Medici e filosofi, l’infinito delle parallele
maggio 21, 2018 in Recensioni, Salute da Roberta Basche
Le parole della cura, scritto dal filosofo Umberto Curi e pubblicato dall’editore Raffaello Cortina, è una riflessione, attraverso il mito e la storia, su alcuni termini legati al concetto di cura: medicina, terapia, farmaco, chirurgia.
L’assunto da cui muove l’autore è poco rassicurante: la ricerca scientifica è in molti casi errata e molti dei risultati a cui perviene sono incerti. Se la medicina si basa su tali ricerche quali possibilità vi sono per i pazienti di ricevere cure adeguate? Possiamo fidarci della medicina odierna?
La medicina non è una scienza, ma un’arte che si appoggia alle scienze di base per costruire la propria pratica.
La medicina conserva una fondamentale ambivalenza nella tensione fra una base rigorosa, sostanzialmente coincidente con i risultati resi disponibili dal progresso delle conoscenze propriamente scientifiche in campi come la fisica, la chimica e la biologia e lo sviluppo di un’attività irrimediabilmente condizionata da una pluralità di variabili soggettive.
E’ un’arte che cerca di approssimarsi alla verità scientifica. La clinica, cioè la pratica medica, è esposta all’errore: l’errore è tutto intorno a noi e si insinua in ogni occasione.
Asclepio è il protagonista del mito legato all’arte medica e l’ambivalenza legata alla sua nascita (strappato da Apollo al rogo sul quale brucia la madre Coronide…da Atena ha ricevuto il sangue sgorgato dalla testa mozzata della Gorgone, dotato di proprietà ambivalenti) è la stessa che porta in sé la medicina: un’arte capace insieme di salvare la vita e procurare la morte.
L’origine del termine terapia rimanda a servizio ed obbedienza. Il terapeuta è colui che serve e obbedisce al malato. L’autore evidenzia come oggi il concetto si sia ribaltato: è il paziente ad obbedire al medico.
E’ il medico quindi che dovrebbe rimettere la propria conoscenza (seppur instabile e non definitiva) al servizio del malato.
Il capitolo riguardante il farmaco si può introdurre con la frase di Victor Hugo: Medico è colui che introduce sostanze che non conosce in un organismo che conosce ancora meno.
Anche il farmaco porta in sé la duplicità insita nella medicina: può agire sia come rimedio che come veleno. Scriveva Paracelso: solo la dose fa sì che non diventi veleno.
Infine il capitolo sulla chirurgia: è un lavoro con le mani che agisce eliminando, sostituendo, integrando l’organo o il tessuto malato. Nel lavoro della mano è insita una forza che interviene creando una nuova forma. Il chirurgo altera la normalità precedente e ne produce una nuova.
Si esce dalla lettura del libro con qualche dubbio: è utile oggi la medicina? E’ pericolosa? Possiamo fidarci dei medici?
La conclusione parrebbe essere: vade retro medicina!
La duplicità della medicina si esplica però anche nel suo avere dei pregi.
Sebbene non rappresenti la panacea per tutti i mali (Panacea era figlia di Asclepio) non è neppure il male assoluto. Sebbene sia fallace, tenta di avvicinarsi, con le conoscenze e l’esperienza alla cura migliore.
Un esempio riguarda la prevenzione e la cura delle malattie infettive: la scoperta degli antibiotici e la diffusione dei vaccini hanno rivoluzionato, in positivo, la storia naturale di tubercolosi, polmonite, morbillo, malaria, solo per citarne alcune.
La qualità della cura è opera del medico, che non funge da mero dispensatore di farmaci o esecutore di interventi; con umanità si prende cura (sollecitudine, premura, interesse) del paziente.
La medicina non salva la vita dalla morte, non rende immortali; è solo un rimedio temporaneo per placare, in alcune situazioni, la sofferenza.
E’ utile, laddove riconosca i propri limiti e si ponga in ascolto del paziente.
Riprendendo le parole in esergo al testo tratte dal Carmide di Platone- Di fatto, oggi, questo è l’errore che fanno gli uomini, ossia che alcuni cercano di essere medici della saggezza o della salute, ma separatamente l’una dall’altra– auspichiamo medici (e filosofi) della saggezza e della salute.