva: «Ovunque capitassi incontravo l’inflessibile volontà e la ferma mano del partito bolscevico. L’edificazione socialista sta diventando per l’Armenia una sorta di seconda natura». Per quel che mi riguarda, anche dopo lo scioglimento dell’Unione sovietica, dismesse ormai le fabbriche dell’industria pesante, ho potuto vedere quanto condizionante continui ad essere il rapporto di dipendenza economica dell’Armenia dalla Russia, se non altro per l’obbligo a rifornirsi del gas che la Grande Madre vi riversa attraverso le più astruse tubature, i cui impianti modificano e deturpano vergognosamente il suo paesaggio.
Di origine ebrea, Mandel’stam era nato a Varsavia (1891) ma la famiglia si trasferì ben presto a San Pietroburgo; nel 1911 si convertì alla fede cristiana metodista. Gli pareva così, forse, di sentirsi legato alle radici ellenistico-giudaico-cristiane dell’Occidente; e l’Armenia diventava per lui l’avamposto cristiano in Oriente. Col regime sovietico non ebbe buoni rapporti, tanto che egli fu internato più volte nei campi di rieducazione: in uno di questi campi, a Vladivostok, nel 1938 egli morì. Tra le pagine del libro che ho ricordato, è stato facile per me sottolineare qualche passaggio che la curatrice Serena Vitale ha scritto a commento dell’edizione. Eccone alcuni brani: «L’Armenia era davvero una cosa molto seria per Mandel’stam… Gli antichi legami dell’Armenia con la Grecia e con Roma gli sembravano garanzia di comunanza con la cultura europea… Mandel’stam studiò e raccolse i suoni aguzzi e gutturali della lingua armena, ammirò gli uomini i cui occhi sembravano trapanati direttamente nel cranio, le donne dalla leonina, semplice bellezza. Respirò a pieni polmoni la difficile aria storica di quella terra di confine, sempre assediata da vicini ostili e prepotenti, sovrastata dalle candide cime dell’Ararat».
L’Armenia non può dirsi una meta turistica tout-court. Non lo consente la sua posizione geografica che la vede, oggi, ridotta a un minuscolo territorio grande quanto la Lombardia: terra cristiana circondata e compressa da una fitta cintura di stati islamici.
Con la Turchia, in particolare, i rapporti rimangono assai logori e non c’è possibilità di comunicazione diretta. La grande vetta dell’Ararat, il monte armeno per eccellenza, guarda oggi l’Armenia da una terra straniera, per non dire nemica: la Turchia, appunto. Quella vetta è un mito, un sogno, una realtà che non può essere cancellata dallo sguardo degli Armeni; è un riferimento storico, culturale, religioso, diciamo pure identitario. Al turista occidentale che la visita, l’Armenia si fa incontro con grande dignità, con la consapevolezza di poter offrire pagine di storia che affondano le radici nella grandezza e nella sofferenza, nonché nella sete di giustizia. Percorrere l’Armenia oggi è come scoprire le tracce dell’antica via della seta, sentire gli echi delle prime predicazioni cristiane degli apostoli Bartolomeo e Taddeo, comprendere l’ineluttabilità di una scelta culturale e religiosa compiuta, prima ancora che Costantino stabilisse il Cristianesimo religione dell’impero, da un popolo e dai suoi governanti, grazie al forte carisma di Gregorio l’Illuminatore, quello che a Napoli è conosciuto come san Gregorio Armeno.
L’Armenia, «regno di pietre urlanti», va guardata con rispetto. Gli italiani vi sono benvenuti, ed anche amati. Ad Erevan, vicino a corso Italia, ci sta pure via Tonino Guerra. Durante il mio soggiorno nella capitale, il teatro dell’Opera aveva in cartellone un melodramma di Puccini. La prima cosa che la guida turistica ci mostrò fu la Biblioteca nazionale. La seconda: il mausoleo dello sterminio. Due cose che si legano e lasciano un segno profondo, anzi indelebile, sull’identità degli Armeni.