L’adolescenza triste: Narciso contro Pasolini
aprile 18, 2019 in Approfondimenti, Recensioni da Mario Baldoli
“Avevo vent’anni, non permetterò a nessuno di dire che questa è l’età più bella della vita”, così Paul Nizan (1905-1940) scrittore e filosofo francese, per lungo tempo amico di Sartre, raccontava in Aden Arabia (1931) il trauma della crescita, del passato che svanisce, del futuro incerto segnato da sgomento e delusioni, in fondo al quale si intravvede la morte.
Dai vent’anni, torniamo indietro all’adolescenza, quando ritroviamo quel dramma oggi diffuso a livello di massa (naturalmente nel mondo dei ricchi, non tra chi ha fame) amplificato dall’uso di internet.
Cerchiamo di capirlo in un saggio collettaneo (p.340, venti autori per quindici capitoli), curato da Matteo Lancini, docente di psicologia all’Università di Milano Bicocca, Il ritiro sociale negli adolescenti. La solitudine di una generazione iperconnessa, Raffaello Cortina 2019.
Il titolo già mostra che si parla di ragazze/i nati con Internet e del loro atteggiamento davanti alla crescita. Un giogo di problemi che può andare sotto una parola: disagio, declinata in molti modi e a varie profondità, accompagnato dalla vergogna e dal dolore.
Solo una breve voce, forse la prediletta di Lancini: Hikikomori: in Giappone un milione circa di giovani, in Italia 240.000, isolati nella propria stanza, lontani dal giudizio altrui, quasi tutti maschi, di estrazione sociale medio-alta, entrambi i genitori laureati, padre dirigente, madre casalinga, ragazzi intelligenti, ma poi arriva l’adolescenza che richiede la sperimentazione di Sé oltre il rifugio familiare e la constatazione che il proprio Sé ha dei limiti. Se la famiglia ha investito molto sul figlio, il suo debutto adolescenziale non tollera la vergogna del possibile fallimento della grandiosità infantile. Un passo indietro, la porta si chiude alle sue spalle.
Decine sono i casi trattati per i quali gli autori suggeriscono possibili interventi anche attraverso strutture specifiche: estese dipendenze, migliaia di contatti facebook senza incontrarsi, sexting e poco sesso. Nel fondo la paura di non essere all’altezza del sé ideale, sia fisicamente sia in un incontro vero, quindi una fuga in diverse direzioni.
Ma il libro non è la solita predica sui mali di Internet, il diavolo a cui si dà la colpa della mela e di tutto il resto. La realtà di questo immenso disagio è volutamente ignorata perché in essa siamo tutti coinvolti e si chiama società, quella che viviamo e abbiamo costruito.
La società del narcisismo è il contesto delle varie dipendenze: essa bandisce la solitudine, la noia – il più sublime dei sentimenti, secondo Leopardi-, l’indipendenza. Da piccolo i genitori trasportano lo sventurato fanciullo da una lezione all’altra: vogliamo che sia un bravo tennista! o un grande musicista! E perché non un ballerino alla Bolle? A scuola va accompagnato perché il mondo esterno è pericoloso. La sua settimana è tutta programmata. Come il compleanno con i compagni e l’animatore.
E’ fotografato in ogni situazione, necessario il selfie, intorno ai 10 anni arriva lo smartphone ed è il festival triviale delle mail, delle foto (l’attrice in copertina col pancione insegna) come i tweet del governo, tutto è spettacolo, troppi sono i modelli identificativi: che profilo o quanti profili mettere nei social? Sarò all’altezza? Un ritocco col photoshop serve sempre. Mi prenderanno in giro? Una bella ansia. Meglio non vederci noi che ci scriviamo, almeno per non deluderci.
Il conflitto, scrive Lancini, non è più tra Io e Super Io, dato che la trasgressione è cancellata, ma tra Io e Ideale dell’Io. Si cresce per delusione, non più per conflitto.
La sovraesposizione porta il dolore: come i frequenti tagli sulle braccia, l’anoressia, le punture dei tatoo: meglio il dolore fisico che quello psichico. Il colpevole è sempre il web, l’invasore. C’è il genitore che sequestra lo smartphone per qualche ora al giorno in attesa di un miracolo, il figlio che sa bene come ingannarlo per nuotare ancora nel virtuale.
Per il futuro Lancini dà qualche indicazione: genitori e insegnanti devono contrastare l’individualismo, il dominio dell’Io, far leggere anche su carta, dove la lettura è molto più profonda.
Ancora: mettersi nei panni dell’altro fa nascere inevitabilmente comprensione, responsabilità, empatia. Purtroppo i primi a vivere la società narcisista sono i genitori, quelli che vogliono figli-fenomeno, strani animali col becco e gli occhi strabuzzi, l’inevitabile selfie col mare sullo sfondo.
Gli adulti potrebbero riconsegnare la società ai bambini, che giochino, facciano la lotta, si sbuccino le ginocchia, che si torni ad un tempo più umano, invece guardano a ciò con orrore.
La scuola deve dare esperienze formative, è ridicolo immaginare, come spesso si legge, che immigrati digitali (gli insegnanti) insegnino l’uso di Internet ai ragazzi. La scuola dipende, come sempre, dalle qualità degli insegnanti e, tra le esperienze formative che può dare, io metterei lo studio a memoria e la scrittura in corsivo.
Naturalmente trasformare le nostre società è un’eutopia.
A distanza di decenni torna in mente l’affermazione di Pasolini: non sono contro il progresso, ma contro lo sviluppo.
Il libro conclude con un glossario di siti che possono aiutare nei diversi problemi e con ampia bibliografia. Strumento prezioso questo, che l’editrice usa correntemente.
Il libro è frutto di un lavoro d’équipe che da quindici anni l’Istituto Il Minotauro, diretto da Lancini, svolge su effetti e relazioni adolescenziali in Internet, lavoro che ha fatto nascere il master in “Psicologia dei nuovi media”. Effetto di questi studi è il superamento dell’interminata discussione tra tecno-ottimisti e tecno-pessimisti, auspici chi dell’immensità delle relazioni, profeti chi di una prossima pandemia.
Nel concludere questa breve recensione, devo ricordare il saggio di Pietropolli Charmet, L’insostenibile bisogno di ammirazione (Laterza 2018) spesso qui citato e il grido con cui Patricia Wallace concludeva il suo La psicologia di Internet: ricordate che siete esseri umani (Cortina 2017).