Luce d’addio, risplendi
ottobre 4, 2016 in Approfondimenti, Recensioni da Mario Baldoli
Congedarsi è doveroso e necessario, ma impossibile. È una frase della prefazione del filosofo Sergio Givone al suo ultimo libro Luce d’addio. Dialoghi dell’amore ferito, Olscki editore.
In quella frase dell’introduzione incontriamo la prima aporia: la necessità e l’impossibilità. Un’aporia – cercata – che nel proseguo dell’opera continua negando da subito la distinzione tra Essere e Nulla, il tradizionale fondamento della filosofia. Ma indica anche nell’amore la forza che poteva far convivere i contrari e invece è ferito o ucciso.
Cinque dialoghi, Lucrezio si presenta a san Girolamo che lo ha diffamato (l’unico dialogo tra pensatori vissuti in epoca diversa), gli altri invece tra pensatori coevi: Francesco da Barberino spiega a Cecco d’Ascoli le ragioni per cui lo ha fatto condannare a morte; Un oscuro professore chiede a Kierkegaard di essere ricevuto in casa sua; Dostoevskij e Turgenev si danno appountamento a Dresda; Celan vorrebbe da Heidegger una “parola a venire”.
Ovviamente non si tratta delle interviste scipite che fanno la gloria dei giornali.
Givone fa dialogare ogni volta due pensatori che mettono a confronto la loro visione del mondo, come espressa nelle loro opere.
Quando in filosofia si parla di dialoghi, il richiamo va inevitabilmente a Platone. Se in Platone il dialogo è sapere e franchezza, Givone vi aggiunge la ferita, quella mancanza d’amore che la cultura del moderno ha voluto.
Ecco due dialoghi.
Essere e non essere. Lucrezio è il giovane appassionato che conosciamo. Spiega a san Girolamo: E’ in funzione della verità che l’Essere si mostra come nulla, nulla di ragioni, nulla di senso – e la verità appare. L’Essere non ha in sé alcuna ragione d’essere. Esso non è che il vuoto, l’immenso vuoto spaziale e temporale. E’ solo il vuoto a comprendere e tenere insieme il tutto (…) non c’è senso nelle cose, esse transitano senza fine dall’essere al non essere.
Girolamo sorride: Bella danza, governata dal caso.
Lucrezio attacca il dio di Girolamo: Dio può vedere e impedire il male, ma non lo impedisce. Di uno così si può dire che si comporta in modo completamente insensato e folle.
A Girolamo non resta che replicare, a mo’ di Leibniz, che la scelta di Dio è “la migliore possibile”. E concludere con paternalistico affetto: Sei un pazzo che dice la verità. Ma il suo sarcasmo cade nel vuoto, Lucrezio è scomparso.
Vengo al dialogo più attuale, quello tra Heidegger e Cioran, un confronto avvenuto anche nella realtà. Finita la guerra, i due si incontrano in un Lager, ormai trasformato in un giardino, visitato “da turisti”.
Cioran rimprovera Heidegger per il suo silenzio sui Lager. Ma Heidegger di cui è nota l’adesione al nazismo (per cui fu sospeso dall’insegnamento nel 1946, e l’antisemitismo venuto alla luce con la recente pubblicazione di parte degli inediti Quaderni neri – si veda Heidegger e gli ebrei di Donatella Di Cesare), ribatte: Scusarmi dei milioni di morti, dell’Olocausto? Ero forse io il colpevole? Non solo non mi dispiaceva, ma quel che doveva accadere, che non poteva non accadere, era inevitabile che accadesse. (Quando occorre Heidegger si scopre hegeliano) Nella notte del mondo l’uomo è destinato a perdersi senza scampo, questo destino trova la sua stazione finale nei campi di sterminio, un processo che risucchia il mondo tutto intero in un vortice di autoannientamento. Bene e male non hanno più luogo nella stazione finale.
Cioran ribatte: No professore! lei non può mettere sullo stesso piano i carnefici e le vittime. Nei campi arrivava un’umanità dolente, accolta da un’umanità feroce.
Heidegger, che ha sempre banalizzato la Shoà, replica: Nei Lager si compie un processo mondiale cui hanno lavorato gli stessi che ora gridano allo scandalo. Spettri anche loro, come sono spettri i carnefici e le vittime. Si tratta di una differenza su cui le categorie morali non hanno più presa. Il male e il bene non ci sono più. Ovunque, in ogni angolo della terra l’uomo ha ucciso l’altro uomo, l’ha usato come mezzo, non come fine (E si scopre kantiano, allineato ai filosofi che aveva abbattuto).
Cioran ribatte: No, questo ha avuto luogo qui e solo qui., tra superuomini e subumani.
Heidegger continua a banalizzare il confronto: I campi sono fabbriche di morte come tutte le altre fabbriche. Il nulla è più forte della necessità. Che errore bandire il nulla! Sono arrivato dove nessuno era mai arrivato, ho identificato l’essere con il nulla, io!
Cioran: La parola che si può dire (che si doveva dire) è parola amorosa, parola d’amore.
Così, con la Luce d’addio, ogni dialogo finisce, con l’insanabile ferita d’amore.