Sciascia, dal delitto della contessa all’Affaire Moro
marzo 8, 2015 in Letteratura da Mario Baldoli
Totomodo, la rivista internazionale di studi sciasciani. edita da Olschki, dedica buona parte del quarto volume all’analisi del romanzo (o saggio) 1912+1. Dubbio normale – romanzo o saggio – per la costante e appassionata fusione di Sciascia tra i due generi.
Dal punto di vista del romanzo, 1912+1 è la cronaca di un delitto avvenuto nell’agosto del 1913: la contessa Tiepolo, che poi contessa divenne solo nei giornali del tempo, aveva ucciso in casa propria l’attendente del marito, capitano dei bersaglieri. Evidente e da lei ammesso che aveva sparato all’attendente, occorreva capire perché. Per “difendere il suo onore”? In tal caso andava assolta, anche se l’assoluzione sarebbe stata una discreta novità, dato che la pratica giurisprudenza si scostava poco dalla vis grata puellis.
Il processo, minuziosamente e mediaticamente seguito, ricostruito con acribia da Sciascia, mise in campo 140 testimoni, mostrando prove abbastanza evidenti dell’adulterio di lei, ma non chiarendo perché aveva ucciso l’attendente. Di mezzo c’era anche un aborto, alla cui spiegazione non contribuirono le perizie, tra loro contraddittorie. Era il figlio della colpa? L’aborto fu spontaneo o voluto? Per quali motivi la bellissima contessa aveva ucciso? Forse l’attendente, donnaiolo incallito, avanzava qualche pretesa?
Il marito era altrove e non fu nemmeno interrogato, anche se ne venne in chiaro che non aveva incontri sessuali con la moglie.
Dentro il romanzo esiste però anche il saggio storico-filosofico. Sciascia evoca il momento: la gloria militare per la conquista di Libia (1911) e il patto Gentiloni (1913) (da cui il titolo del libro). Il patto permetteva ai cattolici di ritornare alla politica. Insieme essi furono la micidiale miscela per cui né l’esercito né la buona borghesia cattolica andavano toccati. Sciascia va oltre: il patto Gentiloni è per lui la nascita del sistema compromissorio che decise da allora la politica italiana, quindi la corruzione e l’adattarsi, quasi fosse normale, a decidere in base all’opportunità del momento. Cioè in base alle volontà della Chiesa, dato che al tempo suo, fu per decenni al potere la Democrazia cristiana. Una compromissione di cui era stato esempio il Concordato tra Chiesa e fascismo, concordato entrato poi nella Costituzione; infine il compromesso storico tra Andreotti e Berlinguer. Potremmo aggiungere un vertice allora non ancora raggiunto: le grandi intese.
Su 1912+1 intervengono in Totomodo 11 studiosi. Tra loro cito Gabriele Fichera che analizza il misto di finzione-realtà che è il metodo con cui Sciascia si avvicina alla conoscenza della verità, alla confluenza tra i due poli di attrazione. La visione del mondo sottesa è ciò che Pirandello avrebbe definito una “scrupolosa fantasia”.
Ivan Pupo sottolinea che in 1912+1 le digressioni, le parentesi sono squarci d’epoca, incursioni nella storia e nel costume della Belle Epoque. Quello di Sciascia è uno sguardo continuo, ciò che Savinio definìva “deambulare”.
Ne L’affaire Moro, Sciascia chiarisce in modo definitivo il suo universo: Nel farsi di ogni avvenimento, che poi grandemente si configura c’è un concorso di minuti avvenimenti, tanto minuti da essere a volte impercettibili, che in un moto di attrazione e aggregazione corrono verso un nuovo campo magnetico in cui prendono forma:, e sono, insieme, il grande avvenimento appunto. In questa forma, nella forma che insieme assumono, nessun minimo avvenimento, nessun minuto avvenimento è accidentale, incidentale, fortuito: le parti, sia pure molecolari, trovano necessità, ovvero la presenza di cose assenti, un procedimento usato anche da grandissimi, come Tolstoj.
L’Affaire Moro è trattato in una tavola rotonda da Guido Vitiello, Bruno Pischedda, Miguel Gotor e Massimo Bordin. L’incontro chiarisce che Sciascia non ha mai detto la nota frase “Né con lo Stato né con le Brigate Rosse”. Tuttavia la sua disaffezione allo Stato era radicata nella vocazione della nostra politica al compromesso. Un saggio, quello su Moro, scritto a tambur battente, pochi mesi dopo il delitto, quindi con suggestioni e limiti.
Sciascia fu attratto immediatamente, data la sua poetica, dall’idea che Moro con le sue lettere avesse lanciato messaggi cifrati, criptici. Tesi oggi non sostenibile. Definì Moro uno statista senza senso dello Stato, caratteristica del suo partito.
Un grande studioso sciasciano, di cui si ricorda qui la morte, Claude Amboise, facendo riferimento ad Heidegger, ricorda che l’uomo è un essere per l’assassinio. Il delitto dà vari sensi al romanzo di Sciascia, ma il meccanismo interiore del delitto sfugge anche a chi lo compie così che il racconto del delitto è sempre immaginario.
I saggi di Gabriele Rigola e Anita Angeloni ci fanno entrare nei film tratti dall’opera di Sciascia, quest’ultimo intervento è centrato sul ruolo di Gian Maria Volonté nell’interpretare sullo schermo l’intellettuale, protagonista privilegiato nella narrativa di Sciascia.
Altri quattro temi suggestivi emergono dai saggi di Totomodo, temi tutti da approfondire prossimamente.
1) Sciascia bibliofilo, di Andrea Kerbaker. Un raccoglitore non solo di libri di lettura, ma anche di opere in edizioni originali, a tiratura limitata, stampate in carte selezionate con inchiostri prestigiosi.
2) La sua vicinanza ai romanzi di Luisa Adorno (romanzi che aiutò a pubblicare) e il dono che lei gli faceva ogni anno di un’acquaforte (disegni di cui – come dei libri – era collezionista). Dono da lei chiamato simpaticamente “scambio di figurine”. Il saggio è di Elisabetta Becchereti.
3) Una sorpresa: Sciascia che scrive, in modo sempre critico, su giornali democristiani dal 1947 al 1951: “un repertorio bibliografico” qui presentato da Domenico Scarpa, e un’area ancora tutta da studiare.
4) Infine il successo dei suoi libri all’estero, persino nel mondo cinese, di cui scrivono Rosa Lombardi, Lu Tonglu e Lu Jing.
Il volume mostra che sono ancora molti gli aspetti della vita e della poetica di Sciascia da approfondire, che il suo genio si apre sempre a nuove scoperte.