La vita si perde, non la memoria
dicembre 1, 2022 in Recensioni da Mario Baldoli
Dalle centinaia di pagine del suo Diari, Paul Klee lascia gocciolare una riflessione: “un diario non è un’opera d’arte, ma un’opera del tempo”. Credo possa così dirsi del diario di Giorgio Pirlo, Diario di guerra. Albania e Grecia 1940-1941, a cura di Pino Mongiello, Ronzani editore. Un segno nel tempo, un tempo che resta, è uso dire come monito, mentre sappiamo che monito non sarà, perché la storia, notava Hegel, all’umanità non interessa.
Giorgio Pirlo, medico, sottotenente, poi tenente degli Alpini, nasce a Salò nel 1913, muore nel 1944. Una vita concentrata in trent’anni, prima felice in compagnia degli amici, dell’ambiente del lago, con una la famiglia benestante e culturalmente vivace: il padre è farmacista, la madre casalinga, lo zio Antonio Duse che fu anche medico di D’Annunzio.
Frequenta il liceo classico, si laurea in medicina, specializzazione in pediatria. D’improvviso a 27 anni quella vita, che possiamo immaginare disinvolta e serena, diventa drammatica e orribilmente densa di guerra perché Giorgio la guerra l’ha fatta davvero ed è morto in un campo di concentramento.
Il suo Diario inizia il 10 novembre 1940 quando l’Italia dichiara guerra alla Grecia, e si interrompe improvvisamente il 29 luglio del 1941, mentre è al lavoro e assiste alla morte di un soldato del suo reparto per bronco-polmonite- pleurite-pericardite, diagnosi confermata dal capitano medico e dall’autopsia. Un dettaglio, altri ve ne sono che testimoniano la sua capacità di pediatra in grado di affrontare le situazioni più diverse, le molte chirurgiche e le molte mediche imposte dalla guerra.
L’entrata in guerra dell’Italia in inverno, per sconfiggere la Grecia muovendo dall’Albania che già possedeva, è disastrosa: il vero vincitore è il gelo, il gelo uccide gli italiani, mentre i militari greci, osserva Giorgio, sono meglio vestiti e organizzati.
I nostri soldati privi di equipaggiamento adeguato, esposti al freddo delle montagne albanesi coperte di neve e da violentissimi temporali, i comandi completamente disorganizzati, subito mettono alla prova il medico: nella tenda-ospedale si allunga la fila delle malattie polmonari e dei congelamenti, a volte bisogna amputare un piede per evitare la cancrena, sono molti i momenti dei quali Giorgio scrive: non dimenticherò mai. È un uomo sensibile, quel dolore lo sconvolge. Resta invece calmo quando i bombardamenti si fanno più vicini, non c’è in lui ombra di paura.
Essendo di fede fascista, esulta per la visita di Mussolini che passa in rassegna la truppa e sembra gli sorrida, per il discorso di Hitler trasmesso alla radio, tuttavia vede e capisce, non nasconde i fatti. Dalla partenza per Bari e poi per Valona, la disorganizzazione si esprime in ordini e contrordini che si sovrappongono e si smentiscono. Sbarca a Valona e qualche giorno dopo l’aeronautica inglese distrugge la flotta italiana raccolta nel golfo di Taranto, ma come tutti viene ingannato sulla gravità del fatto. Non ha parole di ammirazione per la pubblicità di Edda Ciano che, in altra occasione, si salva a nuoto, mentre si preoccupa della nave colpita e dei suoi marinai. Una volta è bombardato il golfo Edda, riporta il fatto in breve.
Si adatta ai trasporti precari e inattesi. Quando vuole raggiungere un paese o un amico poco lontano, anche solo per parlare in dialetto, aspetta camion che passano quasi per caso. L’ospedale, sempre sotto qualche tenda, viene spostato più volte per ignoti motivi verso l’interno. Il punto a sud più avanzato che raggiunge è Argirocastro, non entra nemmeno in Grecia.
Intanto guerra e politica cambiano scenario. I nazisti occupano la Jugoslavia e pochi giorni dopo la Grecia, intorno alla fine di aprile del 1941. Il 25 giugno il suo diario si interrompe improvvisamente, ed è facile pensare ad un intervento tedesco.
Degli anni che lo separano dalla morte abbiamo solo frammenti.
Dallo Stato di servizio del Regio Esercito italiano sappiamo che ha partecipato dal 18 novembre 1942 all’8 settembre del 1943 (quando l’Italia passa agli Alleati) alle operazioni di guerra svoltesi in Balcania col 13° Ospedale da campo e che è stato fatto prigioniero dei tedeschi dal 9 settembre 43 al 21 gennaio 44; durante questi mesi è stato internato in campo di concentramento in Grecia, ed è deceduto ad Atene il 21 gennaio 1944. Altri frammenti: una sua cartolina di poche righe, la lettera di un cappellano militare che ne annuncia la morte, la sepoltura, il cimitero in cui si trova. Dieci anni dopo la fine della guerra (1954), la famiglia ne porta i resti al cimitero di Salò.
Ho avuto l’impressione di un suo spostamento ideale: via via che l’andamento della guerra lo delude, Giorgio si avvicina vieppiù alla religione. Diventa amico del cappellano militare, il bergamasco don Luigi Magli, con cui fa anche gite in bicicletta. È turbato da una sua omelìa: Il Vangelo porta la parabola del seme gettato tra i sassi, tra i rovi, tra la buona terra. Quanti insegnamenti in essa! Su quelle parole tornerà più volte a riflettere, sono lo specchio della vita che ha intorno.
Il suo Diario rivela un’altra faccia della sua personalità: un’amorosa attenzione all’ambiente e la capacità di descriverlo: A Fieri interessante mercato: uomini accoccolati alla turca nei loro tipici costumi di qui (giubbetto e calzoni neri attillati, scarpe basse, turbante con fazzoletto a colori per riparare le orecchie) vendono le loro magre mercanzie: ceci, fagioli, cavoli, tacchini, montoni, agnelli, uova. Nessuna bilancia, nessun calmiere, ma tutto a contratto (…) si compera un meraviglioso pezzo di maiale, il quale non è venduto a pezzi, ma viene di volta in volta squarciato con un’accetta. Nel pomeriggio allestiamo la cucina ufficiali e la tenda ricovero.
Più oltre scrive della vallata argirocastrina: quadro pittoresco nella piazzetta: attorno ad una fontana circolare numerose donne con il volto semicoperto da bianchi veli stanno caricando acqua sui somarelli. Argirocastro appollaiata a mezzacosta, dominata da una grandiosa rocca, sparpaglia le sue case tra i valloncelli della montagna (…) nella piazzetta sfocia una piccola strada pressoché totalmente ingombra da cesti di verdura e da altre mercanzie. In essa movimento di soldati, donne musulmane, pope dalle nere vesti. Anche qui ottimo caffè turco (…) In serata un greco venditore ambulante ci vende con le sue tipiche qualità levantine uva secca, cognac, anice e sigarette. Elemento ricorrente, si sarà capito, è la strepitosa eccezione: il mangiar bene, ma non capita spesso.
Lo zio Nino con cui Giorgio fu sempre in un contatto scientifico e umano è informato a fine settembre del 1943 (non da Giorgio, ma da un suo capitano) del tracollo fisico del nipote. Gli scrive rimproverandolo con affetto ma con fermezza per aver nascosto la sua malattia: Tu non hai in me tutta la confidenza che speravo. Io sono depositario di altri tuoi piccoli segreti e tu sai che non ti ho mai tradito. Lo zio medico ha capito che non si tratta di un malanno polmonare, per cui sarebbe già stato rimpatriato, ma di tubercolosi e lo rincuora.
Tuttavia anche lui sminuisce la gravità della malattia quando parla con i genitori di Giorgio: dice di una pleurite non grave per cui sarà rimpatriato. Che anche il nipote sappia, scrivendo ai genitori, che deve parlare di pleurite, non deve nascondere del tutto la malattia perché ciò fa loro pensare il peggio perciò informali di qualche cosa; i genitori amano molto il particolare più che l’essenziale: dì’ loro quali sono le probabilità di rimpatrio e cerca di rassicurarli. Conclude la lettera: a me devi dire tutto, sempre. Sii forte e sereno: è questa la prima condizione per vincere il male.
Il Diario di Giorgio Pirlo è stato pubblicato dalla nipote Clara che l’ha ricevuto in eredità dalla nonna assieme a due oggetti di artigianato albanese. Clara ha lavorato per raccogliere testimonianze e fotografie, si è recata in Albania a visitare i luoghi dove lui visse e operò.
Ciò che rende unico però questo Diario è il lavoro enorme del curatore Pino Mongiello. Con acribia, ha cercato ogni possibile riferimento alle persone citate, alla guerra, alle vicende militari, politiche, negli archivi. Di ogni persona citata anche una sola volta nel Diario è andato alla ricerca così da farci sapere chi era, cosa gli avvenne durante e dopo la guerra. Fra tutti, il cappellano Magli che l’8 settembre passò col suo reparto ai partigiani montenegrini, fu catturato dai tedeschi e inviato al campo di concentramento di Bocholt in Germania dove rimase fino alla fine del conflitto malgrado qualche tentativo di fuga. Tornato in Italia fu parroco a Crespi d’Adda dal 1950. Morì nel dicembre del 1975.
Pino Mongiello ha anche scritto una corposa introduzione e una postfazione al Diario. All’inizio di ogni mese ha ricostruito il contesto storico, politico e militare della guerra in relazione alla microstoria di Pirlo. Anche lui è stato in Albania a visitare i luoghi della guerra, ha conosciuto persone che hanno dato testimonianza di quel periodo per quanto appreso dai nonni. Il suo immenso lavoro, il dispiegarsi nei particolari, lo sviscerare i dettagli fanno del Diario un’opera non comune, l’opera di un uomo e della storia.
di Mario Baldoli