L’amore di Sciascia per la Jugoslavia
aprile 26, 2015 in Letteratura da Mario Baldoli
Dalla Sicilia alla Jugoslavia. Continuano ad emergere documenti ed esperienze di Leonardo Sciascia da studi che apparentemente non si rivolgono alla sua poetica, ma ai suoi margini: incontri, testimonianze, interviste, carteggi, viaggi, fotografie. Ma leggendoli si comprende come essi non siano realmente marginali, né si limitino a chiarire aspetti della sua vita privata, ma vadano ad incidere e ampliare la conoscenza della sua opera e gli stessi livelli di lettura. Livelli che in Sciascia sono diversi e profondi.
Per questo e per il tono discorsivo si legge con piacere la raccolta di saggi Leonardo Sciascia e la Jugoslavia. Racconto ai miei amici di Caltanissetta della Jugoslavia e di voi: con entusiasmo, con affetto, a cura di Ricciarda Ricorda, Olschki editore.
L’interesse di Sciascia per la Jugoslavia diventa concreto alla fine degli anni Cinquanta quando un intellettuale di Udine, Luciano Morandini, infaticabile fondatore di riviste di cultura, chiede a Sciascia di andare per una conferenza al Centro culturale Piero Calamandrei, dove già erano stati Pasolini e altri scrittori. Molto spinge Sciascia ad accettare l’invito. Ciò che lo attira è quanto sottende al “progetto” di Morandini: coniugare politica e cultura, avvicinare le culture friulana e slovena, aree di confine, come di confine è la Sicilia. Anche lo muove l’interesse che la Jugoslavia suscitava negli intellettuali sensibili alla politica. Un Paese non allineato, comunista ma non dipendente dall’Unione Sovietica, in grado di tenere unite popolazioni con identità e religioni diverse: sloveni, croati, bosniaci, serbi, macedoni. Solo la cultura e l’intelligenza potevano attraversare la cortina di ferro e la guerra fredda.
Altro elemento di attrazione: Sciascia aveva scoperto già prima dell’attribuzione del Nobel, la grandezza di Ivo Andric, di cui aveva scritto: Andric ha rappresentato la sua Bosnia, così come Verga la sua Sicilia, come la Deledda la Sardegna, come Faulkner l’America degli Stati Uniti del Sud. Nella misura dell’amore e della pietà verso la propria terra, della sensibile, profonda, acuta conoscenza di essa, egli ha saputo dare rappresentazione del destino dell’uomo, di tutti gli uomini, nel mondo, nella storia.
Entrato in Slovenia, subito lo conquista il paesaggio: La strada taglia le spesse foreste con imprevedibili slarghi di campi coltivati a grano o a trifoglio, con improvvise apparizioni di campanili e cascine (…) il paesaggio della Slovenia ci pareva incommensurabilmente distendersi, farsi sconfinato ed amorfo: senza misura umana e senza tempo. E lo rende felice la mancanza di pubblicità (Ricciarda Ricorda).
Morandini fa conoscere a Sciascia il poeta e traduttore Ciril Zlobec con cui nasce un’amicizia che dura fino alla morte di Sciascia, amicizia ampiamente descritta da Lisa Gasparotto che intervista anche Giannola Nonino che conobbe Sciascia quando vinse il premio da lei instituito con Kermesse, Sellerio 1983 .
Tempo dopo Sciascia chiede a Zlobec: Io sto preparando ora un numero su Giovanni Verga. Mi piacerebbe molto avere, su Verga, un articolo, una testimonianza, un giudizio di Ivo Andric. Potresti mettermi in contatto con Andric, esporgli tu il mio desiderio? Tuttavia non lo incontrerà mai. Come l’ultimo Verga, Andric si era chiuso nel silenzio.
Preziosa in questo numero è la lunga intervista di Giovanna Lombardo a Zlobec e la cura di una cronologia di quel periodo e degli scritti sulla Jugoslavia.
Zlobec curò anche un numero doppio della rivista letteraria “Galleria” (1961), facendo conoscere al lettore italiano i lavori più rappresentativi dell’arte jugoslava (Neza Pahovnik e Petra Speh). Analogamente molti libri di Sciascia furono tradotti in sloveno e croato (Martina Ozbot).
Seguono sulla rivista altri saggi su Sciascia e la Croazia, la Serbia, la lettura e l’iconografia jugoslava. Fondamentale in proposito il saggio di Francesco Izzo.
Il libro si conclude con una raccolta di testi giornalistici, fra cui spicca la recensione de Il ponte sulla Drina, il dolore che si fa poesia, la condizione psicologica che si traduce in volontà politica, in aspirazione universale, in storia.