Le abbreviazioni: tra velocità ed oscurità del messaggio, il caso del dentista francese
aprile 4, 2017 in Approfondimenti, Recensioni da Marco Castelli
Il primo messaggio telefonico che ho ricevuto, ormai quasi 10 anni fa, recitava: “Questo è il tuo num? Visto la XXX stase, ma te ne parlo doma”. Oggi quell’amico ed io sicuramente ci vergogneremmo di queste espressioni (essendo dei “grammar nuts” entrambi) e, per fortuna, non ne abbiamo più bisogno: i piani tariffari a forfait ed alle varie applicazioni di messaggistica elettronica hanno praticamente eliminato la necessità dell’utilizzo ingenuo delle abbreviazioni sofferto dai pionieri delle comunicazioni elettroniche. Nonostante il risparmio di caratteri quella comunicazione si rivelò però tutt’altro che inutile e il mandare poi un messaggio dall’estero a quella stessa XXX fu segno dell’essere un gran cavaliere: pronto a spendere quasi un euro per qualche parola d’oltrefrontiera. Parole, chiaro, abbreviate anch’esse.
Se mi trovassi oggi davanti ad un SMS del genere, escludendo la sciatteria del mittente, potrei pensare tutt’al più al tentativo di creare un linguaggio mimetico, come, ad esempio, è avvenuto nelle banlieues francesi con la nascita del verlaine e accade nei “cavalli” per il traffico di droga.
Scriver veloce. Sistemi tachigrafici dall’antichità a Twitter (ed. Olschki), pubblicazione degli atti dell’omonimo convegno tenutosi a Rovereto nel maggio 2014, dà profondità storica alla riflessione sulle forme della stenografia, presentando i due pendant della ricerca di brevità e di segretezza, bilanciati in un modo o nell’altro nei corsi e ricorsi della storia.
“Di fronte a un fenomeno scrittorio, di qualsiasi natura esso sia, bisogna sempre tenere conto di tre aspetti fondamentali: i processi di produzione, le caratteristiche formali e la funzione di quanto prodotto” scrive Alessandro Tedesco nella Premessa al volume, ed è dalla bussola di questo prisma interpretativo che si dipanano gli interventi, sfumando dei particolari che nel corso dei secoli hanno contribuito a far parte del concetto di “abbreviazione”.
Cominciando dalla pietra per poi toccare gli altri supporti, gli approcci sono particolarmente mutati nella continua relazione tra fenomeno culturale e mezzo tecnico. Così se nel periodo medievale (come riportato nel saggio di Marco Petoletti, Verbum Abbreviatum. Il medioevo, le abbreviazioni), la conoscenza stenografica era considerata necessaria per ogni persona esperta di trivio e quadrivio, nelle epoche successive (trattate in più saggi ma in particolare in Scritture segrete e crittografie nei manuali per scrivere lettere nel Settecento italiano di Fabio Forner) l’utilizzo delle abbreviazioni era diventato affare da popolani: i signori dovevano dimostrare di essere ricchi a sufficienza da non aver necessità di risparmiare la carta ed anzi, mostravano di potersi permettere ampi margini ai lati del foglio.
Come suggerisce Giovè Marchioli d’altronde “un aspetto importante, forse prioritario del problema sembra essere non solo il documentare come nascano e si evolvano le abbreviature in generale, o particolari classi di abbreviature, ma il capire perché si usino e con una frequenza sempre maggiore, le abbreviature”
Ed in questo senso è facile capire come fin dall’antichità “spazio e tempo, ora separatamente ora congiuntamente ora in misura differente l’uno dall’altro, intervengano nel ricorso alle strategie abbreviative che sono commisurate ai contesti, ai supporti della scrittura ed alle tipologie di messaggio” scrive Paolo Poccetti in Abbreviare la pietra. Prassi e percorsi nell’epigrafia antica tra lingua e scrittura. Si sono poi aggiunti nelle comunicazioni virtuali due altri fattori: il costo e soprattutto la riduzione “autoimposta”.
Facendo riferimento esclusivamente al contesto del web (escludendo quindi alcuni particolari ambiti come quello dei “writers”, di cui scrive Alessandro Mininno, Writing. Quando “Scrivere veloce” è una necessità), sono proprio costo e riduzione che hanno più disegnato l’uso delle abbreviazioni su questo medium.
Se il problema del costo nella maggior parte dei casi si è oggi ridotto o risolto, e la necessità di velocità porta più ad un aumento e comune accettazione degli errori di battitura che ad un utilizzo cosciente e accettato delle abbreviazioni, è interessante il fenomeno dell’autolimitazione dei caratteri nelle comunicazioni di alcune piattaforme. È come se davanti alle infinite possibilità d’archivio del web, il quale tuttavia funziona anch’esso tramite l’abbreviazione del sistema binario, come scrivono Andrea Caranti e Chiara Giberti in Tra brevitas e secretum, note sui linguaggi cifrati, si sia sentita la necessità di una riduzione autoimposta, esemplificata dal funzionamento del social network Twitter. Se il contributo di Patrizia Bertini Malgarini ed Ugo Vignuzzi, Abbreviare nel mondo digitale: il caso di @Pontifex dimostra che questa necessaria brevitas non ha ridotto la chiarezza del messaggio evangelico papale, è difficile pensare che alla riduzione dei caratteri non si sia accompagnata anche una preoccupante semplificazione del pensiero, cosa che le abbreviazioni, in epoche di scarsezza nei supporti di scrittura e nei mezzi di archiviazione avevano impedito.
Corsi e ricorsi di una ricerca espressiva che sperimentiamo nella nostra quotidianità: e chissà se sarà maggiore il risparmio economico del dentista francese che fa scrivere sulla targa davanti al suo gabinetto “SRV. SPV.” (su appuntamento per favore) o lo sbigottimento del povero paziente che dovrà aspettare sofferente le cure, non essendo riuscito a sciogliere l’abbreviazione ed a prenotare l’intervento.