MGF: un’emergenza umana globale, oggetto di una tavola rotonda in Loggia

aprile 8, 2014 in Approfondimenti da Sonia Trovato

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Da sinistra: Naima Daoudagh, Adriana Apostoli, Piera Maculotti, Donatella Albini, Wanda Ielasi

Dire “stop” alle mutilazioni genitali femminili può sembrare un po’ prepotente, ma con questo incontro vogliamo superare la contrapposizione tra il femminismo europeo e i movimenti che accusano queste posizioni di arroganza etnocentrica. Con questa perentoria affermazione Piera Maculotti, firma del Bresciaoggi e del Gruppo 2009, chiarisce sin dall’inizio che il pomeriggio dedicato alle mutilazioni genitali femminili, nato dalla collaborazione tra la nostra testata e la Commissione delle Pari Opportunità, non sarà un mero snocciolamento di cifre, ma un j’accuse a un fenomeno per il quale, precisa la ginecologa e consigliera comunale Donatella Albini, non esistono attenuanti interpretative di nessun genere. Non esistono perché si tratta di pratiche che hanno compromesso la salute e l’equilibrio psichico di 140 milioni di bambine di almeno trenta Paesi, posti perlopiù nel continente africano.

Le mutilazioni genitali femminili sono un tabù, un tema che sentiamo lontano nel tempo e nello spazio, ma che nella realtà globale ci riguarda e ci coinvolge, spiega Maculotti. Le bagneruole che sfidano il Mediterraneo e la Bossi-Fini, gremite di migranti che scappano da guerre e miseria, ci sbattono in faccia questioni che il vecchio Continente credeva di aver archiviato definitivamente, in quanto confinate a periodi remoti, alle Crociate, ai tempi in cui re Carlo, tornando dalla battaglia di Poitiers, si ritrovava la sposa soave di castità, con la cintura in me grave, come canta De andrè.

Le mutilazioni sono prassi probabilmente millenarie, da sempre indebitamente associate al mondo islamico, ma che hanno in realtà un’origine oscura, che il silenzio dell’Occidente – un Occidente trincerato dietro un inusuale rispetto delle tradizioni locali ironizza Albini – non rischiara. In ogni caso, precisa Naima Daoudagh, mediatrice culturale in ambito sanitario e componente delle Pari Opportunità, il fenomeno non riguarda l’Islam e non ha niente a che fare con la religione. È fondamentale comprendere che nella pratica delle mgf non esiste un valore di riferimento, poiché si tratta di un problema di tutela dell’infanzia, di violazione dei diritti umani, di una barbarie contro le stesse bambine che poi troviamo dietro i banchi delle nostre scuole.

FOTO 11Le mutilazioni vengono generalmente effettuate con strumenti rudimentali, in condizioni pericolose e da parte delle anziane del villaggio che, improvvisandosi chirurghe, utilizzano vetri rotti o altri materiali di scarto. Le conseguenze per la salute sono devastanti: fatica ad urinare, tetano, AIDS, cicatrici, mestruazioni dolorose, neurinoma, sterilità, parti travagliatissimi. Naima Daoudagh riporta il caso di una giovane donna di ventiquattro anni, costretta a saturare le proprie parti intime di profumo per coprire l’odore asfissiante di urina, tragico effetto della vescica irrimediabilmente lesionata da una mgf.

Che fare, dunque? A livello istituzionale, l’ONU ha emanato, nel novembre 2012, una risoluzione che richiama gli Stati membri a promuovere e realizzare non solo attività di sensibilizzazione e formazione, ma anche misure punitive, al fine di eliminare questa pratica che causa gravi danni eFOTO 7 provoca conseguenze immediate e a lungo termine. Anche Amnesty International, con la campagna “Il mio corpo, i miei diritti”, ha espresso ferma condanna nei riguardi di questa diffusissima pratica di mortificazione della sessualità femminile.

Ma non è sufficiente. Non basta dire stop, bisogna prendersi cura globalmente di chi le pratica. Se l’integrazione è reale, le mgf iniziano a venire sentite come pratiche inaccettabili continua Donatella Albini. Per quanto riguarda i soggetti da responsabilizzare, la ginecologa e consigliera non ha dubbi: i medici di base, gli operatori sanitari, le interpreti, gli operatori nelle scuole.

E, naturalmente, la politica migratoria e sociale è imprescindibile, perché, come sottolinea l’antropologa e psicologa per gli “Psicologi per i Popoli nel Mondo” Wanda Ielasi, più la permanenza è incerta, più la famiglia immigrata farà fatica a rinunciare alle mgf, per il timore che le figlie si ritrovino un giorno a rientrare nel paese d’origine e che vengano considerate delle cattive mogli. Quindi, continua l’antropologa, non si tratta di cattiva genitorialità, ma del terrore di condannare le proprie figlie alla marginalitàRispetto e accoglienza, accoglienza e rispetto. Due parole chiave che, se poste al centro delle politiche migratorie, possono contribuire a debellare questa tortura socialmente – e inspiegabilmente – accettata.

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