Provincia

febbraio 17, 2014 in Racconti e poesie da Stefano Bottarelli

Qualche volta il fieno risponde al vento, si muove, imbizzarrito come il tempo che lo infradicia di pioggia o che lo essicca al sole di giugno.

Proprio il sole oggi riscalda questa regione di campagne confinate dalle case e dagli stabilimenti artigianali, che tolgono spazio alla natura. Il panorama cambia sempre più, diventa di ferro, di cemento, di asfalto, di strutture per la produzione. Ancora resiste qualche cascina isolata, magari con una tangenziale sulla quale transitano veicoli a pochi metri di distanza, addirittura sopra la cascina talvolta. E’ l ‘Italia degli anni novanta, fatta di cemento e di terra.

La mattina dall’alba in poi la strada statale si colma di viaggiatori assopiti che raggiungono i posti di lavoro: auto, camion, furgoni, camioncini, vespe, motorini, biciclette; colmano la strada in file che si infittiscono agli incroci laterali. Sirene di fabbriche e cinguettii di uccellini nei campi vicini vengono insieme coperti dal rumore della scia di mezzi che riempie l’aria di un ronzio sempre più insistente. Intanto un pastore nei tratturi delle prealpi subito prossime conta pecore e cani, invadendo i verdi spazi con animali dai velli più grigi che bianchi. E’ estate. L’afrore dei concimi si mescola a qualche profumo di tiglio, ruscelli ancora candidi si immettono in torrenti meno sani ma ancora abitati dalle aule. Il paese si spopola, per le ferie condotte al vicino lago o sulle rogge del Naviglio, le più basse e ombreggiate, vicino a Bedizzole. Le piazze deserte, polverose e afose vedono solamente qualche sparuta madre di famiglia che ricerca forse un figlio appena scappato in bicicletta, davanti a un avventore di bar che legge il giornale fumando, nonostante il caldo.

Da queste parti il tempo libero soprattutto è impegnato nello sport e lo sport più ricercato dopo il fatidico calcio è il tennis e la mountain – byke: torride mattinate di estenuanti palleggi e di set dalla durata infinita per il pareggio infinito; salite a passo ridotto verso Serle, tornante dopo tornante, sudore dopo fatica, fatica dopo sudore, poi giù in discesa, a rotta di collo, per un po’ di aria fresca e di brezza fra boschi e cave di marmo.

E’ il regno del dialetto che va in vacanza, si propaga per qualche frase fra bimbi all’oratorio silente. Qualche pescatore sceglie di passare il Ferragosto alla riva del fiume, infilza cagnotti e qualche cavedano pasturando in un’acqua che si porta via tutto. Le alghe affiorano e verdeggiano il fondo che ospita sassi, sporte di cellophane e canne. La pesca con la forchetta sembra superata. Pochi sono i fanciulli che si avventurano con i gambali fra i vetri del letto: non è profondo il fiume in certe anse ombreggiate dai platani schierati a difesa dei confini campestri.

La sera arriva presto. SI fa sentire in una puntuale brezza che dalla valle dei castagni porta l’umido e la fine del giorno. Sfiora i muri delle case e gli alberi, sfiora gli uomini che escono in bicicletta a chiacchierare di carte e di altri uomini. Ci si gode allora il silenzio perché la statale è lontana e meno mezzi la solcano. I camionisti diradano le corse. Qualche stella comincia a vedersi nel cielo sgombro e la luna entra in scena, preparata a recitare la sua parte.

Per qualche ragazzo comincia il sogno di una cosa: trovare una compagna e parlarle d’amore. La ricerca di solito avviene in bicicletta, altre volta in motorino o in vespa, soprattutto in gruppo. Il più coraggioso guida gli altri all’abbordaggio corsaro e sereno delle ragazze camminatrici e pure esse in gruppi magari meno consistenti.

Ci si dice il nome, l’età, ci si invita a ballare o al cinema all’aperto del vicino paese più grande, a qualche chilometro di distanza. Così comincia la vera vita anche per questi giovani che lavorano già da alcuni anni, dopo un faticato compimento della terza media, in qualche laboratorio di marmo o, più probabilmente, in un officina meccanica – gli si riconoscono le mani ancora giovani e indurite dai calli e da qualche ferita rimarginata di cui rimane una vaga cicatrice.

Anche le ragazze lavorano già, nel negozio di famiglia o presso un artigiano che smaglia le calze. Altre, a casa, aspettano un compagno che sposeranno nella chiesa in piazza di sabato pomeriggio. Frattanto si lasciano avvicinare dai coetanei e fissano appuntamenti per il giorno di festa, preferendo motorini e bar a oratori.

Il lago è vicino e lì i ragazzi si mescolano ai tedeschi in vacanza sulle spiagge comunali, fra carnagioni chiare e nuotate più lente, tipiche di chi non dà molta confidenza all’acqua, anche se c’è qualcuno che si getta da pontili roventi tra l’ammirazione di amici accovacciati sulle rive ciottolate. Nel frattempo i maschi tentano di conoscere il più possibile amiche da invitare al bagno di pomeriggio e alla discoteca la sera. Aspettando agosto la brezza scende dalla valle e ammanta di sensazioni più gradevoli il senso della giornata, fra alcune partite a bocce e un telefilm giallo.

La vita di un paese non cambia di molto con il passare delle stagioni, se non è vita della campagna, cioè vita della natura. Proprio di ciò i ragazzi dei paesi si lamentano: che non cambia mai nulla. La religione forse ha fermato un po’ il tempo. Ma la città vicina, la corriera ogni mezzora sottraggono spettatori alla messa quotidiana. La domenica mattina, comunque, il sagrato della chiesa è affollato di automobili per le famiglie che vengono dalle frazioni, mentre qualche coniglio è sul fuoco, o qualche pollo di cortile.

Le lepri sono ancora numerose sulle colline delle prealpi che circondano la pianura padana. La nebbia arriva qui e non è raro che ogni tanto qualcuno esca di strada smarrito nei cigli ripidi dello scolo e dell’irrigazione.

Il marmo e la sua estrazione è l’economia trainante in queste valli laterali che attirano i lavoratori alle quattro e mezza – cinque della mattina, a sfruttare il fresco che la vegetazione di castagni e noccioli offre sempre meno, invasa dalla polvere, dai sassi residui della pietra lavorata e riversata. Il vicino cementificio invece si serve di una collina isolata, ferita da un tunnel interno e ormai cava. Soprattutto nelle cave sono gli uomini più forti, crogiolati dal sole incessante nelle mattinate bianche della polvere di quel marmo. Grossi autocarri solcano l’asfalto colmi di sassi, arcuati sotto il peso di quadrati macigni di marmo ancora grezzo. Verrà tagliato a valle sotto lame di acciaio in strati sottili a piacere. Così passa la vita del lavoratore che prima era nei campi, ora ritorna a casa incrostato di pietra.

Sì, la tradizione è contadina ancora. Non è difficile incontrare lo stesso marmista la domenica nell’orto a controllare i pomodori o nel campo avito a vendemmiare per un vino da tavola che non uscirà dai confini comunali, ma sarà bevuto in famiglia. Piccoli proprietari seminano in primavera ortaggi per la minestra; si vanga nelle giornate libere e si raccoglie al bisogno.

Intanto le rondini volano basse se si annuncia la pioggia, gli orti vengono coperti di precari ripari. Difficilmente gli acquazzoni devastano, più che altro abbeverano il terreno e i semi, raggiunti dall’irrigazione artigianale nei casi di siccità recidiva.

I bimbi di solito aiutano i padri nei vari lavori agresti, il più delle volte assistono e giocano di fianco ai genitori curvi sulle pianticelle tenere. La luna crescente e calante condiziona le seminagioni; la tradizione contadina ne tiene conto e compulsa i calendari per non violare le fasi della lunazione. Se ne parla ancora nelle osterie, ma non troppo.

Lì l’argomento dominante è lo sport nella sua componente calcistica. Schedine, discussioni animate, partite a calcetto, fondazione di club di tifosi, pronostici, scommesse, brindisi e bevute. L’animo del frequentatore di bar è tifoso e si emoziona fino ad esplodere la domenica pomeriggio, dinanzi allo schermo del televisore o con le orecchie appese alla radiolina per i risultati. Frequenti le spedizioni allo stadio, nella curva con gli striscioni e gli slogan: poi si torna al bar a raccontare tutto. Intanto passano i giorni e le notti, ancora le notti e i giorni.

Si sogna il domani e il mattino arriva nel trillo di una sveglia o nel richiamo cortese di un parente, per andare a lavorare. Sono pochi i disoccupati. Quasi tutti lavorano, molti si radunano dal lunedì al venerdì alla fermata della corriera.

Alcuni scelgono di continuare gli studi, raggiungono la città vicina o centri minori sede di una scuola superiore. Li si può incontrare stipati sull’autobus, in piedi e appesantiti da borse di libri e quaderni. Passano stazioni diverse, l’autobus si svuota e si riempie ogni volta. Qualcuno legge e studia, se è riuscito a trovare posto a sedere, oppure si gode il panorama che ormai conosce a memoria dal finestrino: case e strade, campagna, auto e camion.

E’ la sera il momento di ritrovo di tutta la famiglia: la cena è comune, per lo più in compagnia della televisione accesa che ripete le notizie del telegiornale. I giornali quotidiani che si vendono nei negozi – edicole sono quasi solo locali, quelli nazionali sono meno presenti nelle case.

L’altro mito, a fianco del calcio, è quello dell’auto, non tanto la moto quanto l’auto. Si attendono i fatidici diciott’anni e la sospirata patente per scorrazzare il sabato e la domenica fra amici, ragazze e balere. Il rito dell’auto inizia il venerdì sera per compiersi la domenica sera con il rincaso dopo i due giorni di fine settimana. Adesivi, servosterzi, motori turbo, cuscini, accessori i più diversi fanno la felicità degli amanti dell’auto, linda dopo il bagno nel cortile il sabato mattina.

In mezzo alla piazza grappoli di ragazzi si scambiano la visione delle loro carrozzerie e qualche giovinetto assiste e impara. Non si risparmiano i pneumatici alle curve per frenate e dérapage stridenti. L’auto è anche una casa, o meglio un’appendice della casa, la si arreda con  tappeti, amuleti e altri oggetti.

I cortei che seguono gli sposi dopo il matrimonio sono di auto, così per i battesimi. Solamente ai funerali resiste il corteo appiedato, perché il cimitero è vicino, ma anche qui seguono auto incolonnate a passo d’uomo, di chi viene da fuori.

La musica artigianale è quella della banda municipale, che si riunisce una volta alla settimana e presta servizio alle cerimonie religiose e civili. Avviene anche qualche concerto, ma è più raro. In divisa i musicanti accordano fiati e tamburi, il maestro li guida allo spartito, conosciuto a memoria dai più anziani. Flicorni, bassotuba, trombe, tamburi, clarini, sassofoni si rincorrono in un flusso di rimpalli di tema e ritornelli, mentre la bacchetta del direttore si fa calma o agitata, lenta o impetuosamente veloce. Tutti rispondono al richiamo in armonia. A certi concerti o cerimonie seguono pranzi alla trattoria del paese, fra spiedi e canti in coro, fra mogli e figli che li accompagnano.

La banda musicale è amata in paese, la gente assorta ascolta i branetti di Verdi adattati, le capriole dei piatti e dei bassi, gli arzigogoli di clarini e gli squilli solatii delle trombe. Nei funerali la banda segue poco di presso il feretro e ritma motivi più lenti e tristi, dalla chiesa al cimitero.

Altro e diverso momento di ritrovo comune sono le attività delle associazioni locali, quelle per esempio degli alpini o degli artiglieri. Pure qui messe e pranzi, canti e brindisi, commemorazioni di chi non c’è più, musica.

Si diceva che si leggono pochi quotidiani nazionali; non si può dire invece che non si leggano romanzi. La biblioteca comincia a radicare nel territorio il proprio servizio di prestito di volumi a domicilio: gli utenti leggono romanzi contemporanei così come classici. Soprattutto gli studenti delle scuole medie e superiori se ne servono, magari per ricerche monografiche. Anche le casalinghe leggono prosa leggera, d’amore: non sono solo le telenovelas ad occupare il loro tempo libero.

I giorni si rincorrono come il venticello serale rincorre chissà che cosa e nelle aie o nelle cascine, ormai poche, si ammazza il maiale, perché è quasi autunno. La vendemmia viene di settembre e impegna parenti e amici dei proprietari della vigna.

Anche per i figli arriva la maturità e il tempo del servizio militare: i tre giorni di esami sanitari e culturali in caserma risvegliano il senso di appartenenza ad una classe di nascita. La cena di classe, infatti, è un altro momento di riunione. La si prepara per tempo, al bar, si sceglie il ristorante e il giorno fissato si parte tutti insieme in macchina alla volta della trattoria, in collina o al lago, per un rinnovo della compagnia sorta sui banchi della scuola elementare e poi interrotta per la destinazione lavorativa diversa. Ma in genere tutti in paese si conoscono e si frequentano in fine settimana. Se non è il bar è l’oratorio il luogo di incontro; naturalmente lì ci sono i più giovani e sportivi, quelli che praticano anche lo sport oltre ad esserne tifosi.

Sono anche altri i  ritrovi, soprattutto per le donne che si vedono fra una tomba e l’altra ad innaffiare fiori e ad accendere lumini per i cari: il cimitero, luogo sacralmente riservato ed allo stesso tempo luogo di incontri confidenziali. La tomba è un foscoliano ricordo e occasione di uscita al di là della statale, tra i cipressi che ondeggiano alla brezza solita, immancabile.

Il fieno, più in là nei campi limitrofi al camposanto, si cuoce al sole e si prepara ad essere cibo per gli animali della stalla, fra qualche croco di fosso che ancora resiste  e i platani verdeggianti lungo il torrente canalizzato per timore delle piene improvvise. Oggi le rive, fra qualche resto di immondizia e il verde che ugualmente rispunta, sono ancora la meta di qualche pensionato che coglie i chiodini, grappoli di funghi saporiti e commestibili, da accompagnare al pollo.

Le lumache sono diffuse e le si cacciano la sera dopo i piovaschi, nell’umidità delle piante imbevute di pioggia. I cani sono esclusivo strumento di caccia e di guardia, a riposo vivono in canili di fianco agli edifici con corte catene di guinzaglio. Abbaiano ai gatti e alla luna, quando appare.

La caccia è praticata soprattutto alle allodole, ai tordi, ai passeri, nel capanno o a piedi. Le lepri sono una preda ambita. Ma si spara un po’ a tutto quello che si muove, nei cespugli della collina o sul monte prospiciente il paese. Ci si apposta nella cosiddetta “posta”, costruita di rami intrecciati in una radura, con le piante cresciute a cerchio sulle quali si fissano le gabbie degli uccelli da richiamo e si aspettano i malcapitati volatili che si posano.

Intanto il verde silenzio dei campi avvolge qualche coppia appartata in macchina alla ricerca dell’amore, come in una storia importante da raccontare a se stessi. La legge della vita non risparmia neanche questi paraggi, dove una volta alla settimana si assapora il gusto degli incontri di sfuggita, per poi ritornare nei vortici delle attività feriali.

Le campane ogni mezz’ora ricordano la dimensione escatologica, con la cadenza ad orologeria del tempo che non si ferma. A seconda delle festività cambia il motivo, si diffondono ritmi e canzoncine gaie o meste, che sia un matrimonio o un funerale. Tutti ascoltano, poi continuano i giorni e le notti e le notti e i giorni.

Frattanto l’ombrellaio, nel suo giro periodico, urla frasi poco comprensibili sull’opportunità di far riparare da lui gli ombrelli; così l’arrotino, che gira i paesi con un furgone laboratorio sul quale le mole non risparmiano nessuna lama che non sia già tagliente. Cantano motivi che forse si tramandano di padre in figlio, sempre gli stessi, confusi con il profumo di sambuco che qualche volta ricorre nei vicoli più fioriti.

Improvvisamente dalle stalle un muggito sfugge alle mucche di solito discrete e pasciute, vicino a dei fichi maturi, aperti e piombati sulla strada. Un gatto annusa, procede verso altri bocconi, si posa in attesa di una preda in mezzo a un prato dall’erba rasa, di fianco alle case coloniche.

Il solito viandante psicotico suona un campanello d’ingresso, chiede se c’è un cappello o un giubbino per lui, se ne va deluso pedalante sul suo tragitto quotidiano di pazzia solitaria. Anche stasera il sole tramonta, illumina qualche nuvola ritardataria. Domani sarà sereno.

Le giostre, quando capitano in paese, montano le loro strutture in uno spiazzo e attirano bambini e ragazzi con musiche diffuse ad alto volume. Anche i piccoli circhi fanno tappa in paese, con spettacoli serali e pomeridiani graditi alla gente, anche se sono sempre gli stessi. Una volta le attrazioni di tale tipo montavano le proprie strutture nella piazza del paese, poi il comune preferì sfrattare in luoghi più aperti. E’ un forte richiamo per i ragazzini che giungono anche da altri paesi, nelle serate di giochi e autopiste, nell’aria a tratti spiritosa che li accarezza.

Gira la giostra della loro vita in tondo, da un punto di partenza ad un arrivo vicino a quel punto di partenza.

Soprattutto nelle giornate belle, il paese è in certi luoghi un cantiere di lavori e scavi che ne tormentano il suolo; spesso manca l’acqua se una falla si apre nell’acquedotto comunale e polluzioni bagnano l’asfalto, che viene subito perforato da ruspe e operai. L’asfaltatura rimane così a chiazze di colore diverso, i pneumatici delle auto sobbalzano per i diversi livelli di terreno accidentato.

I mezzi vanno e vengono, infuocano la statale. Ma se si ha un occhio per un prato vicino, si potranno vedere due maschi di upupa che beccano la terra erbosa indisturbati, con il tipico becco a punta e la cresta multicolore in evidenza, saltellante su di loro. Non sono frequenti le upupe, ma il loro canto ancora si ode in mattinate di calma, simile a quello del cuculo, più acuto però. Anche le rondini si fanno sentire; i loro scatti fendono l’aria e volano rasoterra per poi risalire verso l’alto del cielo. I nidi invece non sono tanto alti, ma sui rami dei pini a metà altezza. Qualche passero però sta in terra, becca le briciole che trova in giardino, fra piccoli fiori. Nel campo vicino un contadino ricurvo zappa gli argini che fanno da confine al terreno, una grossa ruspa scava terra più in là, per la nuova tangenziale.

Una scolaresca si avventura per un sentiero che sale la collina inerpicandosi fra sassi grandi e minuscoli; la maestra sorveglia e parla ai piccoli di ecologia, mentre uno degli scolari rimane indietro, ma poi rincorre il gruppo di testa. Spiccano i grembiuli bianchi e blu sul paesaggio verde e marrone della vegetazione e della terra. La piccola chiesina a mezza costa viene sorpassata e comincia a delinearsi, giù, un panorama di case e di tetti. Uno dei bambini distingue la propria, poi si torna a guardare in alto, verso la cima che sarà raggiunta a fatica solo più tardi, fra la stanchezza della maestra e le urla vivaci degli allievi. A mezzogiorno la schiera di formichine ridiscende verso il paese e raggiunge lo scuolabus che attende con il motore acceso per riportare alle frazioni gli escursionisti, arrossiti per il sole e il sudore.

E’ già settembre, le lezioni sono iniziate ma si approfitta del tepore per uscite della classe scolastica nel mondo. Un fuoco nel cortile di una cascina adiacente brucia fra le stoppie e i resti del giardinaggio e della pulitura di un fosso prospiciente.

Gli scolari si accalcano intorno allo scuolabus che li carica. Le campane suonano già mezzogiorno e mezzo e il vigile sorveglia la piazza gremita di macchine di genitori e pensionati che assistono all’uscita, appoggiati ad un bastone o al muro del municipio. Dalla finestra aperta di una casa una canzone si sparge nell’atmosfera profumata di minestra e un bambino piange nell’angolo di un giroscale. Il fratellino lo prende per mano e lo conduce in cucina. Il pianto si perde dietro la porta. Una moto attraversa la piazza con un rumore sibilante, poi si allontana all’orizzonte. Chissà dove va.

Cessato il pericolo una coppia può attraversare la strada con una carrozzella e un mazzo di fiori, il cielo si adombra. I temporali nelle mezze stagioni si presentano bui, annerano lo spazio celeste dietro la montagna improvvisamente, poi avanzano e l’acquazzone si riversa sulla terra talvolta arida e desiderosa di acqua: lampi rompono il silenzio scoppiando di luce nell’aria bagnata. Poi il sereno risorge, magari in un arcobaleno vivido sull’aria rugiadosa, gli uccelli tornano a cinguettare. Gli uomini riescono, dapprima timidi, fra le vie dove pozzanghere si allargano per poi diminuire riscaldate dal nuovo calore.

Le foglie si asciugano e risplendono lucide. Tutto si apre alla luce: è uscito il sole, le stelle nella notte risplenderanno solitarie; solamente qualche cane abbaierà alla luna chiara e piena, gli ululati si rincorreranno di cortile in cortile, per poi perdersi nell’infinito dell’alba.

Ora che questa descriptio viene alla luce è l’inverno successivo; gli alberi spogli riposano nel freddo della campagna mite e dimenticata dai lavori agricoli. I passeri radi girovagano a caccia di briciole sui  davanzali e gli uomini nelle serate anche diacce posano nei tinelli, nei bar, dinanzi a televisioni spente, fra mogli e figli o amici logorroici che si fanno compatire. L’inverno di queste parti è sgradito ai vecchi; i giovani reagiscono con lo sci nelle località più vicine e innevate, la domenica dopo la settimana nelle officine o nei laboratori rumorosi. Per altri la balera rimane anche nella stagione morta, loro vivi e ballerini, cacciatori di femmine e di compagnie allegre.

Il lunedì si ricomincia la carovana della settimana feriale, fino al venerdì sera, primo appuntamento di uscita in libertà: si corre dalla morosa o in gruppo a progettare il week-end.

La meta attesa che segna l’uscita dall’inverno è la Pasqua: solo allora si sente nell’aria la primavera, si rinasce nel cuore e ci si sente alle spalle le brume invernali e le fredde malinconie della casa: si ritorna a uscire ancora e più spesso nelle festività. Ricantano gli uccelli e gli uomini si aggirano risorti fra le prime primule gialle, o fra i nontiscordardimé celeste-viola.

Nuvolera, agosto 1995

 

Condividi: Email this to someoneShare on FacebookTweet about this on TwitterShare on Google+Pin on Pinterest