L’intermittenza del rumore
dicembre 2, 2018 in Recensioni da Viola Allegri
Con un fulminante inizio: La modernità è avvento del rumore, David Le Breton getta le basi del suo ultimo saggio Sul silenzio, fuggire dal rumore del mondo, (trad. Merlin Baretter, p.280) Cortina editore.
Massacrato dal piacere del nuovo, il silenzio è scomparso nella vita quotidiana sostituito da rumori ormai incontrollabili.
Le Breton cita spesso il filosofo e poeta Max Picard: Una volta il silenzio copriva tutte le cose (Il mondo del silenzio, Sotto il Monte 2007). Il rumore ci accompagna ovunque: a volte è un sottofondo diffuso, a volte è l’urlo violento dei martelli pneumatici, l’aggressione di radio e televisione, il traffico, i cantieri, le ambulanze, gli allarmi degli antifurto.
Ma anche il silenzio ha una sua ambiguità: il taciturno può essere o sembrare altezzoso, frasi come: “Spesso mi pentii di aver parlato, mai di aver taciuto”, “Il silenzio è d’oro”, o espressioni calate in un romanzo: Il silenzio, questo timido diniego, questa tacita protesta contro le opinioni celebrate dalla folla. (Thackeray, La fiera delle vanità), fanno pensare a un sovrano disprezzo.
L’autore a questo punto indaga sulla comunicazione, il racconto spesso penoso di sé nei Social Network sostituisce la parola con dialoghi che sono monologhi narcisisti. A volte le parole anticipano il ragionamento: come i tweet di chi governa, si potrebbe aggiungere.
Il silenzio è finito anche se cresce follemente una comunicazione, non rumorosa, ma portatrice di velocità e arroganza, nemica della riflessione, della lentezza, della durata. Bello e brutto del silenzio: mentre i sofisti parlavano ad Atene, qualcuno celebrava il parlar laconico, il costume degli Spartani di esprimersi con il minor numero di parole possibile, come avviene ancora oggi in alcune realtà cristiane.
La parola può essere una belva, dà luogo al fraintendimento e al lapsus. La parola sanciva il predominio dell’uomo che poteva interrompere la donna, sempre considerata pettegola tanto che ancora nel Cinquecento si usava nel nord Europa La museruola delle comari.
Il silenzio ha tanti sensi, non è una panacea, a volte è incapacità di ribellarsi o denuncia una psicosi, come il Bartleby di Melville.
L’analisi di Le Breton è vasta, attraversa gli usi delle religioni, dei popoli, delle epoche, le sensibilità individuali e di gruppo.
Il suo metodo mi richiama Proust: circonda e analizza l’argomento da ogni punto di vista, e coglie lo stesso Proust in una particolare tonalità di silenzio, mentre si trova dalla parte di Guermantes, vicino al campanile Saint-Hilaire: Avrei voluto potermi sedere là, stare tutta la giornata a leggere ascoltando le campane: si stava così bene, c’era tanta quiete che, quando l’ora suonava, pareva non spezzasse la calma del giorno, ma lo liberasse di quel che conteneva. Un campanile con l’esattezza indolente e attenta di chi non ha altro da fare.
Oppure Albert Camus: Ormai ridestato, riconoscevo a uno a uno i rumori impercettibili di cui era fatto il silenzio: il basso continuo degli uccelli, i sospiri leggeri e brevi del mare ai piedi delle rocce. Le vibrazioni degli alberi, il canto cieco delle colonne, il fruscio degli assenzi, le lucertole furtive. Perché il silenzio è l’intermittenza dei suoni, è uno stato leggero dell’anima, un donarsi all’interno di un rapporto, una fusione là dove la parola è invece divisione.
L’imponente bibliografia citata dall’autore è tuttavia quasi esclusivamente francese e inglese. Mancano due presenze tedesche importanti: Hegel e Heidegger. Questi notò che l’uomo affonda nella chiacchera per sfuggire all’”essere per la morte”; e che l’infondatezza della chiacchiera esime dal compito di una comprensione genuina, ma diffonde una comprensione indifferente per la quale non esiste più nulla di inaccessibile. Piuttosto attuale, si direbbe. Hegel avrebbe forse operato una sintesi per uscire dalla contrapposizione: l’armonia, la musica che non appartiene a nessuno dei due corni del dilemma, ma li supera.