Istanbul sul Bosforo con Pamuk
aprile 27, 2014 in Album fotografici, Letteratura da Pino Mongiello
DOVE LA TRISTEZZA E LA GIOIA S’INCONTRANO
Un viaggio organizzato ha i suoi vantaggi ma anche tanti limiti. Alla fine, lascia sempre una quantità di aspettative non soddisfatte. Se poi la guida che ti accompagna ha più di una riserva mentale e non ha letto Pamuk, allora Istanbul la vedi solo con gli occhi del turista distratto e consumista; ti sfuggono i suoi umori e le sue pulsioni intime e profonde.
Metti la classica gita sul Bosforo, per esempio. Se non avessi appuntato le pagine che lo descrivono, dove emerge un crogiuolo di ricordi personali, familiari, storici, messi insieme da Orhan Pamuk nel suo splendido racconto della città (O. Pamuk, Istanbul, i ricordi e la città, Einaudi, 2003), sarebbe stata per me una normale gita in battello di fronte a chilometri di costa urbanizzata, dove è ancora possibile leggere qua e là qualche significativa stratificazione storica. Ma l’anima del Bosforo mi sarebbe sfuggita.
I miei scatti fotografici, dunque, non sono andati a ruota libera. Hanno seguito, lungo il filo della memoria, le parole e i pensieri dello scrittore, come li ricordavo, non sempre precisi nella citazione e nel rimando. Soprattutto, però, mi mancava il riferimento iconografico, quello che lo scrittore aveva raccolto con sistematicità, in una sorta di inventario dei luoghi della sua infanzia e delle sue frequentazioni negli anni successivi. E mi mancavano le cartoline d’epoca, dal gusto retro, in bianco e nero o seppiate, che consentono di andare più indietro nel tempo, a cavallo tra Otto e Novecento, che Pamuk ha accumulato con cura quasi maniacale nel suo museo personale, ad Istanbul. Le ho ritrovate poi, in parte, nel suo libro.
Ho deciso di riprodurne alcune intrecciandole con le mie istantanee di viaggio, insieme a qualche brano del capitolo sesto, che s’intitola “La scoperta del Bosforo”.
Da ISTANBUL, capitolo sesto.
“Il vero significato della parola «Bosforo» in turco, gola, e l’esigenza di «prendere aria», si sono confusi nella mia testa. Forse per questo motivo non mi ero affatto stupito quando avevo saputo che Tarabya non era, come adesso, un luogo di svaghi, famoso per i suoi ristoranti tipici e il suo albergo, ma un tranquillo villaggio greco di pescatori conosciuto sotto il nome di Therapia, dove il famoso poeta Kavafis aveva trascorso la sua infanzia, cent’anni fa. Vedere il Bosforo mi fa sempre bene, forse perché si mescola all’idea di terapia che ho in mente”.
“Il piacere di andare su e giù per lo stretto consiste nel sentire dentro la libertà e la forza di un mare profondo, sicuro e dinamico, mentre ci si sposta dentro una città grande, antica e trascurata. Il viaggiatore che avanza velocemente nelle acque del Bosforo, attraversate da forti correnti, intuisce che la potenza del mare riesce a farsi largo in mezzo alla sporcizia, al fumo e al frastuono di una città molto affollata, e gli sembra ancora possibile essere libero e indipendente fra tutte quelle persone, quelle costruzioni e quella storia. Questo lembo d’acqua che gira dentro la città non può essere messo a confronto con i canali di Amsterdam o Venezia, né con i fiumi che dividono in due Parigi o Roma: il Bosforo ha correnti marine, è ventilato, agitato, profondo e buio. Se avete la corrente dietro di voi, se vi fate trascinare lateralmente come un granchio, verso i battelli, Istanbul vi passa piano piano davanti, e allora potete vedere le signore anziane che bevono il tè sui balconi e guardano verso di voi, gli edifici, le case di legno sul mare, il molo lì vicino e il caffè col pergolato, i bambini che si tuffano in mutande nel mare…”.
“… Uno dei miei piaceri era vedere le testimonianze di un periodo molto ricco in cui la civiltà e la cultura ottomane, pur sotto l’influenza occidentale, tuttavia non persero mai la loro libertà e forza”.
“Intuivo le impronte della tradizione ottomana ormai finita e sepolta nel passato dalla solenne porta di ferro senza tinta di una grande casa di legno sul mare… e sentivo che qui, una volta, alcune persone simili a noi conducevano una vita completamente differente, ma ormai questi tempi facevano parte del passato e noi eravamo diversi…”
“… gli stessi burocrati, i ricchi e i pascià crearono una cultura chiusa e assolutamente impermeabile intorno alle loro ville di legno costruite sulle rive dello stretto, dove fuggivano d’estate…”
“Anche nel giorno estivo più caldo in cui i bambini più poveri si buttano dalla riva, il sole, nel Bosforo, non domina mai il clima e il panorama…”
“Mi piace vedere l’acqua che, in un punto, scorre furiosamente, in un ribollire di schiuma e invece due passi più in là, in un altro angolo, oscilla lentamente come nella piscina delle ninfee di Monet, e cambia colore”.
“Il Bosforo ha un’anima tutta sua. Parlo del colore dei cipressi, dei boschi bui nelle valli, delle abitazioni di legno trascurate, sgombrate e abbandonate, delle barche arrugginite e malmesse, della poesia delle navi e delle ville dello stretto che soltanto chi ha passato la vita su queste rive può capire; parlo del sapore della vita tra le rovine di una civiltà una volta grande, maestosa e originale, della voglia di un bambino, che non bada affatto alla storia e alle epoche, di essere felice, di divertirsi, di comprendere questo mondo, e delle indecisioni e dei dolori di uno scrittore ormai cinquantenne, dei desideri che lui chiama vita e delle sue esperienze. Ogni volta che mi soffermo sulla bellezza e sulla poesia del Bosforo, di Istanbul e delle strade buie, una voce dentro di me mi invita ad amplificare le virtù della città in cui vivo, proprio per nascondere a me stesso le lacune della mia esistenza…
“ La vita non può essere così brutta, – penso a volte. – Comunque, uno alla fine può sempre farsi una passeggiata sul Bosforo”.