Venezia71: C’era una volta “io sto con la sposa”
ottobre 16, 2014 in Cinema, Nuovi cittadini da Elisa Masneri
Io sto con la sposa è un film da vedere, anche solo per poterlo raccontare un giorno ai nostri figli o nipoti. Perché non è solo il racconto in presa diretta dei quattro giorni di viaggio, da Milano a Stoccolma, di cinque clandestini sbarcati a Lampedusa che si inventano un finto matrimonio. È soprattutto un’azione politica, la più forte ed efficace fatta fin’ora, che obbliga tutti a fare i conti con delle questioni che l’Unione Europea si ostina a non voler considerare: il diritto alla mobilità, il diritto di fuga e di accoglienza, il rispetto dei diritti umani dei migranti, il diritto di asilo.
Ho voluto immaginare un futuro senza guerre..o almeno senza frontiere. Perché, nonostante le paure xenofobe, la Bossi-Fini, il razzismo e l’ignoranza, la società è già multietnica adesso, e lo sarà sempre di più. Alcuni processi sono irreversibili e non si possono fermare in nessun modo, perciò leghisti, mettetevi il cuore in pace! Si pensi al rap, genere afroamericano per eccellenza: in questo film è fatto dal giovane siriano Manar, che urla la sua rabbia e la sua speranza di un futuro lontano dalla guerra.
Ho immaginato di raccontare ad un figlio o nipote del futuro l’odissea di Manar, Alaa, Mona e di tutte le vittime senza nome che custodisce il mare.
Andrebbe più o meno in questo modo: “Sai piccolo, quando io ero giovane, nel mondo c’erano tante guerre, tante persone soffrivano la fame e la sete, tanti bambini come te non andavano a scuola e passavano le loro giornate a giocare tra le case distrutte. I genitori di questi bambini volevano che i loro figli crescessero senza sentire il sibilo dei proiettili e il fragore delle bombe, volevano ricominciare la loro vita in un paese lontano dalla guerra, per dare ai loro figli la possibilità di essere dei bambini felici come tutti gli altri.
Nel 2013 quasi 43 mila persone hanno pagato, con i loro ultimi risparmi, un minimo di mille euro per assicurarsi un posto su un gommone o una piccola nave malmessa. Erano giovani coppie, famiglie con bambini, ragazzi che non volevano combattere, uomini che lasciavano i figli e le mogli con la speranza di riabbracciarli in Europa. Partivano dalla Somalia, dal Niger, dall’Etiopia, dall’Egitto, dalla Tunisia, dalla Siria e da tante altre terre, martoriate da vecchie e nuove guerre. Lasciavano la loro casa e camminavano per giorni. Arrivavano fino in Libia, a Tripoli o a Bengasi oppure in Algeria. Vedendo le condizioni dei barconi alcuni non avrebbero più voluto partire, ma avevano pagato caro quel viaggio e allora tutti salivano, viaggiavano stretti e scomodi per giorni, senza bere e senza mangiare. Alcuni non resistevano e si addormentavano per sempre.
Dopo giorni di mare e buio, finalmente Lampedusa iniziava a comparire in lontananza. Si ringraziava Allah mentre la piccola isola siciliana si faceva sempre più vicina. Spesso gli scafisti frustavano i passeggeri per farli scendere dal barcone prima di aver toccato terra, a pochi metri dalla riva: in tanti però non avevano mai visto il mare e non sapevano nuotare. Il nostro mare custodisce e culla per sempre i più di 6 mila corpi di chi non ce l’ha fatta.
A Lampedusa le difficoltà non erano finite, anzi: i migranti venivano rimbalzati da un centro di accoglienza ad un altro e, come le pedine di un gioco in scatola, dovevano imparare a cavarsela con la burocrazia, le leggi razziste e l’Unione Europea, che permette alle merci, ma non alle persone, di circolare liberamente. Era un grande caos e spesso i migranti venivano rispediti, come se fossero dei pacchi ingombranti, proprio nella terra dalla quale erano scappati rischiando la vita. Nessuno in Europa sembrava volersi occupare del problema, come se bastasse ignorarlo per risolverlo.
Tante persone invece, nel loro piccolo, si davano da fare per aiutare i migranti, senza avere nulla in cambio.
Un giorno, a Milano, un poeta palestinese siriano e un giornalista italiano incontrano cinque migranti sbarcati a Lampedusa: sono palestinesi e siriani, sono scappati dalla guerra e vogliono arrivare in Svezia, dove richiederanno asilo politico. È un viaggio lungo e pericoloso, loro sono clandestini. I due decidono di aiutarli e, rischiando 15 anni di carcere, organizzano un viaggio di quattro giorni e tremila chilometri. Per non destare sospetti, decidono di inscenare un finto matrimonio, con annesso finto corteo nuziale. Attraversano l’Italia, la Francia, la Germania e la Danimarca. Il loro è un viaggio magico, sai? Il legame che unisce i protagonisti di quest’impresa è speciale, si vede dai loro occhi che stanno compiendo qualcosa di grande, di mai fatto prima.
Di questo viaggio hanno deciso di farne un film: anche questo è un azzardo, sai quanti soldi ci vogliono per produrre un film?! Ma loro non erano soli in quest’avventura, hanno fatto appassionare tante persone al loro progetto e più di 2 mila persone hanno donato e quindi co-prodotto Io sto con la sposa. La magia continua: la pellicola viene presentato fuori concorso alla Mostra del cinema di Venezia e riceve 20 minuti di applausi. All’uscita nelle sale, questo piccolo film deve combattere contro le grandi produzioni di Hollywood e contro un sistema di distribuzione ingiusto e sfavorevole, ma incredibilmente vince ed è record di incassi! Più di 10 mila persone in quattro giorni scelgono di immaginare un’Europa migliore con un piccolo film indipendente, diretto da tre giovani registi, senza volti noti, senza scene di sesso, senza scandali né polemiche.
È un risultato meritato ed entusiasmante, che dà una scossa al cinema italiano, in coma da troppo tempo. Dà una scossa agli spettatori italiani, che, dopo aver visto questo film, sicuramente stanno con la sposa. Il film esce dall’Italia, viene accolto con calore e partecipazione nei festival di tutta Europa. Qualcosa inizia a cambiare, è inevitabile. Anche le istituzioni si accorgono di questo eccezionale documento, che dà la scossa anche a loro. Ecco, diciamo che se oggi tu sei abituato a vivere in una società senza guerra e senza frontiere, un pochino di merito va anche a chi ha passato la vita a lottare per quelle che oggi ti sembrano banalità, ma che quando io ero giovane sembravano utopie”.
Ok, sul finale mi sono fatta prendere un po’ la mano, lo ammetto, ma tutto il resto è reale. Il successo di questo piccolo gioiellino autoprodotto è già storia. Avanti così! Siamo tutti con la sposa!