La merce del tempo, la vita all’ombra del lavoro
novembre 3, 2017 in Approfondimenti, Recensioni da Mario Baldoli
Scriveva Dino Campana nei Canti Orfici,
Ondulava sul passo verginale
Ondulava la chioma musicale (…)
Eran tre vergini e una grazia sola
E sei piedini in marcia militare.
Oggi vediamo comunemente tre ragazze camminare vicine senza guardarsi, ognuna concentrata sul suo cellulare. Un secolo divide quelle ragazze, ma sono bastati gli ultimi trent’anni a trasformare queste ultime in corpi senza volto, dipendenti da un oggetto che le tiene perennemente “connesse”, senza scambiare fra loro gesti, sorrisi o pianti, tono della voce, atteggiamenti. Le osserva il giornalista americano Craig Lambert in Il lavoro ombra (trad. di Elena Vozzi, ed. Baldini Castoldi).
Il libro di Craig ha aspetti interessanti, come altri che non condivido.
E’ interessante la descrizione di un’America sempre più dipendente dal web. Si usa il computer al bar e al ristorante per ordinare i piatti, per comprare libri e farsi un vestito su misura, per raccontare le proprie intimità, per trovare una camera in albergo, superare alcuni controlli in aeroporto, elencare i propri malanni dall’infanzia fino all’ultimo prima di entrare nello studio del medico. Per quanto è possibile, le macchine automatiche hanno sostituito le persone facendo dell’uomo l’appendice del cyborg. Non occorre sapere, avere memoria, ma saper cercare in internet. Forse Platone aveva qualche ragione quando scriveva che l’invenzione della scrittura avrebbe ucciso la memoria.
Il lavoro ombra, che non è il volontariato, è costituito da tutte quelle attività che facciamo a titolo gratuito per conto di aziende, enti, associazioni: far benzina al self service, utilizzare le casse automatiche per registrare e imbustare gli acquisti al supermercato, gestire da soli le transazioni finanziarie, montare i mobili Ikea. Un lavoro ombra di cui non ci accorgiamo.
Il lavoro ombra ha introdotto un elemento inedito nello stile di vita contemporaneo: l’asservimento della classe media. Io direi: l’asservimento generale. E’ diffuso giorno e notte in tutto il globo: di notte apre la borsa di Tokio che influisce su quella di Londra, che a sua volta influisce su New York. Come si può dormire mentre girano tanti soldi? Poi ci sono Facebook e twitt, pubblicità, gift card, lunghi menu di scelta telefonica con messaggi registrati, la raccolta differenziata dei rifiuti, le diete dimagranti.
Il lavoro ombra ha cancellato la differenza tra lavoro, svago e vita privata. Ci rende più autosufficienti, può far risparmiare tempo, ma ben più ce ne estorce con la sua interconnessione forsennata, mettendo in chiaro che la cosa più importante della nostra vita è lui: il lavoro, non è l’amore, non è il dialogo né la famiglia, non è il piacere di godere del tempo.
Non capisco invece perché l’autore chiama lavoro-ombra l’uso del bancomat, la prenotazione di un biglietto online, la corsa di padri e madri ad accompagnare i figli alle varie attività pomeridiane, a tifare ai loro incontri sportivi o concorsi d’altro genere. Le prime due innovazioni sono semplici e ci danno più tempo libero, come niente vieta di andare in un’agenzia turistica. Accompagnare i figli alle attività pomeridiane è una moda, come lo sono costose feste battesimali e compleanni con l’animatore. Ma non è un obbligo, è una scelta.
Craig ha molte ragioni: è fastidioso entrare in un supermarket, non trovare commessi (tanto meno competenti), doversi cercare il prodotto, digitarsi il prezzo di ciò che si acquista, arrivare ad una cassa automatica ed estrarre la carta di credito. È lavoro ombra, nel senso che lo facciamo al posto di altri.
Apparentemente ci sembra di risparmiare tempo, un risparmio che paghiamo caro diventando automi, persa l’umanità di guardare un volto, sorridere e fare una battuta. Ma alla supermoderna cassa automatica, insegna l’autore, si può rubare: un bel gesto di inganno alla tecnologia che richiama il sette-ottocentesco furto campestre, cioè la resistenza dei contadini alla recinzione dei campi aperti. Trovo delizioso che innovazioni così importanti e lontane nel tempo si accompagnino ambedue al furto che è di interesse personale, ma anche una rivolta. E se rubassimo tutti?
L’autore suggerisce due modi: il più sicuro, già applicabile in Italia, è quello di scambiare l’etichetta di un prodotto costoso con quella di uno a buon mercato, marcare e uscire tranquilli. Anche qui, come nella modifica elettronica dei voti scolastici, meglio non esagerare portando via un megatelevisore ultrapiatto al prezzo di un cacciavite o riempire di trenta e lode gli esami mai fatti.
E’ anche fastidioso farsi benzina da sé (ma ricordiamo che un benzinaio si ammala per i vapori che inala), orribile trovarsi al ristorante uno schermo su cui digitare il menu di piatti precotti, frequentare una scuola in cui i genitori devono fare i compiti ai figli, con relativa deresponsabilizzazione del pargolo e sua avvio ai vantaggi dell’ipocrisia.
E’ vero che oggi purtroppo il nostro tempo è sempre troppo poco, che lo trattiamo come una merce dilatabile all’infinito, che la nostra giornata è sempre strapiena, che in un secolo abbiamo perso un’ora di sonno. Che direbbero Proust e Bergson?
Eppure nessuno ci obbliga a questa masochistica tortura, ad accettare le mode, a non farci rispettare dal capo quando rispondiamo alle sue mail mentre siamo a cena in famiglia.
Trovo il libro interessante perché immerso nell’America di oggi, cioè nel nostro domani, ma trovo straniante il titolo che pure è tradotto senza modifiche dall’inglese: Shadow Work. Più che lavoro ombra, ogni pagina sembra convergere sul rimpianto del passato, che però non era quel buon tempo che è bello sognare.
Evidentemente facciamo molte cose al posto di impiegati e commessi, infatti l’autentico significato del libro è la corsa alla disoccupazione. Per raggiungere l’obiettivo di creare disoccupazione noi dobbiamo distruggere i rapporti umani, comunicare solo via internet, rinunciare a virtù come la riflessione e la meditazione, cancellare la memoria.
Diceva Pasolini: non sono contro il progresso, sono contro lo sviluppo.
Noi siamo complici dello sviluppo attuale: fingiamo di non accorgerci, non ci ribelliamo, ci rassegniamo, lavoriamo sfrenatamente per la disoccupazione.
Come ogni società totalitaria, lo sviluppo attuale riempie ogni tempo libero, condanna ozio e pigrizia, noia e solitudine. Non sa di Leopardi: La noia è il più sublime dei sentimenti umani (Pensieri), né di Thomas Mann: La solitudine fa maturare l’originalità, la bellezza strana e inquietante, la poesia (La morte a Venezia).
Letto il libro, posso dire che il primo lavoro ombra me l’ha imposto l’editore costringendomi, per orientarmi, a scrivere sotto il nome dei capitoli quello dei molti paragrafi. Ma si è trattato di pochi minuti.