L’Orchessa, la caricatura dei nostri sogni
maggio 22, 2015 in Recensioni da Mario Baldoli
La prova del racconto – si dice – è più difficile di quella del romanzo. Ora, a parte La suite francese, Irène Némirovsky ha trovato il genere espressivo più congeniale nel romanzo breve e nel racconto. E continua a stupirci perché in soli 39 anni (nasce a Kiev nel 1903 e muore ad Auschwitz nel 1942) la sua produzione è stata enorme e particolarmente sensibile la sua esperienza della vita, mentre il riconoscimento della sua intelligenza e delle sue capacità è inevitabilmente tardivo.
Dal 2005 Adelphi pubblica con cadenza pressoché annuale una sua opera, e il flusso non è finito. Quest’ultimo libro L’orchessa e altri racconti (trad. di Simona Mambrini) contiene, fra gli altri, gli ultimi due capitoli scritti nel 1941, in piena persecuzione nazista, quindi firmati con pseudonimi.
Con L’orchessa, Némirovsky affronta in maniera caparbia alcuni dei suoi temi fondamentali.
L’ingenua e divorante voglia d’amare delle quindicenni (l’età è ricorrente): A quindici anni la gioia è impaziente, quasi dolorosa. E fa duro contrasto con la delusione rassegnata delle loro madri , chiuse nei fallimenti matrimoniali: La felicità…Sì, a vent’anni la felicità mi sembrava qualcos’altro, più terribile, più vasto, ma i desideri, meravigliosamente, si ridimensionano, diventano più accessibili a mano a mano che si avvicina la fine di tutti i desideri. Inevitabile che a volte queste madri scarichino sulle figlie i loro fallimenti. Gli squallidi mariti le tradiscono finchè non diventano vecchi e impotenti (allora si scusano, insinuando magari che le mogli non amavano il loro amore).
Il difficile rapporto genitori-figlie: I figli ci deludono sempre. Triste sorte quella dei genitori. La durezza delle zitelle, divenute aride e perennemente in lotta con la povertà.
Il rifiuto di invecchiare delle donne di successo, ormai brutte, imbellettate come le vecchie che da tempo hanno rinunciato a piacere ma continuano a truccarsi, senza convinzione né diletto, solo per abitudine o per decenza.
Eppure non c’è lamento nei suoi scritti, solo il silenzio della solitudine, le cose pensate, le cose non dette. Così la verità di queste storie si impone, asciutta e inesorabile, priva di sentimentalismo e ridondanze.
Il ritmo attraversa le persone, ne esplora i sentimenti, ma rimane veloce, a volte cinematografico, serrato: si legga il primo racconto Una commedia borghese, con i tagli e le dissolvenze di una pellicola moderna.
Ma Irène Némirovsky ha un limite evidente: rifiuta o tratta brevemente, quasi en passant, la descrizione del sesso maschile nell’adolescenza, il che risalta a confronto della ampie descrizioni femminili.
Chi ha tempo da perdere può anche trovare facilmente in Freud tali ragioni, ma uno scrittore si giudica solo per le sue opere, come una persona per quello che fa. E alla fine è difficile non concordare con lei: Il più delle volte la vita ci restituisce la caricatura dei nostri sogni.