Lolita, Nafisi e il nostro totalitarismo
gennaio 13, 2023 in Approfondimenti, Persia da Mario Baldoli
Seduto davanti al bidet coperto da una grande valigia a far da scrivania, Vladimir Nabokov lavorava in un monolocale di Parigi negli anni Venti: usava il gabinetto per non svegliare il figlio piccolo.
Il saggio di Azar Nafisi, Quell’altro mondo, Nabokov e l’enigma dell’esilio, ed. Adelphi, trad, di Valeria Gattei, pubblicato in Iran nel 1994, arricchito ora da un’ampia premessa, è il primo tassello di una trilogia completata da Leggere Lolita a Teheran e La repubblica dell’immaginazione, ambedue Adelphi. La passione della scrittrice iraniana Nafisi per Nabokov è nella comune esperienza dell’esilio, della censura e della necessità di scrivere. E tutti e due hanno un grave difetto.
Nafisi, rientrata in patria nel 1979, l’anno della rivoluzione di Khomeini, impossibilitata a continuare ad insegnare letteratura inglese all’Università di Teheran, decide, a rischio della propria vita, di organizzare nella propria casa un seminario per sette delle sue allieve, per il godimento della lettura e per discutere alcuni dei più importanti capolavori della cultura occidentale, per infrangere le regole di un regime censorio: Il seminario diventò il nostro rifugio, il nostro universo autonomo, una sorta di sberleffo alla realtà di volti impauriti e nascosti nei veli della città sotto di noi. Così le studentesse “attraversarono” la Rivoluzione islamica iraniana: sotto il velo, in un intreccio di contraddizioni, la rivendicazione dell’identità culturale e nazionale della propria gente, voglia di Occidente ma rifiuto di appiattimento in esso.
Nafisi fa conoscere Nabokov e alcuni scrittori occidentali a giovani ragazze: Nabokov che lei amava perchè era lo scrittore più vicino alla sua esperienza. Leggere Lolita a Teheran è indimenticabile per la comprensione immediata da parte delle studenti del sistema totalitario e della censura, era la sfida al catechismo islamico usando uno dei suoi invincibili nemici: la letteratura.
Leggere Lolita a Teheran (tradotto in 32 Paesi) mostra anche la differenza tra le partecipanti. Fra passi avanti e indietro, dubbi e coraggio, ciascuna compie il proprio incerto percorso.
Quando le forze totalitarie dei mullah conquistano il potere, il loro primo atto è il dominio sulle donne. L’attuale rivolta di donne, uomini, studentesse e studenti contro il governo, nata il 16 settembre 2022, mostra quale forza emerge dal buio e quanto coraggio occorra nel combattere la dittatura religiosa, maschile e opprimente.
La censura è spiegata da Nafisi con i versi del poeta suo contemporaneo ed amico Ahmad Shamlu in Un vicolo cieco:
Ti annusano la bocca
Nel caso tu abbia detto: Ti amo.
Ti annusano il cuore:
sono tempi strani, mia cara.
Fustigano l’amore
Ai posti di blocco.
Nascondiamo l’amore nel ripostiglio.
In questo vicolo cieco
Alimentano il fuoco
Bruciando canti e poesie.
Non azzardarti a pensare:
son tempi strani, mia cara.
Nel dramma di Lolita le studentesse leggono la violenza che toglie alla dodicenne protagonista la voglia di vivere, ne soffoca la libertà, la fa sentire colpevole. Sentono che la censura entra nel personale: non ci si può tenere per mano; posso mettere la cravatta? non posso scrivere liberamente perchè la censura è penetrata nell’intimo, nel modo di parlare e di pensare, si nasconde nella nostra coscienza, distrugge l’identità personale, trasforma il privato in politico.
La parola più usata da Nafisi per definire la censura è “confisca”. Il regime confisca 3.000 anni di storia persiana, la cultura, la tradizione, il modo di vivere, persino i fumetti in cui la protagonista non è sposata col maschio che le è vicino, modella il presente, fa scomparire l’individualità dell’arte, però “se gli specchi sostituiscono le finestre e la porta è ancora chiusa, l’aria entra dalle fessure”.
Il maggior limite del libro, esaltato in occidente anche grazie ai mass media, ma criticato dagli iraniani, è la mancanza, nell’insegnamento di Nafisi, di un rapporto tra gli scrittori occidentali e la grande tradizione persiana. Esistono i primi, sono talvolta accennati i secondi, ma tremila anni di storia scompaiono.
L’altro tema che l’avvicina a Nabokov è l’esilio: una doppia morte, che non è solo la perdita della propria terra e progressivamente della propria lingua (per lui il russo), ma l’isolamento, l’emarginazione, la distruzione dei libri e, per Nabokov, anche della preziosa collezione di farfalle che catturava fin da piccolo, passione ereditata dal padre (sull’esilio e la disperazione che comporta, v. Hanna Arendt, Noi rifugiati, a cura di Donatella di Cesare, Einaudi).
Ma in Nabokov, Nafisi scopre un altro aspetto.
Per Nabokov la censura è un assurdo fallimento. Anche l’aggettivo “assurdo” compare spesso nella critica di Nafisi. Nel suo romanzo Invito a una decapitazione, il protagonista vive la condizione di essere legato alla realtà, ma di trovarsi in un mondo irreale: la moglie che lui ama lo tradisce con chi capita, la sua famiglia va a trovarlo portando anche mobili da casa, la data dell’esecuzione resta incerta, rimandata, quando è fissata si ammala il boia, quando mette la testa sul ceppo la scena si fa quasi comica spostandosi su pensieri convenzionali.
Un aspetto della poetica di Nabokov è far conoscere gli avvenimenti attraverso i dettagli: “carezzate i particolari”, diceva ai suoi studenti. Quando insegnava letteratura russa, chiedeva loro di disegnare la casa della Metamorfosi di Kafka, uno scrittore che amava, o disegnare i vestiti di Kitty. Nei suoi romanzi si viene a sapere più dai personaggi che testimoniano che dal protagonista.
Nel romanzo In un mondo sinistro l’autore va oltre: il totalitarismo non solo sottomette i suoi sudditi e li combatte, ma lega un ribelle al proprio sventurato paese con le corde dell’affetto, con la leva dell’amore. La realtà scivola via: il protagonista vede polizia e soldati come messaggi bizzarri, illusioni che lo opprimono e svaniscono come attori in un teatro.
Dal 1940 al 1960 Nabokov si trasferisce in America della quale lo disgusta la volgarità e il conformismo di considerare tutto dal punto di vista economico.
Lì Nabokov mostra che il totalitarismo è ovunque nel mondo, anche nei paesi democratici: Lolita è una vittima ed è una ragazzina americana con una sua dose di infantile malizia, ambiguità e trasgressione così che la tensione tra lei e il vecchio Humbert diventa insopportabile, e Humbert suscita disgusto ma anche compassione. È la prova che il totalitarismo è penetrato anche qui nelle relazioni più intime. E’ il mondo in cui viviamo.
Non a caso i suoi autori preferiti erano Puskin, Tolstoj, Gogol, Cechov. Gli unici che si opponevano all’orrore della realtà: con essi Nabokov si collega alla grande letteratura russa. Per lui erano spazzatura Freud, Sartre, Dostoevskij di cui scrive:
Ascoltando i suoi ululati notturni,
Dio si chiese: davvero può essere
Che tutto quanto ho dato in dono
Fosse così spaventoso e complicato?
Nabokov cerca lo spazio d’incontro tra il bello e l’orribile, lo scontro tra la realtà e la magìa della finzione. Quando un personaggio raggiunge una personalità viva, l’immaginario del lettore diventa carne e ossa, un corpo che si carica di significato nella realtà quotidiana, allora un brivido passa nella spina dorsale.
Il lettore ideale è uno cui piace viaggiare abbandonando la propria realtà per il mondo immaginario dello scrittore senza portare con sé pregiudizi. Lungo il cammino il lettore ideale si nutre delle briciole di pane lasciate sul sentiero dallo scrittore e, alla fine del viaggio, scopre un sé sconosciuto. Ciò che ottiene il lettore è il risultato della sua visione e l’incontro con l’arte del romanzo e di chi l’ha scritto.
È lo schema della vita umana: l’irrecuperabilità del passato, l’incontentabilità del presente, l’imprevedibilità del futuro. Nella sua autobiografia Parla, Ricordo spiega anche come nascono i nomi dei suoi personaggi, sempre anagrammi o allusioni o traduzione dall’amata lingua russa. Nulla di causale, forse un modo di lasciare delle tracce da parte di chi era un appassionato di problemi scacchistici, gioco anch’esso in cui sono fondamentali i dettagli e, come nei suoi romanzi, modo di imporre pause e ostacoli. Ultimo elemento che nota Nafisi: in ogni suo romanzo c’è un aspetto comico, ultimo sberleffo all’idiozia del totalitarismo.
di Mario Baldoli