Una criminologia patrimonio di tutti. Leggendo “Introduzione alla criminologia” di Isabella Merzagora
luglio 6, 2023 in Approfondimenti, Recensioni da Marco Castelli
La pubblicazione d’un nuovo manuale è sempre testimonianza d’uno studio giunto ad un punto di solidità tale da poter essere offerto a studenti e studiosi quale base di percorsi formativi e di nuove ricerche. Tuttavia, la pubblicazione di Introduzione alla criminologia di Isabella Merzagora, ed. Cortina, professoressa di Criminologia presso l’Università degli Studi di Milano [e già presente sulle pagine del Gruppo 2009: http://www.gruppo2009.it/razzismo-e-criminalita/], trae con sé ulteriori elementi d’interesse, tanto per la materia quanto per il modo di affrontarla e per lo stile impiegato.
Anzitutto la materia, la criminologia, scienza preposta alle domande relativa ai “perché” e ai “come” dei fenomeni criminali e di criminogenesi. Una disciplina formalizzatasi relativamente di recente – è figlia del positivismo Ottocentesco – e di difficile collocazione istituzionale – afferendo, secondo le categorie ministeriali, all’area medica e non a quella giuridica, pur essendo proposta in diversi percorsi di studio. Una disciplina che tuttavia, forse per la fama dei “criminologi forensi”, invitati nei talk-show in concomitanza con celebri casi di cronaca nera, è conosciuta anche dai non specialisti, seppur spesso senza elementi di riferimento ma per conoscenze “da sentito dire”.
Medici, psicologi, giuristi, opinionisti, etc. … un’identità “professionale” sfaccettata, per cui è ancora più rilevante l’impegno ad una riduzione ad unità, come è necessario fare per la stesura di un manuale!
Di questa “poliedricità del criminalista” Isabella Merzagora ha piena coscienza e, anzi, in un certo senso ne è rappresentante, con i suoi insegnamenti offerti in diversi corsi di laurea (medicina, giurisprudenza, professioni sanitarie, etc.) e con un vissuto personale non lontano dalla “pratica” e dalla consulenza agli organi legislativi.
La criminologia, quindi, scienza multidisciplinare, che richiede conoscenze diversificate, ma anche scienza interdisciplinare, nel senso che ha la necessità di dialogare con altre scienze. Una scienza autonoma, per la cui definizione, oltre alle contaminazioni, è importante chiarire i confini, e quindi sottolineare che le categorie psichiatriche e quelle criminologiche non si sovrappongono, al punto che anche nel momento pratico dell’analisi clinica si procede per un’addizione di competenze e non per una confusione tra le stesse: Il contenuto dell’accertamento è psicopatologico, la metodologia è medico-legale.
Questa poliedricità rappresenta una ricchezza per la disciplina ma al contempo può lasciare non pochi dubbi nella penna d’un Autore: come accettare le difficoltà comunicative nell’uso di vari linguaggi? Esplicitare ogni volta il tipo di analisi affrontato, allungandosi con il chiarimento di teorie proprie delle scienze “vicine”, col rischio di risultare estremamente prolissi? Ridurre le spiegazioni ad un solo punto di vista che sia del medico-legale, dello psicologo, del giurista?
La risposta ai quesiti proposta dall’Autrice è tranchant ma estremamente efficace: partire dai fatti.
La professoressa Merzagora procede per problemi e dalle domande d’indagine fa nascere le teorie. La scelta è quella di partire dal caso, caso come luogo in cui si intersecano le diverse prospettive e per l’analisi del quale sono necessari i diversi saperi specialistici. Il “caso”, inoltre, come tema di riflessione per la nascita delle teorie, che non vengono quindi espresse apoditticamente o recitate ex cathedra, ma sempre “calate in contesto”.
La differenza d’impostazione è chiara sin dall’indice. Non si trovano elencati capitoli di “storia”; “teorie”, “casi clinici”, etc., ma macro-temi quali l’omicidio, reato archetipico ma rapidamente declinato sulla drammatica tematica del “femminicidio”, sino ad arrivare alle questioni legate all’uso dei social media, alla pandemia da COVID19 ed alla criminologia nello sport. Capitoli nei quali i temi si trovano analizzati nel dettaglio, ed i casi di attualità spesso tratti dalle cronache si trovano analizzati in termini tecnici, con l’apertura anche a categorie ed a fenomeni poco conosciuti, dall’abuso degli anziani al dramma medico delle “scelte tragiche”, dagli “omocidi” al concetto di “human criminology”.
L’esperienza pluriforme dell’Autrice si riflette non solo nella trattazione degli argomenti ma anche nello stile generale del volume. Così il dibattito serrato tra le argomentazioni ricalca il dibattimento forense, gli stralci di perizie riportano il tema dell’indagine scientifica, la spiegazione delle statistiche non parte dai grafici ma dal modo di formulare le domande di ricerca in un questionario. È uno stile ed un procedere che valorizza la grande esperienza dell’Autrice – esperienza professionale e d’insegnamento – che le ha consentito di padroneggiare diversi “lessici” specialistici senza che divenissero “gabbie concettuali”.
In generale, la scrittura “fresca”, aiutata da note a piè di pagina minime ma che forniscono i riferimenti bibliografici necessari per approfondire gli argomenti trattati, è un enorme pregio del volume.
Il racconto delle vicende criminali consente tuttavia di andare oltre i singoli eventi e di presentare, certo, i contenuti istituzionali della materia, ma anche di descrivere la percezione dei fatti ed interrogarsi sugli individui che li compiono.
La percezione, ad esempio, che porta ad interrogarsi sulla sempre aumentata sensazione di pericolo e di violenza, la quale tuttavia si scontra con le statistiche che mettono chiaramente in luce una continua riduzione dei reati violenti nel Paese. La contraddizione si risolve rilevando che non è tanto la quantità reale di violenza che colpisce, bensì la “quantità relativa”, relativa cioè alla nostra maggiore pretesa di incolumità. Inoltre, a differenza di quanto accadeva in passato, noi oggi grazie ai mezzi di comunicazione siamo informati e assistiamo alla violenza dell’intero villaggio globale; ogni episodio, anche di omicidio, ci viene ammannito ripetutamente nel corso della giornata, e di ognuno di questi fatti si ha notizia più volte: al momento della scoperta, poi quando viene individuato un sospetto autore, e poi ancora quando sono celebrati i processi. Il fatto è uno solo, ma l’impressione che se ne ricava è multipla.
Ed infine l’attenzione all’individuo criminale, che porta l’Autrice a dichiarare il proprio modello antropologico di riferimento, quello che presuppone una “libertà morale condizionata”, che non è una libertà assoluta, bensì uno spazio di manovra limitato dalla nostra eredità biologica, dal luogo e dal tempo in cui ci siamo trovati a nascere, dalle esperienze familiari, dalla banda criminale a cui abbiamo voluto aggregarci, o dall’associazione differenziale a cui siamo stato esposti, insomma: uno spazio di manovra limitato dalla nostra storia, ma nostra in quanto in gran parte costruita da noi.
In un mondo sempre più dominato dalla tecnica ed in cui si è diffuso un approccio fideistico nei confronti delle scienze, un passaggio merita di essere riportato per esteso: tutte le spiegazioni avanzate in chiave biologica possono illustrare la genesi dell’aggressività, che però è cosa diversa dal crimine, non solo perché esistono crimini non dovuti all’espressione dell’aggressività – basti pensare per esempio all’assurdo di imputare ad anomalie neurologiche reati come la bancarotta fraudolenta o le truffe informatiche –, ma soprattutto perché la parola crimine non designa un fenomeno naturale, ma è una qualificazione culturalmente data a un comportamento, sicché una spiegazione in chiave biologica costituisce un indebito trapasso da sfere epistemologiche diverse.
Madame de Staël ricordava che “comprendere è perdonare”, ma è questa una forma d’indulgenza in cui l’Autrice non scade. I fenomeni vengono contestualizzati, ma mai per questo relativizzati. La narrazione ed il dibattito pubblico entrano nel discorso nella loro capacità di incidere sulla percezione sociale dei fenomeni, senza mai sminuirne i fenomeni criminologici.
L’Autrice inoltre non nasconde le sue prese di posizione, elemento da cui emerge la forte autorialità del testo. Ad esempio, nella critica della diffusione di armi “per la difesa domestica” oppure, per entrare nell’attualità pandemica, con la dimostrazione di come nello stabilire regole per contenere il contagio sia meglio appellarsi all’altruismo dei cittadini che non puntare sulle sanzioni, il che forse apparirebbe controintuitivo se non fosse sostenuto da un lineare discorso scientifico.
In conclusione, si può quindi aggiungere un ulteriore elemento di cui la pubblicazione d’un nuovo manuale può farsi testimonianza, e cioè d’uno spazio di dialogo tra i lettori e l’Autore. È purtroppo infrequente che un testo accademico sappia trasmettere la “voce” dell’Autore e che, senza perdere la scientificità, sappia presentarsi come un prontuario, bussola tanto per gli studenti quanto per i neofiti della materia. È tuttavia auspicabile che a ciò tenta la manualistica universitaria, in una missione che può essere confortata da esempi di successo, tra i quali non ultimo il volume in commento.
di Marco Castelli