L’inevitabilità del dolore in tre tragedie inedite del Cinquecento
febbraio 26, 2015 in Letteratura da Mario Baldoli
Chiunque si occupi seriamente del lago di Garda, passa attraverso il libro di Bongianni Gratarolo, la “Historia della Riviera di Salò”, un’opera di fine Cinquecento che racconta opere e vita, leggende e avventure del Garda sulla sponda bresciana.
Le tre tragedie riguardano il mondo della Grecia più antica: Altea, Astianatte, Polissena, ora pubblicate da Libere Edizioni.
Le tragedie si collegano all’Iliade, all’Odissea, alle Troiane di Euripide, ad Ovidio, alla Troade di Seneca, com’era nella sensibilità sincretica dell’uomo rinascimentale.
Altea, madre di Meleagro, si adirò tanto col figlio da far bruciare il tizzone che era l’organo della sua vita. In Astianatte si assiste alla furia con cui gli Achei cercano il piccolo figlio di Ettore per sacrificarlo e avere un buon ritorno. Il dolore della madre è il motivo conduttore della tragedia.
Polissena era figlia di Priamo: al momento di sposare Achille, Paride uccise con una freccia l’eroe acheo. Il figlio di Achille Neottolemo sacrificò la donna sulla tomba del padre per vendicarne la morte.
Chiediamo al professor Riccardo Sessa, che ha curato il volume di Libere Edizioni: com’è avvenuta la scoperta?
Per caso leggo sulle pagine della “Historia della Riviera di Salò” che il Gratarolo è anche tragediografo: ha scritto “Altea”. Nella biografia di Giuseppe Brunati, storico e archeologo del primo Ottocento, scopro che Gratarolo ha pubblicato anche “Astianatte” e “Polissena”. Le trovo in Queriniana. A quel punto si doveva decifrarne la grafia, dividere le parole secondo l’uso moderno, eliminare il superfluo, mantenere alcune caratteristiche grafiche originali, non intaccare gli accenti e la metrica dei versi.
E lei riesce a farsi capire dal lettore di oggi.
Non è così difficile. Col tempo diventa una routine, ma è un impegno fondamentale e propedeutico alle fasi successive. Una volta capito il messaggio dell’autore, bisogna rispettarlo e renderlo fruibile ai lettori.
Lei ha anche curato l’introduzione all’opera e al suo destino nel tempo, un apparato critico di prim’ordine: note che sono una sorta di lettura verso per verso, introduzione agli atti e ai cori.
Le note spiegano i costrutti difficili, le parole arcaiche, le figure retoriche e, soprattutto, evidenziano le connessioni con le fonti latine: Ovidio per l’Altea, Euripide e Seneca per le altre due tragedie.
Il lavoro immagino sia stato emozionante.
Immergersi nelle questioni linguistiche, nelle interpretazioni dei testi, nei tentativi di una corretta ricostruzione fa dimenticare il tempo che passa (“è già ora di cena?”).
C’è un’attualità in queste tragedie?
Individuare in epoche diverse messaggi validi ancora oggi, riempie il cuore di gioia e fa capire che al di là della tecnologia, che pure è necessaria, gli studi letterari veramente arricchiscono l’uomo e lo rendono capace di agire consapevolmente nei più vari contesti.
Ci faccia qualche esempio.
Pensiamo alla felicità, spesso ingannevole e sempre transeunte, al dolore concreto e tangibile che coinvolgono tutti i ceti sociali. Anzi chi è in alto precipita più rovinosamente.
Il rifiuto della guerra, causa di dolore per i vinti e i vincitori, è alla base delle ultime due tragedie che riecheggiano il messaggio senecano; questo si proietta nel futuro e trova conferma nelle opere di vari autori che implorano la pace in diversi modi. “Le Troiane” di Euripide si confondono con “Les Troyennes” di Sartre: a distanza di secoli le madri denunciano la morte di figli innocenti, vittime della barbarie umana che non si estingue.
Il “Meleagro” di Pavese, protagonista del dialogo “La madre”, si chiede ancora se è meglio morire o non essere mai nati. E’ una grande soddisfazione far rivivere il passato, mostrarne l’attualità e cercare di costruire un futuro migliore.
E ora?
Sto per pubblicare l’opera completa di Giuseppe Voltolina, un altro salodiano del Cinquecento, citato anche dal cardinal Querini, uno tra i massimi scrittori dell’epoca.