Le ragazze della IV A

giugno 25, 2013 in Nuovi cittadini da Beatrice Orini

DSCN0774Justine viene dal Benin, ha lunghe treccine nere e ama studiare storia per scoprire che cosa hanno fatto i “grandi uomini” per costruire questo nostro mondo. Tejinder, bravissima a scuola, si sente portata soprattutto per economia, che le piace perché dietro di essa c’è la realtà di tutti i giorni. A Ramandip, invece, economia aziendale proprio non entra in testa, però le piace scrivere e ha appena vinto un concorso letterario. Entrambe sono nate in India, a differenza di Simona che viene dallo stesso Paese ma è nata in Italia. Lei è appassionata di danza, che pratica e insegna, e alla sfilata di fine anno sembrava una principessa, così elegante nel suo coloratissimo abito orientale. Rajae è marocchina, in classe è sempre sorridente e attenta, specialmente nell’ora di geografia, la disciplina più amata perché le permette di conoscere i vari posti del mondo; d’altronde il suo sogno è viaggiare e scoprire nuove culture. Klevisa è nata in Albania, odia la matematica ed è un tipo di poche parole e pensieri acuti; un futuro senza differenze di religione e nazionalità è ciò che desidera di più.

Che cosa hanno in comune queste sei ragazze, tra i diciassette e i vent’anni? Innanzitutto la stessa classe dell’istituto Capirola – indirizzo Ragioneria – di Leno, nella bassa bresciana. E il fatto di essere nuove italiane, nate o venute piccolissime nel nostro Paese a raggiungere il padre operaio o muratore, stabilitosi qui per primo. Di solito sono arrivate accompagnate dalla madre (in un caso dalla sorella maggiore) e i loro fratelli minori sono nati in Italia.

Sono sei ragazze – quattro cittadine italiane anche formalmente – con una storia simile, ma ogni volta diversa. Con la stessa duplicità di appartenenza, le stesse nostalgie per un Paese lontano ma ancora vicinissimo… Mi manca la mia Africa – racconta Justine – l’aria fresca e selvaggia che si respira, mi mancano tanto mia madre, mia nonna, le mie cugine. Mi manca esattamente tutto della mia bella e dolce Africa!

Dell’Italia le ragazze amano tante cose, ma ne odiano una sola: la politica, che mangia i soldi della gente e non lascia spazio ai giovani, i vecchi al potere pensano sono al bene loro e non del Paese. Klevisa precisa che a non piacerle è la Lega Nord e, in generale, non sopporta le persone razziste, cioè quegli italiani – continua Justine – che non si sono resi conto che siamo nel 2013: trattano gli altri come fossero disgustosi e sono convinti di essere i migliori. A Rajae non piace la gente ignorante, a Ramandip i bulli, a Tejinder l’arroganza di alcuni compagni, quelli che ti salutano solo quando sono da soli e quando sono in gruppo fanno finta di non conoscerti: sono vuoti, sono schiavi che dipendono da un gruppo. Io preferisco essere me stessa.

La difficoltà più grande, per le ragazze, è spesso il relazionarsi con gli altri: Klevisa sostiene di faticare, Tejinder di aver bisogno di tempo, Rajae che non sia facile. Justine si impaurisce quando è circondata da troppe persone, Simona si intimidisce, Ramandip crede che le difficoltà siano molte ma che si risolveranno. La scuola piace proprio perché permette nuove conoscenze e amicizie, consente di esprimere la propria parola, di apprendere e formarsi. Anche di emozionarsi: quando prendo un bel voto dopo aver studiato tanto – racconta Tejinder – mi sento gratificata: è bellissimo perché ricompensa le mie fatiche.

L’Italia piace per il paesaggio, il verde, il clima, i servizi pubblici (in India, afferma Simona, ti curano solo se hai soldi e nella polizia c’è troppa corruzione). E ancora, per la cultura, la musica, il cibo. Il cibo! Nella classifica dei piatti preferiti, le sei studentesse non hanno dubbi: al primo posto c’è la pizza, al secondo le lasagne, al terzo la piadina di Leno, a pari merito con un piatto tipico del Paese d’origine, come il cous-cous o la samosa e il pollo tikka.

Gli italianima solo alcunisono apprezzati per la simpatia, la gentilezza, l’accoglienza. Anche per la voglia – qualche volta – di conoscere l’esperienza di noi immigrati, di comprendere le motivazioni della nostra presenza qui, dichiara Tejinder, rivelando che è a scuola, negli studenti, che riscontra la mentalità più chiusa. Secondo le ragazze, il rapporto con gli stranieri varia molto dagli incontri: c’è gente prevenuta e che ha paura, ma anche persone curiose, interessate, meravigliose. Secondo Ramandip, siamo noi stranieri che dovremmo fare un passo avanti e fargli capire che in questo mondo dobbiamo vivere insieme.

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Nel tempo libero, le sei giovani vedono gli amici, passeggiano, leggono, esprimono la loro creatività disegnando o scrivendo, ascoltano la musica: pop, rap, hip-hop… Di qualsiasi genere, basta che mi prenda il cuore e abbia un ritmo da ballare, puntualizza Justine. Poi sognano di viaggi, di università, di aprire una propria attività. Sperano in un futuro con un lavoro che le renda indipendenti, un marito bello e buono, una mia famiglia, una mia casa. Non lo immaginano per forza in Italia, il loro avvenire, magari in Inghilterra, in Belgio o in Canada. C’è chi dice che se penso di restare qui sono pessimista, sennò no, e altre che non desiderano partire: d’altronde, i nostri genitori sono venuti qui per noi.

Ma qual è il Paese di queste ragazze? L’Italia o l’India, l’Africa, l’Albania? Non è semplice rispondere: può essere l’Italia perché sono cresciuta qui, oppure no, perché pur avendo la cittadinanza italiana non mi sento cittadina vera. No, non è semplice: la cittadinanza italiana non ti garantisce poi così tanti diritti, sei considerato lo stesso una straniera con un pezzo di carta. Talvolta, semplicemente, è impossibile rispondere: non lo so, quando torno nel mio Paese mi sento straniera e anche in Italia mi sento tale.

Insomma. Noi desideriamo rispetto e collaborazione per un bel futuro insieme, ma qui è difficile per la nostra generazione. Per i nostri figli sarà più facile.

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