La Peste: il ritorno della vecchia assassina (1)

luglio 11, 2014 in Approfondimenti da Mario Baldoli

tintoretto

Jacopo Robusti detto Il Tintoretto – Sant’Agostino risana gli sciancati

Oggi, come nei secoli scorsi, non si vuol sentir parlare di Peste. Eppure l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha denunciato che tra il 1954-1997 ci sono stati nel mondo più di 80.000 casi di peste. La malattia ha interessato 38 Paesi; nel solo Viet Nam tra il 1967-1971 ci furono oltre 20.000 casi. Violente epidemie circoscritte si sono verificate in India, Mozambico, Uganda,Tanzania. Focolai di peste sono presenti in Iraq, Siria, Marocco, Brasile, Senegal, Zaire; sono endemici nel Middle West degli Stati Uniti.  Nel Madagascar la peste appare ogni autunno. Tra settembre e dicembre dell’anno scorso, a detta del Ministero della sanità locale, si sono avuti 42 morti e 84 casi. In quel Paese ogni anno vi sono tra 300 e 600 casi di peste bubbonica, ma ora è apparsa anche la peste polmonare che in soli tre giorni porta alla morte.

La peste percorre i vari continenti con epidemiologia polimorfa: con i ratti e le loro pulci, senza ratti e con pulci umane, per l’intervento di vari roditori.

Ora l’Oms considera la peste una malattia riemergente, da tenere sotto controllo.

ApolloIl nostro poema più antico, l’Iliade, che narra fatti avvenuti tra il XII-XI secolo, inizia con le frecce che Apollo scaglia sul campo acheo provocando una grave moria. Probabilmente non era peste, anche se l’igiene in un accampamento non esiste. Ma Apollo era il dio della medicina (l’arte di guarire) ed è chiamato anche Sminteo, cioè distruttore di topi, vettori della peste. La suggestione forse coglie qualcosa di vero.

E sono anche frecce quelle che, in età cristiana, colpiscono san Sebastiano, vittima della peste, prima che si arrivi a san Rocco, che la guarisce imponendo le mani, ma l’ha sofferta, avendo un bubbone sulla coscia.

Il mondo antico racconta molte epidemie, ma è Tucidide, lo storico della Guerra del Peloponneso, a descrivere per la prima volta i sintomi della peste con precisione: l’infiammazione, le convulsioni, la sete inestinguibile. La malattia colpì Atene nel II anno della guerra peloponnesiaca (429 a. C.), quando Pericle chiuse i cittadini entro le mura accogliendovi anche gli abitanti dei dintorni, devastati dagli Spartani. La situazione igienica precipitò, lo stesso Pericle morì di peste. Quella peste durò due anni prima di rallentare la sua presa.

E’ impossibile qui raccontare le molte epidemie che colpirono l’umanità. Sono note quelle di Roma, descritte da Tacito, Cipriano, Ammiano Marcellino.

Tre furono le pandemie, cioè pesti letali di grande diffusione, unite ad altre malattie.

La prima è quella detta “di Giustiniano”, raccontata da Procopio nella Guerra persiana. I morti erano tanti che venivano sepolti di nascosto in tombe altrui, bruciavano su pire preparate per altri, erano caricati su navi e gettati in mare, buttati alla rinfusa nelle torri di Galata. I palazzi restavano vuoti, gli schiavi fuggivano. La peste interruppe la guerra tra Bizantini e Persiani. Scoppiata nel 541 la pandemia attraversò l’Europa e si diffuse fino in Gallia. Per quanto ne sappiamo, in Italia la popolazione scese da 4 milioni nel 500 a 2,5 due anni dopo, a causa anche della guerra gotica.

Alessandro Bonvicino, detto il Moretto - Madonna col bambino in gloria e i santi Rocco, Martino e Sebastiano

Alessandro Bonvicino, detto il Moretto –
Madonna col bambino in gloria e i santi Rocco, Martino e Sebastiano

La seconda pandemia è quella del 1347-1350. Essa è generata dalla prima significativa globalizzazione: i traffici più intensi con l’Oriente, la crescita demografica e dei commerci. Alcune navi, forse genovesi, la portano in Italia dalla Crimea. E’ una peste bubbonica e polmonare descritta da Boccaccio nel Decameron, una malattia che si combatte con la fuga, come fanno i tre giovani e le sette fanciulle che si ritirano coi servi nelle ville in campagna, come facevano i re, i papi e talvolta i medici, mentre restavano in città le autorità pubbliche, i lavoratori e i poveri. Una malattia che stravolge i comportamenti: chi si diverte pensando che non c’è futuro, chi prega giorno e notte per salvarsi l’anima, chi si chiude in casa. Sembra che la popolazione europea sia scesa da 100 milioni a 30, mentre echeggiava invano l’invocazione: A fame, peste et bello libera nos, Domine. Invocazione sempre attuale.

L’Apocalisse e le danze macabre si radicavano nel pensiero collettivo, mentre i santi protettori salivano a 14. La malattia era, come in passato, La punizione divina per i peccati degli uomini. Immediato e inefficace “rimedio” fu quello di perseguitare gli ebrei.

Gli Stati italiani furono i primi ad affrontare razionalmente l’emergenza isolando città e paesi infetti. Gian Galeazzo Visconti (1347-1402) a Milano proibì ogni contatto con Soncino afflitta dalla malattia, istituì centri di ricovero, bloccò le fiere e i raduni pubblici. Saggi provvedimenti che non furono sufficienti a salvarlo dalla peste. Così fecero Firenze e altre città d’Italia. Nella stessa Milano tre secoli dopo, nel 1630, il cardinal Federigo Borromeo organizzava una mortifera processione. Fu la peste descritta da Manzoni che ben colse, oltre alla miseria dovuta a due anni di raccolta scarsa, i danni che la guerra dei Trent’anni (1618-1648) abbatteva sull’Italia. Raccontò anche le dicerie sugli untori e le pene inflitte agl’incolpevoli nella Storia della colonna infame. Nel 1630 a Milano morirono di peste il 51% dei milanesi, più di 66.000 persone.  

Lapide della Colonna Infame

La lapide della Colonna Infame, ora nella corte ducale del Castello Sforzesco di Milano.

In Italia la situazione forse peggiore fu quella di Mantova, circondata dai soldati dell’Impero. La peste vi entrò a fine novembre 1629 e durò fino al 1631. I soldati tedeschi ne distrussero le campagne, la affamarono e assediarono, poi la misero a sacco per tre giorni. Sembra che prima di guerra e peste i cittadini cristiani (esclusi circa 2500 ebrei) fossero 38.787, nel 1645 erano 13.845. I documenti del tempo dicono che i morti erano lasciati marcire nel lago, nei fossi, nei campi, a volte coperti da uno strato sottile di terra. Le processioni erano frequenti e l’aria irrespirabile, né si poteva fuggire a causa dell’assedio. Si purificava l’aria con il fuoco e legni odorosi, si consigliava di odorare aceto e portarlo con sè, di mangiare limoni, di tenere l’intestino sgombro con clisteri vari, meglio se fatti d’urina del figlio, di miele e olio, di bere l’urina umana e l’oro potabile.

Lodovico Settala, il protofisico celebrato da Manzoni, consigliava la castità, ma non fino al punto di farsi trafiggere o legare lo scroto. Più efficace era la cura dei tre avverbi: fuge cito, longe et tarde reverte. I magistrati usavano invece le tre F: ferro, fuoco, forca.

Nel complesso (i dati sono sempre approssimativi) durante la prima metà del ‘600 la peste fece in Italia 1.730.000 morti, equivalenti al 14% della popolazione.

Nel 1722 Daniel Defoe descrisse magistralmente La peste di Londra del 1664 appoggiandosi su documenti scritti e sulla sua straordinaria capacità di invenzione. In essa si leggono i contrasti tra le chiese, tra ricchi e poveri e un’improbabile conclusione: se la peste fosse durata un anno in più si sarebbe arrivati all’uguaglianza fra gli uomini.

Nel Settecento la peste comincia a ritirarsi dall’Europa per cause tuttora incerte che vanno dall’allontanarsi del rattus rattus dall’Europa ai miglioramenti delle abitazioni e dell’igiene.

La terza pandemia (1894-1908), la più terribile, è detta la peste di Hong Kong, probabile conseguenza delle due guerre dell’oppio tra Cina e Inghilterra. Il bacillo raggiunge l’Egitto, l’Australia, gli Stati Uniti, in India fa 13 milioni di morti.

yersinMa in quel periodo viene finalmente isolato dallo svizzero Yersin il bacillo della peste. Oggi gli antibiotici dovrebbero permettere di  affrontarla. Ma oltre ai vari focolai esistenti, almeno tre rischi non ci risparmieranno: il bacillo della peste è coltivato e tenuto pronto da vari Paesi evidentemente per usarlo come arma biologica in guerra, ma quel bacillo può uscire dalle provette dei laboratori anche senza guerre, come è già avvenuto per l’antrace negli Usa. L’altro rischio è il rapido cambiamento del clima: si prevede un aumento di 3° in questo secolo. Ciò provocherà maggiore umidità e piogge con l’aumento di alcune malattie infettive, in particolare quelle trasmesse dagli animali. Uno studio promosso dal governo britannico prevede una maggiore mortalità di 300.000 persone all’anno, mentre la globalizzazione totale porterà rapidamente le malattie in tutto il mondo. E, data la mutabilità dei bacilli, difficilmente basteranno gli antibiotici disponibili.

E’ suggestiva, anche se – scientificamente – non proprio corretta, la conclusione del grande romanzo (1947) La peste di Albert Camus: (il dottor Rieux) sapeva quello che ignorava la folla, e che si può leggere nei libri, ossia che il bacillo della peste non muore né scompare mai, che può restare per decine di anni addormentato nei mobili e nella biancheria, che aspetta pazientemente nelle camere, nelle cantine, nelle valigie, nei fazzoletti e nelle cartacce e che forse verrebbe giorno in cui, per sventura e insegnamento agli uomini, la peste avrebbe svegliato i suoi topi per mandarli a morire in una città felice.

La peste, Poussin

Nicolas Poussin – La Peste d’Astod

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