“La corrente”, capitolo 8
marzo 29, 2015 in Racconti e poesie da Stefano Bottarelli
Marta ricomparve alla memoria dei due come ci si ricorda di non aver spento il gas appena partiti per le vacanze estive. Fu quando Marta disse : ”Di che confabulate, voi due ? Perché mi lasciate sola con i pesci e i gabbiani?”. La scopersero come al solito invadente, comicamente invadente, come una scena che da tragica si fa comica nel teatro della loro vita, il più importante; Marta ne era l’unico spettatore fattosi ora molto esigente, attento e arguto quanto onnipresente, tanto da sedere da solo su tutte le poltrone di prima fila, talvolta appoggiando i gomiti anche sul palcoscenico, più lunghi della buca dell’orchestra.
“Voi due, che fate, tutti soli, aspettatemi!”. Fu per Rodolfo e Gigliola un risveglio da una condizione già di veglia, intorpiditi da quel mezzogiorno luminante e tenero, delle primavere più belle ancora da godere.
La guardarono come si aspetta un temporale di primavera: certezza della stagione, tempo inevitabile, tempesta squarciata dal sole infine, perché erano amici anche loro, le volevano bene, se l’aspettavano venire tra l’acqua ondosa e portata dalle gambe che si trascinavano i piedi.
Qualche nuvola solatia solcava l’orizzonte immenso e nei loro occhi brillava una luce di speranza o per un domani allegro, o per un estate riposante, per un futuro tranquillo, o per ottimismi che coinvolgessero gli altri, l’umanità che li circonda più che la loro persona. Gigliola iniziava ora a immergersi con la memoria nella storia passata fra lei e Rodolfo, ne evocava risvolti in flash, senza data, senza tempo, immagini evanescenti e scolorate quanto abissali. Un volo di vento liberò i loro pensieri, attoniti giovani del novecento, marrani del corso della vita alla cerca di un porto, viventi incerti e divisi ma ora insieme.
Marta si era appisolata in piedi, come i cavalli, immolata e assorta nelle sue fantasie impiegatizie e vacanziere, nei capelli travisati dal vento impertinente e profumato di aghifoglie, libera dai dubbi di Gigliola e Rodolfo. Un edredone galleggiava tra rametti a loro volta galleggianti, rincorreva una femmina, si fermava, tuffava il collo nel fondo e riprendeva il corso non lineare sulla superficie del mare, a curve ampie e strette.
Lui mirava Gigliola di un affetto nuovo, particolare, insinuante, sorgivo di aspettative. Gigliola lo ricambiava di sentimento e allegria, di attenzione e occhiate innamorate, come una colomba fresca di stagione.
Rodolfo le accarezzò una spalla, avvicinatosi barcollante nell’acqua compiacentemente cedevole, Gigliola fu presa da un brivido che la fece tremare, Rodolfo andò oltre, la baciò sul collo dondolante, bianco, tiepido di giovinezza. Lei gli cinse la vita con un braccio: si abbracciarono, fiutarono l’alidore, le labbra si cercarono profumate, infine si incontrarono. Gigliola dall’abbraccio si ritrasse felice e appagata, come una bimba si addormenta dopo una poppata vorace. Rodolfo fu preso da un lieto capogiro per l’affanno. Ma era ora di pranzo, cercarono una radura sabbiosa per stendere i plaid e apparecchiare uno spuntino, aprirono le borse gonfie e le vuotarono di uova sode, pane, prosciutto, salame, maionese, tonno, scatolette di simmenthal, frutta e coca cola. Per Marta giungeva il settore più entusiasmante del programma festivo, perché era affamata. Gigliola e Rodolfo invece erano già sazi di loro stessi, non avevano fame, pur accettarono di sottostare alla forma del quotidiano, che vuole anche sfamare i protagonisti della giornata due volte al giorno. Si sedettero in cerchio e si passarono cibi, bevande e piatti di carta, si rifocillarono in silenzio, sempre gli occhi di Rodolfo in quelli di Gigliola, quelli di Marta tra le stoviglie e l’infinito dell’orizzonte. Si raccontarono qualche storia, si rallegrarono come fossero più di tre, ma ancora Gigliola desiderava essere sola con Rodolfo, si cercò una scusa per congedarsi da Marta.
Vicino una stradetta ghiaiosa conduceva in una pineta ombrosa, mediterranea. Si disse a Marta di avere bisogno di qualche passo, lei che era ancora affamata acconsentì ad aspettarli, i due si incamminarono e scomparvero nel verde della natura. Il cielo era chiaro; piccoli roditori e mammiferi minori popolavano il terreno saturo di essenze, perché era primavera, un incrocio di novità, il risveglio dei sensi dopo il letargo prolungato di quella che cominciava già ad essere una piccola jungla, non maestosa ma fitta. Si inoltrarono oltre nei propri desideri e si avventurarono ancora dove il passaggio, da chiaro di ghiaia, si restringeva di più, si faceva viottolo poi sentiero, saliva verso una collinetta boscata di bossi e ligustri, erba spina, oleandri, felci. Si tenevano per mano, sentivano l’uno accanto all’altro i loro tepori.
Affannati avanzarono tra i cespugli, anche se non era ancora caldo, traversarono il sentiero principale, piegarono a destra fra rovi e sterpaglie. Non si aspettavano un bosco così denso e intricato, da briganti.