Schiavi della rete
gennaio 19, 2015 in Approfondimenti, Grammatica studentesca della fantasia da Federico Piubelli
Avere tutta la conoscenza del mondo in tasca, a portata di mano, è una grande responsabilità. Averla e non usarla è una grave forma di delitto. L’avvento dello smartphone e di tutta la galassia delle applicazioni cui esso si presta doveva essere il gradino che l’umanità avrebbe scalato per avvicinarsi a una nuova forma di società: più unita e uniforme, più colta e più giusta.
Purtroppo l’uso che viene fatto di questi strumenti si rivela di giorno in giorno più errato, con l’aiuto delle nuove forme di aggregazione di massa: le piattaforme sociali (Facebook, Twitter, ecc.), in cui l’individuo dà sfoggio di sé e della sua vita, con la speranza di essere accettato dalla comunità, ma rivelando purtroppo molto spesso un ego ipertrofico e un gran senso di solitudine.
Non a caso, l’accettazione sociale si rivela quasi sempre condizione necessaria per la serenità quotidiana, tant’è che spesso sui giornali balzano all’occhio casi di suicidio a causa del bullismo telematico. Il pericolo più grande – e vero riflesso del cambiamento antropologico del terzo millennio – è la solitudine in cui l’individuo è immerso, quando attraverso lo smartphone osserva le vite “perfette” dei suoi “amici”, e la dilatazione delle distanze interpersonali è il frutto di questo cambiamento.
Dal punto di vista delle relazioni, la società viene disgregata in una complessa moltitudine di profili di eguale importanza ma nessuno spessore, mentre sotto alcuni aspetti si possono evidenziare elementi positivi in questa rivoluzione, cioè l’estrema contrazione delle distanze fino al loro graduale annullamento. Grazie a telefoni di ultima generazione è possibile vedere chiunque ci interessi a qualsiasi latitudine e in qualsiasi momento, rendendo la vita di molte persone più semplice. Basti pensare ai militari in Medio Oriente, ai marò in India o ai tanti giovani ricercatori che vivono all’estero: migliaia di famiglie unite anche in continenti diversi.
Analizzando le meccaniche attraverso cui questa evoluzione sta avvenendo, ciò che si evidenzia è l’elevata forma di dipendenza, e purtroppo gli smartphone sono il mezzo attraverso cui quest’epidemia dilaga senza scampo per nessuno. L’adesione a un modello, il voler creare un senso di appartenenza non è un’idea dannosa, anzi, pone tutti sullo stesso piano, salva i deboli e fa riflettere i potenti. La trappola sta nella forzatura di questi canoni per l’adesione a un gruppo da parte dell’individuo: al giorno d’oggi è pressoché obbligatorio, per chi intende utilizzare uno smartphone, collegare i vari profili Facebook e Twitter al proprio telefono, previa richieste pressanti e sfiancanti sull’utente.
La questione finale è che il numero genera, in ambiti di diffusione pubblicitaria, un reddito enorme se si pensa a bacino d’utenze cui si riferisce il marketing sociale. Lo smartphone è un’estensione del corpo umano, tramite il quale siamo costantemente connessi alla comunità virtuale. Sulla base di ciò, la nostra sola presenza come target pubblicitario genera un profitto per qualcun altro. Questo dovrebbe far riflettere molte persone che, con il pretesto della gratuità del servizio, prendono parte a un gruppo sempre più vasto di forza-lavoro autosufficiente.
In conclusione, la rivoluzione social(e) del nuovo millennio ha reso milioni di persone schiave di qualcosa che loro stesse hanno desiderato e di cui non possono fare a meno. La nostra è una società dove si vive per generare reddito, e non l’inverso.