Le fatiche di un artista per “tenere bottega”: Tiziano e la grafica

gennaio 8, 2017 in Arte e mostre, Recensioni da Laura Giuffredi

Tiziano Le botteghe e la graficaIl saggio di Peter Lüdemann Tiziano. Le botteghe e la grafica (Alinari 2016) è il quarto titolo della collana Tiziano e l’Europa  e fa da pendant a Le botteghe di Tiziano, di Giorgio Taglaferro e Bernard Aikema,  del 2009.

Lo studio minuzioso, attraverso l’esame di specifiche opere a stampa e disegni, svela il mondo dell’artista cadorino come maestro di bottega nel corso di tutta la sua lunga carriera, dalle prove giovanili e quelle della vecchiaia,  per quanto riguarda la grafica.

Si svela così un “marchio” Tiziano, un “sistema” che connota di sè il gusto artistico dell’Europa del XVI secolo.

Innanzitutto si evidenzia il valore autonomo della grafica tizianesca, non necessariamente vassalla della produzione pittorica e, anzi, raramente riferibile a successivi dipinti. È vero infatti, come annota Vasari, facendone un motivo di critica a Tiziano ed a tutta la scuola veneta, che il nostro snobbava la preparazione grafica dei suoi dipinti, preferendo svilupparne la progettazione direttamente sulla tela.

AutoritrattoEppure i disegni del cadorino sono numerosi, ma andranno intesi come opere con un ruolo autonomo, utili ed anzi nevralgiche nella sua strategia commerciale, per accrescere il prestigio ed il raggio d’azione della sua bottega, e stabilire utili relazioni con i migliori incisori del momento, come ad esempio Giulio Campagnola.

La bottega diventa così una “fabbrica di immagini”, frutto di un lavoro collettivo, sempre però sotto la rigida sorveglianza del Maestro.

Generalmente le prove migliori sono frutto di interessi convergenti tra un editore/stampatore, che mette a disposizione il capitale, l’artista, che desidera far circolare a sua idea figurativa e funge da regista dell’operazione, e l’incisore o, per la silografia, uno o più intagliatori.

Il risultato, specialmente nelle opere precoci, come il “Trionfo di Cristo” o la “Sommersione del Faraone”, può essere di una certa disomogeneità stilistica, e tali opere sono diventate il terreno sul quale gli specialisti, come l’autore del presente volume, si sono impegnati in molteplici ipotesi attributive, lasciando anche aperte molte questioni.

Risulta comunque evidente che, col tempo, l’artista volle creare, con la grafica,  una nuova tipologia d’opera d’arte, fine a se stessa: composizioni paesaggistiche attentamente equilibrate, a livello esecutivo spesso affidate al talento del giovanissimo Domenico Campagnola e destinate a soddisfare una richiesta nata grazie all’incipiente moda del collezionismo privato.

Le stampe della maturità diventano poi anche stampe “di riproduzione”, cioè riproducenti opere pittoriche già eseguite da Tiziano e bottega, che sono richieste da più parti e dimostrano la sua fama ormai internazionale.

Lo studio di Lüdemann  ci consente oggi di cogliere l’impegno costante e la preoccupazione di Tiziano, anche e forse soprattutto in età matura, ad accaparrarsi “fette di mercato”, destreggiandosi diplomaticamente e faticosamente tra le corti papale dei Farnese, imperiale degli Asburgo, ducale estense e gonzaghesca, non trascurando i legami con l’università di Padova ed i suoi intellettuali più in vista. In questo contesto non stupirà il sodalizio con Andrea Vesalio per la supervisione dell’apparato illustrativo del “De humani corporis fabrica” (1543), in particolare per quegli “scorticati” che ricordano, nelle posture, certi nobiluomini della ritrattistica tizianesca.

scorticati

Soprattutto tra il sesto e l’ottavo decennio del Cinquecento, l’ormai vecchio artista concepisce una grafica autonoma, alla quale saranno debitori, dopo la sua morte, Carracci, Van Dick, Rembrandt e persino Watteau.

La minuziosa analisi che questo studio ci offre, ci consegna un decisivo contributo anche all’inquadramento della complessa personalità del pittore.

Ad esempio pare evidente come, soprattutto nello scorcio della vita e produzione dell’artista, la sua bottega fosse impostata secondo una struttura gerarchica ove Tiziano non era certamente l’unico a maneggiare penna, inchiostro e matita, ma senz’altro monopolizzava gelosamente l’ “inventio”, e non volle insegnare agli allievi e collaboratori tutto quello che avrebbe potuto, lasciandoli così in una posizione decisamente subalterna: non ci fu dunque futuro, per la bottega, dopo la sua morte, avvenuta il 27 agosto 1576, e non fu solo colpa della peste.

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