La biblioteca impossibile
gennaio 3, 2021 in Approfondimenti, Recensioni da Mario Baldoli
Ci sono libri il cui titolo – solitamente suggestivo- non risponde al contenuto. Avviene in ogni epoca, ma irrita che Roberto Calasso, uno dei maggiori intellettuali europei, oltre che editore di un’editrice che amo, sia caduto in tale trappola. Nel suo piccolo libro Roberto Calasso, Come ordinare una biblioteca, Adelphi 2020, percorre vari sentieri sfuggendo al tema come Angelica fra le selve oscure.
Il contenuto è la collezione di quattro scritti diversi: uno (fuori commercio): Come ordinare una biblioteca, l’inedito Gli anni delle riviste, La nascita della recensione (pubblicato sul “Corriere della sera nel 2016), Come ordinare una libreria conferenza tenuta alla fondazione Cini). Purtroppo i pezzi non sono stati rielaborati e coordinati (anche se il primo doveva essere pertinente al titolo), si ha quindi la sensazione di un percorso incoerente.
Calasso ci inizia alla teoria del “buon vicino”, propria dello storico dell’arte Aby Warburg: stiamo per prendere un libro dalla nostra biblioteca, ma la mano ci cade su quello vicino che si rivela più interessante e illuminante rispetto a ciò che cerchiamo. Questa illuminazione si sposa con un’altra un po’ equivoca: bisogna comprare molti libri anche se non si leggono subito (io direi che forse non si leggono mai). Poco oltre, Calasso scrive in contraddizione che Borges che aveva una biblioteca immensa, era solito andare in un caffè con un po’ di libri sottobraccio e “dimenticarli “.
Ho un amico che, pur abitando solo in una casa di quattro stanze, dorme in una specie di cuccia circondato non da muri, ma da libri che arrivano al soffitto e si allungano sopra le porte. I quadri che aveva glieli tengo in deposito. Sogna di comprarsi un condominio dove mettere nel sottotetto gli autori scandinavi e islandesi, al piano nobile i saggi e letteratura mitteleuropea e così via, dormendo in una cuccia.
Esiste quindi un problema di quantità, ma anche di qualità, osserva Calasso. Bisogna saper dire di no: in una biblioteca non devono entrare brutti libri, però non spiega cos’è il “brutto libro”, del resto impossibile da definire. Nota invece giustamente che “il lettore brado”, quello che Manganelli in Concupiscenza libraria, ed. Adelphi, definiva “lievemente maniacale, dedito a una degustazione cannibalesca”, ama buttarsi anche nelle ragnatele di un rigattiere, come al buon lettore basta un bel catalogo per procurarsi un orgasmo leggendolo. Calasso cita Benjamin che diceva una cosa ovvia ma fondamentale: ordinare una biblioteca è un problema senza soluzione. E’ una morale che conforta chiunque ne abbia a che fare.
Nel libro di Calasso c’è anche una parte che mi trova del tutto estraneo: copre i suoi libri col pergamino (ultimo erede dell’antica pergamena), una specie di carta velina che rende difficile all’ospite occasionale farsi un’idea dei gusti del padrone di casa. Se l’ospite vede la catena dei saggi Einaudi, subito immagina un lettore di sinistra illuminato ma “angusto”, e chissà se vede quel grigio ferro di Laterza. Per quanto mi riguarda, l’ospite può vedere e giudicare come crede, che io abbia uno scaffale di Pirandello o l’intera collezione di Tex Willer o quella degli Immortali dell’Istituto editoriale italiano curata da Luigi Luzzatti e Ferdinando Martini con le prestigiose introduzioni (libri questi che tuttavia non tengo in mostra) non mi importa nulla. Il pergamino mi renderebbe anche meno facile memorizzare la posizione del libro che spesso vedo attraversando la stanza, non vorrei finire come Montaigne che, alzatosi dallo scrittoio per cercarne uno, a volte dimenticava quale doveva cercare.
Altra affermazione di Calasso che non condivido: un libro va sottolineato. Purtroppo non mi bastano le sottolineature per ricostruire il contenuto con tutti i suoi snodi e i suoi fini, preferisco il sistema di Montaigne, una sinossi del libro nelle pagine in fondo dove esprimo anche un giudizio con aggiunta di qualche citazione.
Vengo alle sovra copertine: ricordo un mio professore di filosofia, gli portavano un libro, sbirciava il titolo e gettava subito la sovra copertina nel cestino. Forse rifiutava la modernità o presumeva di guadagnare spazio nello scaffale; io faccio come lui quando trovo la copertina con il titolo rialzato e la posso gettare, un libro così è la triste réclame delle majorette di un campus.
Calasso prima scrive i suoi libri in penna, poi c’è chi glieli copia sul computer. E’ così che si deve fare. Il processo mentale è ormai tanto guastato dal copia-incolla e dalla meccanica del computer che ogni opera ne esce deformata e uniforme mentre la stilografica ha un significato estetico, a volte è un regalo d’amore, in particolare nella scrittura richiede un procedimento mentale più complesso ed esige un lessico personale.
Naturalmente -dice Calasso- un qualche ordine fra i propri libri bisogna pur averlo e ne stila un ironico elenco: “geologico”, per strati successivi; “storico” per fasi o incapricciamenti; “funzionale” connesso all’uso di un certo periodo; macchinale, alfabetico, linguistico, tematico; aggiungo io: estetico.
Fra tanti sistemi bisogna pur scegliere. Sono troppo complessi per me e multiformi gli esempi di Calasso, io scelgo un sistema misto: tenere unite le opere di un autore se è importante in assoluto e anche per me (ad esempio, Calvino cui tengo vicino Fenoglio) o per argomento se si tratta di autori di cui non ricorderei il nome ma di cui a volte ho bisogno e il cui argomento mi interessa (ad esempio, Simon Garfield, On the map; Dixe Wills, Tiny Island; Favole, L’Europa d’oltremare; Sea longing di vari autori, non lontano, ma nemmeno vicino vedo l’amato Conrad, che con la sua violenza mi solleva dalla monotonia. I primi sono libri che meritano uno scaffale insieme, ma non ricorderei l’autore.
Non voglio, per ragioni estetiche (scrive James Hillman “oggi c’è una rimozione della bellezza”, Figure del mito, ed. Adelphi) avere uno scaffale intero di Meridiani blu rigati di giallo: il paesaggio della completezza banalizza e mi spaventa: “Hai letto tutti quei libri?” chiede la Verdurin. Io intervallo l’uniforme con libri di critica sull’autore o una certa sua opera, o qualcosa che manca a quella collezione, ad esempio, tenere uniti i 14 volumi di Shakespeare mi fa pensare alla quiete post mortem. L’arte non è la vanità della ripetizione, non è ùbris, arroganza: il concupito Opere complete è lo stile di Mme Verdurin. Tuttavia, ovvio che il grande ordinatore resta la memoria.
Esistono due nuovi attori nel campo dei libri, osserva Calasso nell’ultimo capitolo, attori molto diversi: uno è l’e-book, che in Italia per ora non arriva nemmeno al 10%, ma è agognato da qualcuno come l’arrivo di Attila venuto a fare spazio macerando grevi librerie. L’altro è Amazon, la quale amazzone però porta a casa i libri che tu le chiedi, quindi nulla cambia nella tua biblioteca, ma il risultato è socialmente drammatico perché le librerie chiudono, il rapporto col libraio finisce, resta la réclame, la recensione (sempre di parte, scriveva Manganelli), l’indice dei libri più venduti, cioè l’ignoranza di credere che il libro sia una merce.
di Mario Baldoli