Palestina: la questione morale dei nostri tempi
agosto 19, 2014 in Approfondimenti, Palestina da Alfredo Barcella
La pulizia etnica della Palestina
All’inizio di questo nuovo secolo, proprio di fronte a una delle tante operazioni israeliane di pulizia etnica, Nelson Mandela ha formulato un pensiero che ritengo possa essere la bussola per chi ama la pace, la Palestina e lotta per un mondo migliore. Ha detto Madiba che La Palestina è la questione morale di questo secolo.
Sì, perché la Palestina è l’ultima parte del mondo tuttora sotto occupazione e la sua popolazione è costantemente privata dei diritti civili e umani, e lo è in Cisgiordania, a Gaza, nei campi profughi nei paesi arabi e anche in Israele. Quello che vogliono i palestinesi è soltanto poter vivere normalmente come tutti gli altri popoli.
Quanto sta accadendo a Gaza dall’8 luglio è un altro tentativo di Israele di eliminare più palestinesi possibile e spingerli ad abbandonare le loro terre. Questa è la terza aggressione negli ultimi otto anni contro la popolazione di Gaza.
I media descrivono la questione israelo-palestinese come una guerra in cui Israele è la vittima che si difende dagli aggressori palestinesi, ma, vedendo le forze in campo, i conti non tornano:
ISRAELE PALESTINA
186500 MILITARI EFFETTIVI 0
445000 RISERVISTI 0
3500 CARRI ARMATI 0
300 AEREI DA COMBATTIMENTO 0
302 ELICOTTERI 0
17 NAVI DA COMBATTIMENTO 0
33 PATTUGLIATORI 0
3 SOTTOMARINI 0
300 BOMBE ATOMICHE 0
Questa monumentale macchina da guerra fa dell’esercito israeliano uno dei potenti al mondo.
Israele è fornito di armi principalmente dagli USA. All’inizio del mese, il senato americano ha approvato altri 300 milioni di dollari per l’armamento israeliano e l’Europa non è da meno, dato che la Germania ha consegnato recentemente un sottomarino a testata nucleare e l’Italia, primo paese europeo fornitore di armi ad Israele, ha dato 2 dei 30 Jet M346 della Finmeccanica il 9 luglio ( una coincidenza con l’attacco israeliano iniziato l’8 luglio?)
La ministra Pinotti mente quando dice che non sono velivoli da combattimento: gli M346 sono infatti considerati aerei più agili e consoni ad operazioni come quella di Gaza.
La partecipazione americana ed europea alla strage non avviene solo con la vendita di armi, ma anche attraverso soldati con doppio passaporto, che combattono nell’esercito israeliano. Fiamma Nirenstein, nota sionista che vive illegalmente in un insediamento in Cisgiordania, ha intervistato, per il quotidiano berlusconiano “Il Giornale”, i soldati italiani.
Secondo l’UNRWA, l’agenzia ONU per i profughi palestinesi, dall’8 luglio ad oggi sono morti 1975 palestinesi , di cui 1417 civili, tra i quali 459 bambini e 239 donne.
Ai morti si sommano oltre 10.000 feriti, più di 15000 case abbattute, interi quartieri rasi al suolo, più di 250.000 sfollati, 10 ospedali, 130 scuole, moschee e chiese bombardati, e anche le poche fabbriche ancora in funzione ( il 20%, dato che l’80% ha chiuso per l’assedio) sono state distrutte mandando sul lastrico i propri lavoratori.
I morti israeliani sono 2 civili e 67 soldati.
Israele usa armi non convenzionali, come gas tossici, ordigni al fosforo bianco, bombe DIME, quelle a grappolo, quelle che, al momento dell’esplosione, rilasciano centinaia di schegge di metallo che vanno a colpire chiunque si trovi nelle vicinanze, provocando gravi lacerazioni e malformazioni. La popolazione di Gaza viene usata come topo da laboratorio per l’industria bellica israeliana.
Gaza: una prigione a cielo aperto
A Gaza non c’è acqua potabile, non c’è elettricità e hanno bombardato l’unica centrale della Striscia, con ovvie e tragiche conseguenze; manca il cibo, mancano le medicine, manca il cemento per ricostruire.
Gaza – con i suoi 40 km di lunghezza e 10 km di larghezza, con 1 milione e 800 mila abitanti, di cui 1 milione e 300 mila profughi a causa della Nakba del 1948 e della Naksa del 1967 – è un’immensa prigione a cielo aperto. In questo carcere, non entra e non esce uno spillo se Israele non vuole, i contadini muoiono nei campi che costeggiano le frontiere e la stessa sorte tocca ai pescatori, che non possono pescare oltre le 3 miglia, mentre le convezioni internazionali prevedono 12 miglia.
Alleato di Israele oggi è l’Egitto del dittatore Al Sisi, che ha chiuso il valico di Rafah ai medici, ai convogli di solidarietà (a Genova 6 containers di un’organizzazione di solidarietà sono fermi da maggio) e collabora con Israele per l’annientamento della popolazione di Gaza, per un calcolo politico interno egiziano seguito alla destituzione del legittimo presidente Morsi, eletto per la prima volta democraticamente.
Israele, in questi giorni, ha anche occupato una zona di 3 km su tutto il perimetro di Gaza, facendone una zona cuscinetto e riducendo il già poco spazio dei palestinesi. Anche il responsabile della Croce rossa italiana, Francesco Rocca, paragona la situazione dei civili di Gaza a quella di una tonnara, perché queste persone sono intrappolate in una rete: se anche volessero non possono uscire e questa è una vergogna che si sta consumando davanti all’intera comunità internazionale.
E’ una guerra questa?
Dobbiamo avere il coraggio di dire che stiamo assistendo ad un genocidio, nell’ indifferenza del mondo.
L’occupazione della Cisgiordania
Gaza, con la Cisgiordania e Gerusalemme Est, costituisce lo Stato di Palestina, riconosciuto Paese osservatore non membro dell’ONU, come il Vaticano (voglio ricordare che i palestinesi hanno accettato di vivere sul 22% della Palestina storica). Abbiamo appena detto come hanno ridotto Gaza e ora prendiamo la carta geografica odierna della Cisgiordania e confrontiamola con quella del 1967: le zone densamente popolate ( le città) sono circondate da insediamenti, non sono collegate tra loro; ci sono più di 500 check points tra fissi e mobili; per andare da un città all’altra, se vengono utilizzate le by pass roads non autorizzate ai palestinesi ci si mette una decina di minuti da Gerusalemme a Ramallah, altrimenti anche cinque ore! Immaginate la vita di un operaio, di uno studente, di un malato…
Poi c’è il muro: qualche giorno fa ricorreva il decimo anniversario della decisione della corte di giustizia internazionale, che sanciva l’illegalità di questo muro di apartheid e chiedeva la sua demolizione.
Questa richiesta, come tutte le risoluzione dell’ONU (centinaia), sono sempre disattese da Israele senza che il mondo cosiddetto libero e democratico abbia avuto qualcosa da dire. Quale altro paese al mondo può permettersi altrettanto, considerando anche che sono state fatte le guerre per far rispettare le risoluzioni dell’ONU?!
Gerusalemme Est è stata annessa illegalmente da Israele e continua l’ebraizzazione della città contro la sua popolazione cristiana e musulmana, che viene spinta a lasciare la città, sfiancata dalle azioni dei coloni che si impossessano delle loro case, approfittando anche di leggi ad hoc, come quella dell’ Absenty: sei presente fisicamente ma sei assente giuridicamente e pertanto ti porto via la casa e la assegno a un colono.
Israele si dice l’unica democrazia del Medio Oriente, nonostante sia senza una Costituzione e senza confini; ebbene, gli arabi israeliani, cioè quelli che nel ‘48 riuscirono a non essere cacciati, rappresentano oggi più del 20% della popolazione, nel ‘48 erano 153.000 e possedevano l’85% delle terre, oggi sono 1.300.000 e possiedono il 3% delle terre, hanno vissuto sotto regime militare fino al 1965, sono considerati cittadini di serie C e la politica israeliana sta facendo di tutto per indurli ad andare via, in nome della realizzazione di un stato puro ebraico.
Non è razzismo questo? Dov Lior, il rabbino capo di Hebron e di Kyriat Arba, sostiene che mille vite non-ebraiche non valgono l’unghia di un dito di un ebreo.
L’operazione mediatica della ricerca dei tre coloni
Ma perché questo feroce attacco in questo momento, subito dopo il fallimento dell’ennesimo round dei cosiddetti colloqui di pace? Qual è l’obiettivo politico?
La tattica di Israele, da quando le elezioni democratiche palestinesi del 2006 hanno sancito la vittoria di Hamas, è stata quella di dividere i palestinesi, in modo da non aver un interlocutore unico che possa parlare a nome dell’intera popolazione, e, conseguentemente, in modo da poter continuare la politica di occupazione e quella degli insediamenti. Purtroppo questa politica ha avuto successo, grazie anche all’ambiguità dell’ANP, ma il popolo palestinese ha continuato a chiedere l’unità di tutte le forze politiche e sociali per fare fronte ad Israele e ha costretto le forze politiche a costituire il governo della riconciliazione di un paio di mesi fa.
Da subito, Israele ha iniziato le manovre per fare fallire il nuovo governo e tornare alla situazione precedente, manovre culminate con l’episodio dell’uccisione dei tre coloni (coloni vuol dire persone che – illegalmente – stavano in quel territorio occupato).
Questa operazione, non rivendicata da nessuna organizzazione palestinese ma di cui Israele ha subito accusato Hamas, è stata smascherata grazie alle inchieste di giornalisti indipendenti tedeschi e francesi, che hanno scoperto che i tre giovani sono stati assassinati immediatamente dopo il rapimento da altri ebrei per scopo di rapina e gettati nel campo nei pressi di Hebron, dove sono stati trovati tre settimane dopo.
Il capo della polizia israeliana ha confermato di aver immediatamente informato Netanyahu, ma il primo ministro ha chiesto di mantenere il massimo riserbo, anche attraverso la censura ai giornali e televisioni (il democratico stato d’Israele ha un agente in ogni redazione di giornale o televisione per verificare quali notizie vengono pubblicate e trasmesse).L’episodio è stato utilizzato per dare la caccia ai presunti colpevoli e durante questa ricerca sono stati assassinati una ventina di palestinesi, demolite una decina di case e arrestato più di 500 palestinesi di varie formazioni ma soprattutto membri di Hamas, tra cui deputati ed ex prigionieri scambiati con il soldato Shalit.
L’obiettivo chiaro era e rimane quello di dividere nuovamente i palestinesi per perpetrare l’occupazione colonialista della Palestina e proseguire con la pulizia etnica.
Quale tregua?
Da giorni si parla di tregua e si accusa Hamas di rifiutarla oppure di infrangerla. Intanto non è Hamas a rifiutare la tregua, perché a Gaza, sebbene Hamas sia la più forte, sono presenti tutte le organizzazioni palestinesi e tutte sono concordi nel rispettare la volontà popolare di non ritornare alla situazione antecedente all’8 luglio, cioè all’assedio ed all’embargo che durano da 8 anni, da quando cioè Hamas ha vinto democraticamente le elezioni politiche del 2006, elezioni riconosciute da tutti gli osservatori internazionali presenti come le più democratiche mai effettuate in un paese arabo.
Che tregua è questa se nelle sue condizioni Israele ha il diritto di continuare le sue azioni militari alla ricerca dei famosi tunnel? Nelle tregue umanitarie di tutti i conflitti, i cittadini approfittano di queste ore per tornare a casa loro e, se queste sono ancora in piedi, per cercare i loro beni. Invece L’IDF, contravvenendo alle convenzioni internazionali, spara e uccide questi civili. Dopo la presunta cattura del soldato israeliano Hadar Goldin, cattura che Hamas non ha rivendicato, la reazione israeliana è stata la sospensione della tregua e 130 morti a Rafah. I nazisti alle Fosse Ardeatine avevano preso 10 italiani per ogni nazista ucciso nell’azione partigiana di via Rasella. In questo caso, il rapporto è di uno a 130!
La popolazione dice sì al cessato il fuoco e alla tregua se è accompagnata dalla fine dell’assedio e dell’embargo: i palestinesi non hanno bisogno di tunnel, vogliono un porto per esportare i loro prodotti, vogliono un aeroporto per poter viaggiare, vogliono poter pescare, vogliono poter coltivare le loro terre, vogliono la libertà. È questa la base di una vera tregua con un conseguente cessate il fuoco.
Questa posizione è stata adottata anche dal comitato esecutivo dell’OLP e pertanto tutti i palestinesi sono uniti su queste richieste e sono oggi al Cairo in un’unica delegazione per cercare di fermare il massacro.
L’ideologia e la propaganda sionista
In questa lotta i palestinesi hanno a fianco degli israeliani straordinari: dai refusnik che si rifiutano di rispondere alla chiamata dei riservisti e vanno in galera, da chi fa interposizione con i contadini, da intellettuali come Ilan Pappé (leggete i suoi libri, soprattutto La pulizia etnica della Palestina), da giornalisti in prima linea come Amira Hass e Gideon Levy ( leggete i loro articoli su “Haaretz” oppure su “Internazionale”), dai gruppi ebraici che rifiutano il sionismo, in Italia abbiamo il gruppo ECO (ebrei contro l’occupazione) e intellettuali come Moni Ovidia ( leggete il suo intervento all’assemblea della lista Tsipras del 19 luglio) .
Questi israeliani sono riusciti a resistere a sessantasei anni di propaganda da parte di governi che, sia a destra che a sinistra, eseguono, dal 1948 ad oggi, una pulizia etnica quotidiana nei confronti dei palestinesi.
Il problema sta nell’ideologia sionista che è alla base del movimento creato da Theodor Herzel alla fine del XIX secolo, sull’onda dei movimenti nazionalistici europei e dell’antisemitismo che era diffuso in Europa.
I capisaldi del movimento sionista, espressione della borghesia capitalista ebraica, erano e sono:
- Una terra senza popolo per un popolo senza terra
- Saremo l’avanguardia della civiltà contro le barbarie
Non è vero che la Palestina era una terra vuota: nel 1897 ( quando è nato ufficialmente il movimento sionista), c’erano 800 villaggi e 20 città, nei quali vivevano 600.000 arabi di tutte le religioni ( musulmani, cristiani ed ebrei) e anche circa 25.000 immigrati ebrei sfuggiti dai pogrom della Russia zarista e dell’Europa.
La spartizione della Palestina adottata con la Risoluzione ONU 181 del novembre 1947 era di per sé un’ingiustizia, perché assegnava al nascente stato di Israele il 56% del territorio e agli abitanti autoctoni il 44%, anche se la popolazione araba era maggiore di quella ebraica affluita massicciamente, grazie alle potenze europee, prima, durante e dopo la seconda guerra mondiale.
La guerra del maggio ‘48, risultato di questa spartizione ingiusta, ha visto Israele conquistare altro terreno, fino ad arrivare al 78% della Palestina storica, praticando una pulizia etnica in modo scientifico ed espellendo circa 800.000 palestinesi che sono diventati profughi in Siria, Libano, Giordania, Gaza e Cisgiordania.
Nel dicembre del 1948 l’ONU ha adottato la Risoluzione 194, che chiedeva il ritorno dei profughi presso i loro villaggi ed abitazioni. La risoluzione non è mai stata rispettata: ora questi profughi sono più di 5 milioni e vogliono esercitare il loro diritto al ritorno, come stabilito dalla legalità internazionale.
Come fermare il massacro
Cosa possiamo fare oggi di fronte al genocidio di Gaza?
1) Chiedere con forza la fine dell’aggressione israeliana.
2) Smascherare la politica israeliana non cadendo più nel tranello che ogni critica ad Israele equivale ad essere antisemita.
Tutti noi riconosciamo e condanniamo la Shoah, ma che colpa hanno i palestinesi dello sterminio degli ebrei in Europa?
Oggi dobbiamo dire con chiarezza che Israele adotta una politica e dei metodi nazisti, con l’unico scopo di uccidere più palestinesi possibile e costringerli ad abbandonare altra terra. Purtroppo il mondo cosiddetto civile ha messo in cantina la sua coscienza e ha seppellito quell’umanità sviluppata dopo tante guerre.
Noi oggi possiamo manifestare e parlare liberamente perché i nostri padri e nonni hanno fatto la Resistenza, usando tutti i mezzi possibili, e anche loro venivano chiamati terroristi dai nazisti e fascisti.
La Resistenza è un diritto inalienabile di ogni popolo sotto occupazione e che lotta per la sua autodeterminazione ed è sancito dal diritto internazionale, diritto che abbiamo praticato noi, i francesi, i vietnamiti e tanti altri popoli.
3) Bisogna essere vigili perché ora Israele utilizzerà maggiormente i giornali, le televisioni, le pressioni sui governi, i loro intellettuali portavoce, come i famosi scrittori Oz, Grossman e Yehoshua per convertire l’aggressione in legittima difesa, Per questo, è necessario fare controinformazione.
4) Dobbiamo aderire alla campagna BDS ( boicottaggio, disinvestimento e sanzioni) http://www.bdsitalia.org/, che è una arma non violenta formidabile, come insegna il Sud Africa.
5) Dobbiamo chiedere che le istituzioni, anche le nostre a tutti i livelli, condannino l’aggressione israeliana (come ha fatto il comune di Parma giovedì scorso) e interrompere ogni collaborazione con quelle israeliane
6) Dobbiamo chiedere che il governo italiano, oggi presidente dell’Unione europea, si attivi immediatamente affinché il nostro Paese e i Paesi membri dell’Unione interrompano la fornitura di armi, munizioni, sistemi militari e ogni accordo di cooperazione militare con Israele.
7) Il 21 settembre in Sardegna iniziano manovre israelo-italiani con F15 e F16 attualmente in azione a Gaza. Dobbiamo chiedere al nostro governo di annullare queste esercitazioni.
Voglio concludere con le parole di Edward Said, un grande intellettuale palestinese, espulso dalla sua Gerusalemme nel ‘48 e morto nel 2003, dopo avere insegnato lingua inglese e letteratura comparata alla Columbia Univerisity di New York: La tragedia del popolo palestinese è essere vittima delle vittime perché purtroppo le vittime sono diventate carnefici, sebbene i palestinesi non abbiano alcuna responsabilità con il genocidio ebraico avvenuto in Europa.
Per finire, non possiamo non ricordare Vittorio Arrigoni, i cui articoli, scritti nel 2008/2009 sotto le bombe di Piombo Fuso, sembrano descrivere esattamente quanto succede oggi. E come allora lui concludeva i suoi reportage, anche noi ci congediamo con l’esortazione all’umanità di uomini e donne:
RESTIAMO UMANI