Rinascimento e Antirinascimento. Firenze nella cultura russa fra Otto e Novecento di Lucia Tonini
aprile 9, 2013 in Recensioni da Laura Giuffredi
Il volume a cura di Lucia Tonini (Firenze, Leo Olschki, 2012) ha avuto la prima origine nel convegno organizzato dal gabinetto Vieusseux nel dic. 2003, in occasione dei trecento anni dalla fondazione di San Pietroburgo. I diciannove saggi che lo compongono, di studiosi italiani e russi, illustrano con varietà di temi e da diverse angolazioni, il dialettico rapporto tra il Rinascimento italiano, fiorentino in particolare, e un “antirinascimento” russo che, nell’approfondire la conoscenza del primo, lo guarda con diffidenza, se non lo demonizza addirittura.
Per inquadrare la questione, basterebbe ricordare la reazione di Lev Tolstoj davanti alla Madonna Sistina di Raffaello, a Dresda, nel 1902 (ne parla S.N. Bulgakov (Due incontri (dal libro di memorie), 1898-1924): “…soffocava dalla rabbia, bestemmiando come un ossesso… E che sarà mai? Una che ha fatto un figlio… E allora? Che cosa c’è di speciale?…”
La bellezza “profana” di quella Madonna lo offendeva e lo turbava, così come tutto il Rinascimento Italiano. Questo perchè Tolstoj, come del resto Dostoevskij, percepì la cultura rinascimentale italiana come priva di legami col trascendente, e colpevole di “privare la Terra del Cielo”.
Tolstoij esprime bene il rapporto controverso, a metà strada tra la fatale attrazione e la repulsione, tra due mondi che, nel venire volutamente in contatto, si confrontano e si scontrano, senza però rinunciare alla reciproca conoscenza.
Rispetto alla visione dei grandi romanzieri russi già citati, quelli del secondo Ottocento, accodandosi allo svizzero J. Burckhardt, riconosceranno poi al Rinascimento italiano la caratteristica di aver esaltato l’individualità umana, laicamente emancipatasi dallo spirito religioso. Una visione questa che trovò difensori anche nella Russia Sovietica: questa, pur riconoscendo meriti indiscutibili al Rinascimento italiano, lo accusò, tuttavia, di aver privilegiato l’imitazione passiva dei modelli antichi, mortificando la formazione di una cultura nazionale (Oleg Kudrjavcev).
Nazionalismo, dunque, e spirito religioso, i cavalli di battaglia di un’anima russa che, tra Otto e Novecento, si interroga sul valore dell’ “età dell’oro” italiana: nell’autoaffermazione dell’uomo come entità autonoma, la cultura russa vide sempre l’origine di un inevitabile degrado morale di cui la Firenze quattro-cinquecentesca sarebbe l’emblema.
Eppure la critica passa rigorosamente attraverso uno sforzo conoscitivo rigoroso, fin dal Consiglio di Firenze del 1438/39 che introdusse i primi artisti italiani in Russia (si veda l’emblematica vicenda di Michele Trivolis, detto Massimo il Greco, ben narrata nel suo saggio da Massimo Garzaniti): il travagliato rapporto tra due culture alla ricerca di una sintesi, indaga comuni radici e fonti, al di là dei preconcetti.
Dietro la diffidenza, se non la negazione, del Rinascimento, si cela comunque la “malattia” della cultura russa, già diagnosticata da Turgenev, che è la negazione dell’autonomia della cultura (Michail Andreev).
In altri termini la disputa può essere sintetizzata nello scontro tra slavofili ed occidentalisti, secondo lo schema per cui, come chiarisce Stefania Pavan, slavofilismo corrisponde ad ortodossia e patriottismo, occidentalismo a laicità e democrazia, visti, questi due ultimi termini, come disvalori.
Grandi intellettuali russi di fine Ottocento, come Rozanov, Merezkovski o Percov, bene esprimono queste due anime (Vsevolod Bagno).
Eppure Nikolaj Bachtin (n. 1894) saprà riconoscere il legame diretto e dinamico tra mondo classico greco e mondo neo- ellenico, rinascimentale e non solo, vedendo nel primo una proficua presenza ispiratrice: e riconoscerà la virtuosa continuità di un “terzo Rinascimento”, russo- sovietico, dal primo, quattrocentesco fiorentino, e dal secondo, winckelmanniano (Garzonio).
La diatriba sarà infatti all’origine di accese discussioni, accademiche e non, anche nella Russia sovietica, dove emblematico è il caso dello storico dell’arte Aleksandr Gabricevskij. Già membro dello”Studio italiano” di Mosca tra il 1918 ed il 1923, lavora sul Rinascimento italiano ed in particolare su Brunelleschi, ed i suoi studi soddisfano in un primo tempo le ambizioni classicistico-imperiali del potere. Ma nel 1948 inizia la persecuzione nei confronti della sua concezione culturale, vista come pericolosamente cosmopolita e non sociale né nazionale (Fedor Pogodin).
Se comunque si vuole riconoscere in un oggetto l’espressione di una dialettica sempre viva, esso non può che venir indicato nella “Porta del Paradiso” di Lorenzo Ghiberti (Lucia Tonini).
Un prezioso calco di questo manufatto giunse in Russia nel 1776, come dono all’Accademia di Belle Arti, a dimostrazione della tempestività dell’attenzione russa per il Rinascimento italiano. La cattedrale di Pietroburgo dedicata all’icona della Madre di Dio di Kazan e costruita nel 1801-11 avrà le porte tratte da quel calco, segno di un’immedesimazione concreta, seppur per certi versi appannata da fraintendimenti, tra l’arte russa e la cultura classico-rinascimentale occidentale.