La Leonessa che smacchia il giaguaro
maggio 12, 2013 in Crisi da Sonia Trovato
A pochi minuti dall’inizio della tanto annunciata arringa di Silvio Berlusconi contro i magistrati percorriamo in gran fretta Vicolo Beccaria, convinti di sbucare in una Piazza Duomo gremita di sostenitori e di doverci fare strada tra una calca urlante e inferocita. Quello che ci attende è, invece, uno scenario alquanto desolante, degno di un centro d’animazione per anziani alle prese con un poco partecipato torneo di bocce. Che al posto del Popolo della Libertà sia accorso il Popolo della Terza Età?! E, soprattutto, dove sono i bresciani?! Gli ottantenni venuti ad assistere alla sfilata dell’entourage del Cavaliere hanno l’aria spaurita e smarrita di chi è stato caricato a forza su un pullman e gettato in una piazza che non ha mai visto prima. D’altro canto il PDL ha una lunga tradizione di manifestazioni farlocche, dove casalinghe e pensionati vengono reclutati e addestrati per sventolare bandierine al grido di “Chi non salta comunista è”.
Ma il clima è cambiato, siamo in tempi di pacificazione, il PD ha finalmente fatto outing e l’ex Premier non può più permettersi di parlare di “sinistra dell’odio” o di “poveri comunisti”, dato che rischierebbe di far scoppiare in una fragorosa risata persino i suoi supporters (quelli con l’amplifon funzionante). Lui stesso, quando viene intonato il consueto ritornello e la parte di folla che non rischia di rompersi i legamenti inizia a saltellare, afferma, con l’atteggiamento ammiccante e sornione di chi l’ha fatta franca un’altra volta, che non può unirsi al coro perché “ci siamo al governo insieme”. Il repertorio al quale attinge per i suoi 45 minuti scarsi di discorso è, però, lo stesso contenitore vuoto di logori luoghi comuni che cavalca da vent’anni: il Milan che tornerà in testa alle classifiche; la necessità di introdurre l’elezione diretta del Presidente della Repubblica; l’Imu, “odiosa tassa” nella quale vanno in fumo le tredicesime degli italiani e causa della crisi economica; l’Iva che non deve aumentare; Equitalia, mostro cui “bisogna tagliare le unghie”; la giustizia naturalmente, l’unico punto del quale gli prema parlare, la cui riforma costituisce “un’urgenza per tutti i cittadini”, per non finire nel “tritacarne giudiziario” (sul tritacarne finanziario del governo Monti, che il suo partito ha sostenuto per un anno per poi, come sempre, dissociarsene con l’aiuto dei media compiacenti, non una parola).
Insomma, è il solito Berlusconi imbonitore e affabulatore, seppur un po’ raddolcito dallo sposalizio, celebrato da Re Giorgio II, con il tanto vituperato Partito Democratico. Quello che sconcerta è, semmai, constatare di persona come venga confezionata una manifestazione di piazza ai tempi della videocrazia e del conflitto d’interessi. Prima che l’imprenditore faccia capolino sul palco, i pidiellini se ne stanno muti e impettiti sulle scale del Duomo, con lo sguardo vacuo e la posa plastica di chi attende il ciak per iniziare la messinscena. Ma quella di Brescia è una messinscena sguaiata, confusa e mal riuscita, complice forse la scarsa partecipazione e l’alta contestazione. Il risultato è una piazza esattamente divisa in due “fazioni”, separate dal palco riservato alla stampa e dal cordone di polizia che, ufficialmente, deve garantire l’ordine pubblico e che invece sembra dover fare in modo che i dissidenti restino lontani dall’occhio della telecamera. Gli house organ di partito e i tg nazionali parleranno di centri sociali e di grillini, pretendendo di classificare con così tanta precisione una protesta improvvisata, spontanea e anagraficamente eterogenea di persone arrivate perlopiù alla spicciolata.
Da un lato, dunque, c’è una distesa di bandiere uguali, sventolate soprattutto da attempati militanti che arrivano da fuori, dall’altro una “Brescia che resiste”, come recita un cartellone, fatta di “donne in verticale”, di precari, di pensionati, di studenti che vogliono difendere la loro città da questa illecita invasione dei vari Alfano, Santanché, Lupi, Gasparri, Brunetta, Gelmini, Formigoni, con il loro carico di ignoranza e arroganza. Ascoltando le parole del piazzista di Arcore, che si rivolge alle poche centinaia di fans che ha di fronte parlando di folla numerosa e festante, e leggendo la successiva nota del PDL, secondo la quale i partecipanti sarebbero stati 15 mila, si capisce come, in fondo, quello che a loro importa è il prodotto finale, imbellettato, confezionato e infiocchettato per il tubo catodico. Se poi il Capo è subissato da un coro di fischi, se vengono bruciate bandiere, se il candidato sindaco a sostegno del quale era stata inizialmente pensata la gita bresciana non ha nemmeno il coraggio di aprire bocca per evitare l’ennesima contestazione, poco male, basta venire bene in tv. Gasparri parla di “piazza prenotata da tempo” per una manifestazione che, per tale ragione, non avrebbe dovuto avuto avere disturbatori. Per il PDL l’antica agorà, simbolo della democrazia diretta e della partecipazione politica, è diventata uno spazio affittabile come un qualsiasi palazzetto dello sport o, appunto, come uno studio televisivo.
Alla fine dello show, mentre risuona Meno male che Silvio c’è e la sfilata di politici scortati prova a farsi strada tra la folla che non si placa, i berluscones scompaiono senza lasciare traccia, se non una distesa di bandiere abbandonate perché la recita è finita. Tre bambini stranieri, figli di quell’Italia che il centrodestra non riconosce e che non trova posto nei suoi salotti televisivi, improvvisano un rubabandiera, ignari di cosa quel simbolo rappresenti, o, meglio, non rappresenti, per il loro futuro. Un signore sulla novantina, munito di bastone e avvolto in un drappo pidiellino, avanza affabilmente verso i contestatori, con l’aria di chi non ha capito dove si trovi e perché. Una specie di badante corre a riprenderlo e lo riporta all’ovile. Vola qualche insulto ma un signore di mezza età li placa con un lapidario “Basta dai, Berlusconi l’ha capito che a Brescia non ci doveva venire”. Le esternazioni di Brunetta, che parla di “clima bellissimo” e nasconde il disappunto dietro un sorriso forzato e dietro a un sibillino “Quali contestazioni?”, mentre viene scortato dai carabinieri al grido, inferocito, di “nano bastardo”, palesano quale distanza incolmabile separi la realtà e il mondo ovattato e mistificato nel quale questi tristi e squallidi personaggi si sono barricati da vent’anni.
FOTO: 1) La piazza “piena e festante” dieci minuti prima dell’inizio dello show; 2) i pidiellini a bordo campo attendono il fischio d’inizio; 3) l’altra Piazza, quella che protesta; 4) e 5) slogan contro il Cavaliere; 6) bandiere abbandonate a fine recita.