L’anarchico socialista Franz Kafka (2)
gennaio 23, 2024 in Approfondimenti da Mario Baldoli
È piuttosto comune pensare Kafka, con Proust il più grande scrittore del Novecento, come un uomo chiuso in una soffitta a macerarsi in fantasie onanistiche che lo tramutavano in scarafaggio, scimmia e marmotta, con amori falliti e sensi di colpa immaginari e masochistici.
Al contrario, Kafka – oltre a molti incontri amorosi- ebbe ideali e una pratica politica che non abbandonò mai.
Comincia giovanissimo a criticare la comunità ebraica, frequentata anche dal padre (contro cui scrisse la Lettera al padre) trovando intollerabile che le alleanze di fede diventassero alleanze d’affari, che la comunità religiosa si trasformasse in circolo sociologico e culturale. Una comunità senza etica. Così come era insegnata e praticata, la storia degli ebrei gli sembrava una fiaba e delle religioni pensava che si perdono come gli uomini.
A sedici anni aderisce al socialismo, idea alla quale resta fedele per tutta la vita.
È un socialismo personale, fondato non sulla lotta di classe né sulla richiesta di maggiori libertà, ma sull’immediata solidarietà tra gli uomini e sul bisogno di uguaglianza. Qualche critico ne dà un’interpretazione psicologica e intimistica, un disperato bisogno di uscire dalla solitudine.
Questo giudizio è fondato su alcune righe del suo epistolario: Tra di loro gli uomini sono legati da funi, ed è già un guaio quando le funi si allentano intorno a uno ed egli scende un pezzo più basso degli altri nel vuoto, e orribile è quando le funi gli si spezzano intorno ed egli precipita. Per questo bisogna aggrapparsi agli altri.
Sempre sedicenne lo troviamo all’associazione anticlericale Scuola libera, legge Darwin, Alexandr Ivanovic Herzen, che dava un’interpretazione evoluzionistica della storia, l’anarchico Petr Kropotkin a cui fa riferimento più volte nel Diari, e Petr Bezruc un poeta ispirato da valori e speranze patriottiche, come in Canti della Slesia, fortemente antitedesco.
Testimonia l’anarchico Michal Mares: Un giorno alla fine dell’inverno del 1910 lo fermai (benchè non lo conoscesse) e gli misi in mano un volantino che annunciava che il Club dei giovani (un’organizzazione ceca anarco-socialista, antimilitarista e anticlericale, sciolta nel 1910 dal governo) e il gruppo politico Wilem Korber (un’associazione dei lavoratori) invitavano gli amici a una lettura sul tema Libero amore. Non ci eravamo nemmeno presentati. Lui venne, e venne anche alla successiva conferenza sul tema: Contro la guerra, sciopero delle madri. Da quel momento venne regolarmente. Prese parte a una tempestosa seduta sciolta dalla polizia (…) nel trambusto egli rimase calmo, ma siccome superava gli altri di tutta la testa (era alto 1.82), fu arrestato e portato al commissariato di polizia. La pena fu mite: un fiorino di multa o 24 ore di arresto. Kafka che era un impiegato molto puntuale pagò il fiorino e volle pagare anche per me.
Altra testimonianza ricorda Kafka alle serate di Bertha Fanta, cui partecipava anche Einstein e dove si parlava di temi d’avanguardia, come la psicoanalisi. Lì conobbe e frequentò Jaroslav Hasek, l’autore de Il buon soldato Sc’veik, un grande libro umoristico e antimilitaristico, che ebbe sessanta edizioni e alcune trasposizioni cinematografiche sulla guerra vista come una rissa da taverna dove galleggia un amabile e idiota soldato, intelligente senza volerlo, prototipo dei milioni di soldati travolti dalla carneficina della Prima guerra mondiale. Hasek con l’amico Lada fondò anche un “partito dadaista” che chiamò in modo beffardo Partito del progresso moderato nei limiti della legge.
Hugo Bergmann, che frequentò le scuole elementari e superiori con Kafka, troncò i rapporti con lui durante il loro ultimo anno accademico (1900-1901), poiché il suo socialismo ed il mio sionismo erano troppo contrastanti. Franz è diventato un socialista, io sono diventato un sionista nel 1898. La sintesi di sionismo e socialismo non esisteva ancora.
Fuori dal liceo Kafka portava un garofano rosso all’occhiello esibendo il suo socialismo. I compagni lo allontanarono quando non si alzò al canto tradizionale La guardia sul Reno davanti alla Moldava.
Scrisse un progetto titolato La società dei lavoratori nullatenenti, due pagine divise in Doveri e Diritti in cui pauperismo e comunismo sono i fondamenti di un mondo ideale.
Il suo lavoro all’Istituto di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro lo mise a contatto diretto con le fabbriche e gli operai. Un funzionario riferì a Max Brod quanto Kafka rimaneva sconvolto vedendo le mutilazioni subite dagli operai per le insufficienti misure di sicurezza: Come sono umili costoro, mi disse una volta con stupore. Vengono da noi a supplicare. Invece di prendere d’assalto l’Istituto e di fracassare ogni cosa, vengono a pregare.
Nel suo lavoro faceva rapporti precisi e molto tecnici. L’Annuario 1910 dell’Istituto riporta un suo lungo intervento sugli incidenti nelle segherie: Le nostre illustrazioni presentano la differenza tra un albero quadrangolare e quello rotondo dal punto di vista della protezione contro gli infortuni. Le lame dell’albero quadrangolare, saldate mediante viti direttamente all’albero, fanno da 3800 a 4000 giri al minuto col taglio scoperto. I pericoli che la grande distanza tra l’albero con le lame e il piano della tavola presentano per il lavoratore appaiono evidenti. (segue una descrizione, veramente impressionante, di come doveva agire la mano dell’operaio in una situazione di rischio continuo e inevitabile). La mano dell’operaio più prudente doveva infilarsi nell’incavatura delle lame quando il legno scivolava in basso o, come avveniva non di rado, era spinto all’indietro nel momento in cui una mano premeva il legno da piallare sulla tavola della macchina e l’altra mano lo accostava all’albero munito di lame…
La relazione continua per altre due pagine mostrando i pericoli di lavorazione di un albero rotondo: in ambedue i casi l’infortunio era sicuro. Seguono le sue indicazioni per migliorare la situazione facendo riferimento a brevetti già esistenti.
A Max Brod scrive a fine luglio 1909 raccontando con tragica e umoristica ironia il suo lavoro:
Sapessi che cosa mi tocca fare! Nei miei 4 capitanati distrettuali – prescindendo da tutti i miei altri lavori – la gente cade come ubriaca dalle armature, precipita dentro alle macchine, tutte le travi si ribaltano, tutte le scarpate si sgretolano, tutte le scale scivolano, ciò che si manda in alto precipita, e si cade dentro a ciò che si fa scendere. E quelle ragazze che nelle fabbriche di porcellana si buttano continuamente sulle scale con pile di stoviglie mi fanno venire il mal di capo.
Non è vero nemmeno che fosse indifferente davanti all’esplosione della Prima guerra mondiale quando l’intervento a fianco dell’Austria era sostenuto dalle autorità e da cortei patriottici: Questi cortei sono tra i più disgustosi fenomeni che accompagnano la guerra. Provengono da commercianti ebrei che ora sono tedeschi, ora cechi, e non possono mai gridare come ora a gran voce (…) auguro tutto il male ai combattenti.
Le sue due ultime amiche, l’amata Milena Jesenskà e Dora Dyamant che lo seguì negli ultimi mesi di vita (Kafka morì a 40 anni, il 3 giugno 1924) aderirono al partito comunista. L’una era giornalista e lasciò presto il partito pur continuando a lavorare su giornali comunisti. Inviò a Brod lettere che meravigliano sempre per quanto profondamente aveva capito Kafka. Morì ad Auschwitz benchè non fosse ebrea, ma perché aveva aiutato molti ebrei a fuggire da Hitler. L’altra nel 1930 aderì al Partito Comunista e sposò Lutz Lask, redattore del giornale “Die Rote Fahne” (Bandiera rossa), quotidiano e organo del partito dove avevano lavorato fino alla loro uccisione nel 1920 Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg.
Dora fuggì con la figlia dalla Germania nel 1936 e raggiunse il marito in Unione Sovietica, dove furono arrestati per l’attività e le idee politiche non in linea con quelle staliniste. Lui fu spedito in Siberia, mentre Dora si rifugiò in Inghilterra. Durante la guerra, fu internata con la figlia, in quanto persone di un Paese nemico. Successivamente rilasciate, restarono a Londra, dove Dora insegnò e fece l’interprete di yiddish. Nel 1949 Dora scrisse a Max Brod: Ho un’infinita nostalgia di Franz. La nostalgia di questi anni si è talmente accumulata che mi trovo a non saper che fare quando ci ripenso. Franz sognava di avere un figlio e di andare in Palestina. Ora il figlio ce l’ho… senza Franz, e vado in Palestina… senza Franz, ma col suo denaro mi compero il biglietto di viaggio. Almeno questo. Morì nel 1952. Solo nel 1973 Lutz Lask poté lasciare la Repubblica Democratica Tedesca, dove viveva senza saper niente del destino di Dora. Lo stesso anno rivide la figlia e morì.
Fra le ultime testimonianze del suo socialismo, aggiungo un commento di Roberto Calasso su Gli ultimi giorni dell’umanità di Karl Kraus: La pace è fondata sul massacro e la guerra è la serata di beneficenza in cui l’umanità mette in scena ciò che normalmente fa, ma non dice, perché il pubblico si entusiasmi e versi un obolo sufficiente a far progredire il massacro. Parole che rispecchiano perfettamente il pensiero di Kafka che conobbe superficialmente, dato che viveva a Vienna.
Kraus conclude: Il mondo perisce e non lo si saprà. Tutto quanto era ieri, lo si sarà dimenticato; l’oggi non si vedrà e non si temerà il domani. Si sarà dimenticato che si è persa la guerra, dimenticato di averla cominciata, dimenticato di averla combattuta. Ecco perché la guerra non finirà.
Parole atroci cui Svevo potrebbe aver attinto per la sua “bomba” sul mondo.
(il prossimo sarà dedicato a Due triangoli amorosi di Kafka)