Leonardo Sciascia oltre l’illuminismo
gennaio 7, 2014 in Letteratura da Mario Baldoli
“Ce ne ricorderemo di questo pianeta” volle scritto sulla sua tomba Leonardo Sciascia e volle andarsene con un crocifisso d’argento vicino. Agli aspetti religiosi e non illuministici – un insolito approccio a Sciascia – è dedicata la prima parte di “Todomodo. Rivista internazionale di studi sciasciani”, un volume di 300 pagine, pubblicato dall’editore Leo Olschki. Un’ opera voluta dagli “Amici di Leonardo Sciascia”, ora arrivata al terzo numero La rivista è arricchita da molti ritratti inediti di Sciascia ad opera di Mario Francesconi e da ritratti di amici o artisti di cui parla Sciascia nei suoi libri. Infine si legge anche un intervento di Sciascia stesso a Radio radicale.
“Contraddisse e si contraddisse”, diceva di sé Sciascia, ed è naturale, dato che dalla sua prima opera (una raccolta poetica) Favole della dittatura del 1950 alle ultime Una storia semplice e Il cavaliere e la morte del 1989, passano quarant’anni di un tempo. Più profonda è la ragione della sua ricerca dentro i nodi del potere, ricerca che fu il tratto unificante della sua letteratura e della sua vita. In tale tempo inquieto, Sciascia, scrittore impegnato, dovette fare i conti con tensioni, anche esistenziali, che lo portarono ad entrare direttamente nella vita politica diventando parlamentare italiano e europeo, e ad intervenire, fuori dal coro, sul caso Moro e sul tema della mafia.
Sciascia è uno scrittore non comune nel panorama letterario italiano, frequentatore di generi letterari ai margini della critica: il pamphlet nelle sue scaturigini settecentesche, la cronaca narrativa, il poliziesco a sfondo civile, i processi di stampo giornalistico e ottocentesco. Il tutto espresso in una scarna brevità.
Ritratto di Mario FrancesconiConsiderato ormai un “classico” europeo, come mostrano le molte traduzione delle sue opere, Sciascia è, per il lettore comune, come per la maggioranza dei critici, uno scrittore essenzialmente illuminista. Così si definisce lui stesso: “un illuminista, ma non ateo (…) Credo nella ragione umana, e nella libertà e giustizia che dalla ragione scaturiscono”
Andando controcorrente, molti interventi di “Todomodo” vogliono dimostrare la presenza della religione e della religiosità nella sua opera. Perché di tracce, sul tema, ne ha lasciate poche, ma significative (Paolo Squillacioti, curatore dell’Opera omnia per l’editore Adelphi).
Quali sono le prove?
Soprattutto il fatto che Sciascia, aldilà dell’illuminismo, si interroga ad oltranza, pervaso da uno spirito scettico che accompagna i suoi temi fondamentali: verità, giustizia, potere, ragione (Massimo Naro intervenendo su Il consiglio d’Egitto).
Sciascia fa anche emergere il conflitto tra razionalità e fede. Sciascia condanna aspramente gli aspetti esteriori del cristianesimo: le feste religiose, i santi patroni, un diffuso rapporto di corruzione che si instaura con Dio, quasi che Dio fosse un’entità simile a un ministero (Intervista di Sciascia a Radio radicale).
E’ questo l’ateismo di cui – lui pensa – la chiesa dovrebbe preoccuparsi ben più che dell’ateismo vero e proprio che ritiene quasi inesistente.
Scrive Ottorino Gurgo: Sono convinto che sia del tutto errato parlare di una (sua) conversione avvenuta nell’approssimarsi della morte perché la religiosità permeò tutta la vita di Sciascia e tutta la sua opera. Sono convinto che egli fu, essenzialmente, un grande spirito cristiano. Quindi è costretto a definire la “conversione” di Sciascia come non conversione. Alcuni critici notano come negli ultimi libri si faccia strada in Sciascia il sentimento della pietà con richiami manzoniani, benchè in Manzoni razionalità e religione vivano separati, mentre in Sciascia convivono nelle inchieste dove tutto si fonde, dal potere alla ricerca della verità.
Angiolo Bandinelli, ancora analizzando Il consiglio d’Egitto, ricorda però che Sciascia non fu attirato dalla figura di Cristo, né dall’idea di resurrezione: “Il suo cristianesimo si ferma lì”.
Allora gli studiosi cercano nel metodo le prove della sua religiosità: l’opera di Sciascia è leggibile in modo analogo a quella di Pascal per lo slancio comune, il nesso tra contradditorietà e verità: In Pascal, il referente ideologico è la teologia, anche se Les Provinciales, i Pensées sono letteratura, in Sciascia la materia saggistica assume i modi del racconto. Il tratto unificante è l’acutezza.
Ma ciò fa pensare soprattutto a un cedimento di fronte alla “scommessa di Pascal”, un’affermazione decisamente non filosofica.
Quindi, prove nel complesso piuttosto deboli.
In coda agli interventi, spicca il saggio di Marco Codebò sul rapporto testo/archivio. E’ proprio attraverso le fonti d’archivio, da Sciascia tanto studiate, che il potere attua la sua censura, distrugge le prove e autentica il falso. Ma la verità trascende la storia, di qui la necessità etica di decodificare, liberarsi delle illusioni, scoprire il vero, ben sapendo che “il profondo non si tocca se non attraverso la superficie”.