Donne di tutto il mondo, unitevi! – “Rivoluzioni violate”, il nuovo libro di Giuliana Sgrena
novembre 29, 2014 in Approfondimenti, Recensioni da Sonia Trovato
Manal al Sharif esce di casa, sale in macchina e accende il motore. L’amica Wajeha al Huwaider la riprende con il cellulare e il filmato, caricato su youtube, fa il giro del mondo. Inizia dall’Arabia Saudita il viaggio di Giuliana Sgrena tra le Rivoluzioni violate (il Saggiatore, pp. 229, 2014) degli Stati arabi, da un Paese, cioè, dove la Primavera araba ha soffiato un vento appena percettibile e immediatamente silenziato. Dopo poche ore, Manal è stata arrestata, perché, così sostengono gli sceicchi, una donna che guida mette a rischio la verginità e l’integrità delle ovaie. La donna riproduce questa cosa essenziale che è il musulmano sosteneva l’algerino Ali Belhadj nel 1989, e dunque non può certo permettersi di rimanere sterile per farsi un giro in automobile…
L’Arabia Saudita è la summa delle discriminazioni di genere: nascere donna in questo regime protetto dagli USA significa non poter guidare; significa non poter condividere le aule di scuola con i compagni uomini; significa avere, in ogni edificio, un ingresso separato da quello maschile; significa poter uscire di casa solo se bardata da capo a piedi e in compagnia di un autista; significa dover ottenere dal marito il permesso per studiare, per lavorare, per viaggiare; significa rischiare ogni giorno di essere ripudiata come moglie. Le donne sono trattate come dei minori anche quando ricoprono ruoli di alto livello dichiara, con rabbia, l’attivista Suad Shemmari. E, in questo quadro desolante, anche schiacciare il piede sulla frizione e girare il volante è un atto rivoluzionario.
In Tunisia la situazione è radicalmente diversa. Forti di figure mitiche o reali come Didone e la principessa Sofonisba, le donne tunisine sono sempre state in prima linea per la salvaguardia di diritti conquistati molto precocemente, ponendo il proprio Stato come avanguardia del mondo arabo e anche di gran parte dell’Occidente, compresa l’Italia. Già nel 1957, infatti, il Codice di famiglia stabilì l’uguaglianza formale tra i sessi, sancì il suffragio universale, abolì la poligamia e il ripudio, legalizzò il divorzio per entrambi i coniugi e riconobbe alla donna il diritto all’utilizzo dei contraccettivi e dell’aborto. Ma il tabù resta l’eredità, ancora regolata dalla sharia (legge islamica), in base alla quale la donna riceve la metà dell’eredità rispetto all’uomo. Questo punto è stato uno dei bersagli polemici della protesta femminile durante le manifestazioni di piazza a Tunisi che, nel gennaio 2011, hanno portato alla caduta di Ben Alì. In Egitto, le attiviste della Primavera araba avevano molte meno libertà da vantare rispetto alle compagne tunisine. Mutilazioni genitali, condanne alla fustigazione, matrimoni forzati sono infatti violenze tuttora perpetrate. E, l’autrice lo proclama a gran voce, non c’è relativismo culturale che possa giustificare la segregazione, l’umiliazione e la mortificazione di un essere umano. Altrimenti non si potrebbe parlare di valori universali, ricordano spesso le femministe arabe.
La tesi del volume è che le due rivoluzioni abbiano provocato una crisi d’identità nel maschio arabo e abbiano fatto pericolosamente vacillare l’ordine patriarcale. Il ricorso al voto islamista è stato un tentativo di stroncare sul nascere un movimento femminista sempre più organizzato, consapevole e tenace. Le grandi potenze straniere, per non guastare i propri rapporti commerciali con i Paesi del Golfo che finanziano i partiti religiosi, ne hanno incentivato l’ascesa, per poi rovesciarli all’occorrenza tramite l’ausilio dell’esercito, com’è avvenuto in Egitto.
Un discorso a parte riguarda lo Yemen, la Libia e la Siria. Se il primo Paese, che detiene il triste primato delle spose bambine, è stato investito da una rivolta piuttosto fiacca, le forze laiche e democratiche in Libia e in Siria sono state soffocate dall’intervento occidentale e da una guerra civile tra bande supermate. In Siria, la battaglia contro il regime di Assad si è trasformata quasi subito in una sanguinosa lotta per il potere, attraverso la costituzione di compositi gruppi jihadisti e qaedisti, formati soprattutto da libici e tunisini, ma anche da occidentali provenienti dall’Europa. L’avanzata dell’Isil tra Siria e Iraq ha ulteriormente peggiorato la condizione femminile. Mentre i tg e i giornali ci restituiscono i macabri racconti di teste mozzate o, in misura minore, le eroiche gesta delle combattenti curde del PKK, quasi nulla sappiamo della voce strozzata delle donne barricate in casa, dei loro sussulti ad ogni bomba esplosa, del terrore di rapimenti o di stupri, dei loro corpi violati e resi bottino di guerra. A Mossul, in Iraq, le donne fatte schiave dal Califfato vengono esposte nei bazar come merce e vendute per cinque dollari, al fine di soddisfare gli appetiti sessuali dei combattenti.
D’altronde, sono sempre le donne che pagano ha detto Basma Khalfaoui, militante dell’Associazione tunisina delle donne democratiche (Aftd). E allora, come suggerisce implicitamente nel libro l’inviata del “manifesto”, è più che mai necessario abbandonare le visioni parziali o particolaristiche e guardare al raggiungimento sostanziale della parità di genere come a una battaglia laica e transnazionale, che travalichi le diversità etniche e religiose. Le donne hanno ragione a ribellarsi contro le leggi, perché noi le abbiamo fatte senza di loro. Lo scrisse un uomo, Michel de Montaigne. Era il Millecinquecento.