Un vagabondo a Berlino
marzo 3, 2022 in Approfondimenti, Recensioni da Mario Baldoli
Il libro di Gian Piero Piretto Vagabondare a Berlino, itinerari eccentrici tra presente e passato (illustrazioni di Emanuele Fior), ed. Raffaello Cortina recupera una categoria dello spirito consunta dal turismo “mordi e fuggi” che sembra essere l’unico modo di agitarsi nel mondo. Nel giro vorticoso di chi in tre giorni ha “fatto” la Francia e in un giorno Istanbul, emerge qui un superstite del passato: il flâneur o, in misura più modesta, chi almeno vuol vivere qualche giorno intensamente e senza trascinarsi il trolley, la vita di un pezzo di città, curioso di leggerne lo spirito.
Siamo con questo libro lontano da quelli che promettono “Roma sconosciuta” o Atene in gruppo al seguito della bandierina di un “competente” studioso. Siamo nel territorio dello sguardo, del mettersi le gambe in spalla. E nell’essere da soli. Il libro consente anche l’essere in due, ma come flâneur sono convinto che si deve essere soli.
Muoversi senza fretta, girare senza ansia, infilarsi nell’avventura, svoltare a un angolo, ma che c’è dietro l’angolo? Scantonare, ecco cosa ci piace fare, ha scritto Marco Lodoli in Isole.
C’è qualcosa che sfugge alle mappe, una minuscola meraviglia. Forse solo una coppia su una panchina e quattro ragazzi che vociano. Magari un lacerto di archeologia industriale. E tuttavia Vagabondare per Berlino non esige camminare la città intera per la quale sarebbe necessario qualche mese. L’autore lo sa bene, quindi il libro è diviso in ampi spazi, non geometrici quartieri. Di ogni luogo (palazzo, monumento, mercato) avverte che metropolitana e tram prendere, dà informazioni e suggerimenti, aprendo strade diverse. Coerentemente: cavatevela da soli.
Qualche informazione sul passato di un luogo e su come il presente può renderlo orribile è il Checkpoint Charly, il sito di transito tra il settore americano (quartiere di Kreuzberg) e quello sovietico (quartiere di Mitte), carico di un passato di orrore, ora ricostruito come un parco a tema. Una volta era una baracca, per sottolineare in piena guerra fredda, la precarietà di quel confine, ora ospita finti soldati in divisa con in capo berretti delle ex potenze occupanti e saluto militare. Sono attori forniti da un’agenzia teatrale, lavorano a rotazione e chiedono quattro euro per foto, in cambio mettono firme sul passaporto e fanno selfie. Intorno bar, negozi di souvenir e cartoline, empori, bazar, cartelli pubblicitari giocano con la memoria dei traumi passati, annegano la ferocia della storia.
Qui il nostro “mordi e fuggi” si convince di aver visto Berlino. Invece il flâneur che non segue neppure le tracce vagabonde di questo libro, svolta per il cuore del Mitte e trova blocchi rettangolari di case di 5-6 piani con cortili comunicanti, ora in parte demoliti. Siamo nei vecchi quartieri operai, ampiamente demoliti dalla guerra, dov’erano accatastati proletari e sottoproletari, con allegata sporcizia e sovraffollamento causa di epidemie, tubercolosi, sifilide. Casermoni come ultimi “castelli feudali”. Dominante è il Mayer Hof, il cui insediamento più antico risale al 1875. Un’occhiata dall’esterno mostra delle gallerie in bella fila. L’illustratore di quella realtà fu Heinrich Zille. Un suo museo si trova vicino ad Alexander Platz con un bel monumento che lo mostra, sigaro in bocca, nell’atto di fissare sul foglio una scena, mentre un ragazzo guarda da dietro il formarsi del disegno.
Da lì si può raggiungere il quartiere di Wedding dove cinque di quei cortili comunicanti sono ora occupati da atelier artistici, laboratori artigianali e appartamenti.
Svago ancora nel Mitte, dove visse il piccolo Walter Benjamin, quartiere segnato ora dalla Chiesa della Memoria, tronconi bombardati e lasciati a ricordo della violenza bellica e mi sposto al nuovo Western, il nuovo Ovest, nel cui parco giovani nudi si abbronzano mentre vicino passano arabe in burka. Il Western è diventato zona del consumismo, là si può ascoltare la poesia che Nina Hagen scrisse nel 1978:
Nel cesso delle donne alla stazione dello zoo
nel cesso delle donne alla stazione dello zoo
ho molta fame, tesoro,
i tuoi capelli castani sono una meraviglia,
il tuo reggicalze è pazzesco.
Ci sono poi le centinaia di bancarelle dei mercati esotici, com’è ovvio: arabi, turchi, polacchi, tailandesi. In quest’ultimo è da assaggiare il piatto con gli insetti debitamente cucinati e una papaya salad miscelata in un grande mortaio, con possibile aggiunta di peperoncino, un piacere degli occhi oltre che del palato.
Ma anche per chi non ama gli insetti, è l’ora di caffè e torta, quindi si va al più vicino cimitero nel quale, senza imbarazzo, amici e parenti celebrano in un ristorante il banchetto funebre tra giochi per bambini, picnic di amici, negozi di fiori, grandi alberi e, all’aperto, piccoli topi di campagna. Il dolore non è assente, ma rifiuta retorica e convenzionalità artefatta, è qualcosa di autentico e quotidiano. Abitare con finestre sul cimitero è gradevole, arioso, consapevole.
Nel cimitero di Friedenau c’è la tomba di Marlene Dietrich, la grande attrice antinazista che sostenne con le sue esibizioni le truppe americane in nord Africa e in Europa, vi è scritto: Io sto qui al confine dei miei giorni.
Ho passato un Natale a Berlino: migliaia di persone alla porta di Brandeburgo, centinaia di gabinetti ben allineati, scoppi e mortaretti più potenti che in qualunque città d’Italia, ancora all’alba, in periferia gente sui tetti, quanti feriti ci siano stati, non so. Alla partenza mi soffia nella testa una poesia di von Pinelli e Ralph Siegel:
Ho ancora una valigia a Berlino
Ecco perché devo tornarci presto
I momenti felici dei tempi andati
Stanno ancora nella mia valigetta.
di Mario Baldoli