Reinventare Charlie
gennaio 11, 2015 in Approfondimenti, Crisi da Damiano Cason
Quello che è successo alla redazione di Charlie Hebdo è scioccante, ma come fanno, all’improvviso, ad essere tutti Charlie, ricercati conoscitori e sostenitori della libertà d’espressione? Ad esempio, è Charlie anche l’Università di Bologna (la più antica università occidentale) che ha istituito un “codice etico” che prevede sanzioni verso chiunque – dipendente o studente – leda “l’immagine dell’Università”, anche soltanto con un post su Facebook? Sono per la libertà d’espressione quelli che da anni vogliono vietare l’apertura delle moschee nelle proprie città? Charlie Hebdo, rivista letta da pochissimi, si può leggere, ma il Corano no? Oppure sono Charlie i vari ministri del governo Renzi che non hanno mai perso l’occasione di affermare che contestare le nostre scelte lede l’immagine dell’Italia? O forse sono per la libertà d’espressione coloro che s’indignano quando una bandiera italiana viene bruciata, perché si può raffigurare Maometto masticato da Lucifero, ma la bandiera nazionale non si tocca? O forse hanno tutti confuso la libertà d’espressione con la libertà di satira: puoi dire quello che vuoi, basta che scherzi. L’importante è che la critica al potere non sia seria, ma resti una macchietta. E ancora: se stai scherzando non dovresti almeno far ridere? Già in molti hanno sottolineato che Charlie Hebdo da tempo non faceva più ridere: è satira ciò che non fa ridere nessuno, o solo un feticcio, peggio ancora, l’incarnazione di un luogo comune, la rivendicazione continua del diritto della libertà d’espressione a dimostrazione di come esso sia ambivalente?
Faccio queste domande non certo per mettere in discussione il fatto che si debba difendere la libertà di espressione, ma perché è necessario continuare a riflettere su cosa siano le libertà e i diritti che si vogliono difendere. Non è necessario scomodare Marx e parlare dei limiti della concezione borghese del diritto. La satira, quella sì, di Anatole France era più che sufficiente: Proibiscono nella stessa misura a poveri e ricchi di passar la notte sotto i ponti. Che cos’è il diritto, se non la concessione, da parte di qualcuno a qualcun altro, di fare una determinata cosa? Il Qualcuno è il sovrano i cui meccanismi sono legittimati dalla macchina democratica. Che cosa è il Qualcun altro? Il solo chiedersi cos’è dovrebbe mostrare innanzitutto che è una cosa ben definita. Il diritto si concede a una certa persona o a un certo gruppo. Un gruppo può essere economico (es. i consumatori), sociale (gli studenti), religioso (i musulmani) ecc… Poi, dato che il primo modo di pensare i perimetri causava dei problemi, si è passati alla più celebre delle formule occidentali: “senza distinzione di sesso, razza, credo” ecc… Questa formula ingannevole, potrebbe farvi pensare che il diritto moderno abbia smesso di usare come proprio metodo quello dei confini, il che è falso.
Su questa linea di pensiero sono stati coniati i concetti di “nazione” prima, di “cittadinanza” poi: due concetti confusi l’uno dentro l’altro, che hanno viaggiato per due secoli dall’età degli imperi al colonialismo, dalle due guerre alla vittoria contro i totalitarismi. Il metodo del diritto (anche se cerca di esplorarne di altri e migliori) è sempre quello di perimetrare una certa area, un certo gruppo, un certo concetto, illuminarlo con il faro della ragione, dargli un nome, e consentirgli di fare una cosa ben specifica, la cui concessione garantirà che il diritto stesso sappia che non ne vengono fatte altre. Non è un inganno, la garanzia verte sul fatto che altre cose semplicemente non sono conosciute, perché il diritto è razionale e, da sé, non può inventare nulla. Del resto è esso stesso un’invenzione o una derivazione di qualcos’altro (di Dio per alcuni, della guerra per altri ecc…). I confini della nazione (“tutti i francesi hanno diritto di…”) e della cittadinanza (“tutti i cittadini hanno diritto a…”) sono i perimetri attuali. Il primo è l’apparato emozionale che supporta il secondo e sta cadendo sotto la spinta della globalizzazione (la nascita della UE è parte concreta di questa evoluzione), il secondo è la forma organizzativa alla quale non è attualmente possibile rinunciare.
Non è finita qui. All’interno di questi confini, esistono sfumature di vario tipo: ad esempio, un accattone e un conduttore televisivo sono forse liberi di esprimersi allo stesso modo? No, perché la libertà ha anche un contenuto pratico (altrimenti resta solo un feticcio), e mentre il primo parla a milioni di persone, il secondo al massimo alle poche decine che calpestano il marciapiede. Poi c’è il problema di quello che accade fuori e distante da questi confini: come può il diritto occidentale imporre quella che considera la libertà se appunto non concede la libertà di non aderirvi? Sartre diceva che la libertà è una condanna, l’unica scelta che l’uomo non può compiere è quella di non essere libero. Una definizione che potrebbe trarre in inganno: significa che è possibile scegliere anche di essere schiavi, ma che la libertà consiste nell’averlo scelto. Così è la stessa cosa ubriacarsi in solitudine o guidare i popoli. Eppure non può essere questo quello che abbiamo in mente quando diciamo libertà, tant’è vero che alcuni hanno scelto l’esatto opposto, esportare la democrazia con le bombe. Ricordiamo il nome di una della missioni: “Enduring Freedom”. Entrambe queste concezioni estreme della libertà riproducono il metodo dei confini: poniamo due punti polari uno all’opposto dell’altro e all’interno presumiamo che vi sia tutto quello che possiamo chiamare in quel modo. Vedete bene che questo è un modo di interrompere il flusso e dargli un nome. Oggi più che mai il flusso è la vita ed è quel che serve. La libertà che sfugge tanto ai fascisti europei quanto a quelli islamici è quella dell’ibridazione e dell’incontro. Esiste un solo nemico, la morte, ed essa è incarnata sul campo dai fascismi di ogni tipo.
I giorni precedenti la Rivoluzione Francese, spiega sempre Sartre, il quartiere parigino di Sant’Antonio era “in agitazione”. Vi era una situazione di effervescenza e il governo, per prevenire disordini, schierò le truppe al suo esterno. Quel che prima poteva solamente sfociare in qualche incidente, diventa ora percezione diretta di una minaccia esterna e gli abitanti del quartiere, da singoli affamati, divengono consapevoli di essere un gruppo. Un gruppo minacciato dalle armi. E allora i primi gruppi assaltano gli armaioli senza che l’esercito possa intervenire, per evitare che venga aperto il fuoco. Ma il processo di formazione del gruppo è ormai in moto, e l’invito a consegnare le armi con un trucco, svela al gruppo che il governo è proprio la sua antitesi. La stessa minaccia delle armi non forma lo stesso tipo di gruppo dopo il 7 Gennaio 2015, la direzione è quella opposta. È una normale dinamica umana che l’evento scioccante costituisca una comunità di risposta: ma in questo caso essa è passiva e terrorizzata. La solidarietà verso Charlie Hebdo non forma l’unità d’intenti ma l’unità di paura. Il dichiararsi Charlie è dichiararsi terrorizzati dalla possibilità di fare la stessa fine.
Allora si mette in moto la macchina che produce più morti di tutti, dimenticandosi quale era il nemico: siamo tutti la stessa cosa, tutti Charlie che disegna Maometto. E così si manda Charlie contro Maometto. Si manda l’Occidente contro l’Islam. I micro-fascismi, le piccole paure, si aggregano nella grande macchina fascista che cambia ogni volta modello: fu imperialista, fu colonialista, fu razzista, fu democratica. Anch’essa, come il terrorismo, produce il suo macrofascismo nemico: il tutt’uno delle moschee da Giakarta a Parigi-Porte de Vincenne. La prima cosa che fa l’unità della paura è dimenticare chi era il suo nemico: non Maometto, ma la morte e il fascismo. Ora invece morte e fascismo diventano il suo prodotto. Dimentica le vite nigeriane in nome di quelle parigine, fa l’interesse del prossimo, nel senso di colui che gli sta più vicino. Il vicino stesso perde la propria identità, non lo conosco ma piango perché sono io. Non piango per lui, piango per me, per la mia disperazione, per la mia paura. L’emozione è vera, l’immedesimazione no…
Questo pseudo amore, perlopiù, è amore dell’immediatamente più prossimo, di chi è più simile a noi. L’amore in famiglia – la pressione affinché l’amore sia circoscritto alle mura domestiche a esclusione o determinando l’esclusione di chi è fuori – è una delle forme più potenti di amore identitario. L’amore per la razza e l’amore per la nazione o il patriottismo, che dir si voglia, sono altri esempi di pressioni esercitate sull’amore affinché si riduca a chi è simile a noi e dunque, ancora una volta, a esclusione di chi è diverso. […] Da questo punto di vista, il nazionalismo, il populismo, il fascismo e i vari fondamentalismi religiosi non sono fondati, come comunemente si crede sull’odio, ma sull’amore, una forma orribilmente corrotta di amore.
(Negri-Hardt)
Chi combatte la morte e il fascismo al fronte, a Kobane, ancora fatica a ricevere la nostra scarsa solidarietà, stretto nella morsa tra chi come l’Unione Europea non ha mai tolto il PKK dalla lista delle organizzazioni terroristiche e chi, come l’ISIS, vuole istituire il suo contro-regno di terrore. Temiamo la differenza in ogni sua forma, ora divenuta lugubre e sospetta. Il nemico si combatte solo con le bombe targate US Army. Come nel 1936, quando Hitler e Mussolini finanziavano e aiutavano militarmente il golpe di Franco mentre le democrazie liberali rifiutavano di appoggiare massicciamente un fronte antifascista nel quale era presente l’odiata URSS, lasciando sole le Brigate Internazionali che combattevano per la Repubblica di fronte al dilagare del fascismo in Europa (per pagarne le conseguenze nel 1939), anche oggi i grandi poteri dell’Occidente preferiscono lavarsi le mani di una resistenza che non condivide i principi del profitto e della privatizzazione. Alla morte si oppone allora altra morte: la morte in nome di Dio si scontra con quella in nome della Libertà. Nulla è più raffigurativo di quest’immagine contraddittoria come la stupida proposta di alcuni politici di destra di reintrodurre la pena di morte, che non è esattamente il deterrente giusto per chi annuncia di essere pronto alla morte in nome di Dio.
Affermare Charlie allora, le sue vignette, la libertà occidentale, è affermare un confine e dire: oltre la linea, parlate solo col nostro esercito. Bisogna affermare un Charlie meticcio e precario, che non sia colonna ma fuggiasco, non simbolo ma creazione. Quel che bisogna affermare è, oggi come sempre, la differenza e la complessità, della quale partecipano tutti dai cristiani ai musulmani, dagli atei ai figli di nessuno. Questa differenza è il nuovo che nasce dalla libertà dell’incontro e dell’ibridazione. Nemico di tutti coloro che affermano la differenza è il fascismo in tutte le sue forme.
Nietzsche faceva dire a Zarathustra, Castaneda fa dire a Don Juan: ci sono tre e anzi quattro pericoli, anzitutto la Paura, poi la Chiarezza e poi il Potere e, infine, il grande Disgusto, la voglia di far morire e di morire, Passione d’abolizione. Possiamo indovinare cosa sia la Paura. Temiamo incessantemente di perdere. La sicurezza, la grande organizzazione molare che ci sostiene, le arborescenze a cui ci aggrappiamo, le macchine binarie che ci danno uno statuto ben definito, le risonanze in cui entriamo, il sistema di surcodificazione che ci domina tutto questo noi lo desideriamo. ‘I valori, le morali, le patrie, le religioni e le certezze private che la vanità e l’indulgenza per noi stessi generosamente ci concedono, sono altrettante dimore che il mondo predispone per coloro che pensano, in tal modo, di star saldi e in riposo, fra le cose stabili; essi ignorano l’immensa disfatta che attraversano… fuga davanti alla fuga’. Fuggiamo davanti alla fuga, irrigidiamo i nostri segmenti, ci abbandoniamo alla logica binaria, saremo tanto più duri su tal segmento quanto più, su talaltro, altri saranno stati rigidi con noi, ci riterritorializzeremo su qualsiasi cosa, non conosciamo segmentarietà se non molare, a livello dei grandi insiemi cui apparteniamo come dei piccoli gruppi in cui c’introduciamo e di quel che si produce nel più intimo o più privato di noi. Tutto è in questione, la qualità del percepire, il genere di azione, la maniera di muoversi, il modo di vita, il regime semiotico. L’uomo che rientra e dice: ‘E’ pronto da mangiare?’, la donna che risponde: ‘Che faccia hai! Sei di cattivo umore?’: effetto di due segmenti rigidi che si affrontano a due a due. Più la segmentarietà sarà rigida, più ci sentiremo rassicurati. Ecco che cos’è la paura.
(G. Deleuze – F. Guattari)