Una bicicletta per Vittoria
aprile 13, 2016 in Racconti e poesie da Milena Del Vecchio
Molte volte ci chiediamo cosa sia la felicità.
La cerchiamo ovunque, la rivestiamo di porpora e di cremisi; la demonizziamo rendendola incapace di prender forma; la troviamo nell’effimero volteggiare di abiti di tulle e mussola; la mascheriamo con pesanti trucchi a colori vivaci; la oscuriamo tristemente e di lei, non resta che un ricordo fugace, incerto, vago.
La felicità è qui, accanto a noi, ricalca i nostri passi, a braccetto con l’ombra del corpo che si disegna sull’asfalto assolato o fra le orme nella neve.
Ha l’odore di buono e di oggi, non di un domani lontano, nella distanza indefinita, nel mare increspato di viola.
La felicità è un puzzle dai mille colori e sfumature, le une dentro le altre, compenetranti di gioia e dolore; fiorisce l’un nell’altra pienezza alla ricerca della quiete, di un posto dove sostare il capo stanco.
Oggi, da madre, è questa la mia felicità: guardare mia figlia, Vittoria, salire su una bicicletta e con la schiena ben dritta impegnarsi sino allo spasimo per pedalare, spinta dalla voglia di andare lontano, lei, che fino ad ieri veniva portata col passeggino o, a piedi, per brevi tratti.
Ammirare la gioia nei suoi occhi, luce viva e splendente che rischiara il buio della paura e dell’incertezza, che squarcia i veli della malattia ed osa osare perché la vita è un gioco divertente, spiritoso da cui non bisogna lasciarsi soggiogare; sentire il battito del suo cuore che accelera sino a divenire tonante quando si rende conto che è in grado di… capace di… autoaffermazione ed autostima.
Felicità è sentire la sua mano che cerca la mia per paura di cadere; gioia nello stringerla forte e starle accanto.
Nessuno, mai, in nessun tempo o luogo potrà rubare questa bella, audace, frizzante felicità: né il sonno o la stanchezza; né il tempo o lo spazio; né l’oggi o il domani.
A distanza di anni, quando tutti, medici e specialisti, mi dicevano che la vita di Vittoria sarebbe stata molto incerta, a livello motorio e cognitivo, mentre le lagrime sgorgavano a fiotti, copiose, e scendevano nelle valli oscure dell’anima, irrorando l’arido terreno, col tempo nacque la speranza e l’amore, la certezza che tutto era dono e per questo meritava di esser accudito e custodito gelosamente, nutrito.
Se allora avessi ascoltato i dottori della scienza, mai avrei assaporato il gusto ed il piacere di vedere la mia piccola esultare e gioire, sussultare e guizzare per ogni nuova conquista.
Il Signore è il suo pastore, non manca di nulla, per pascoli erbosi la conduce, la rinfranca, la protegge e la guida.
Nonostante tutto e sopra ogni cosa, Dio ha voluto che pur nella malattia e nella tribolazione ci fossero sprazzi di luce e di serenità.
Ora dorme, quieta, è talmente bella che sembra irreale.
La sfioro con una lieve carezza.
Chissà, forse, starà sognando la bicicletta, un prato, una lunga strada da percorrere; il sole che rischiara il cammino; il mare blu come i suoi occhi…
MI CHIEDO: “Ma io non ho pensato, ho sentito?
E, ad occhi chiusi, mi sono ritrovato?”
Remedello, 02/11/2010