Iran: la libertà clandestina, “per cogliere la mela da un albero bisogna lasciarla maturare”
gennaio 26, 2021 in Approfondimenti, Recensioni da Nahid Salan
“Con i pantaloni neri, la camicia bianca abbottonata fino al collo, la barba ben curata, era troppo leccato per abitare a Gromikola”. Infatti è un Guardiano della rivoluzione venuto ad arrestare suo marito.
Ghomikola è un villaggio di 600 persone a nord dell’Iran, si apre a nord sul mar Caspio, a sud su monti sempre innevati. Il giorno dopo arrestano lei, Masih, la ragazza orgogliosa che a scuola non portava il chador provocando ire nei “presidi” e problemi nei genitori.
In Iran la guerra contro le donne calpesta ogni diritto civile, a cominciare dal vestito: un chador nero e pesante, insopportabile d’estate, che nasconde il corpo e la testa: prima copriti i capelli, non deve uscirne una ciocca.
La lotta delle donne per i diritti civili è raccontata nella splendida autobiografia di Masih Alinejad con Kambiz Foroohar, Il vento fra i capelli, ed. Nessun Dogma, libri per menti libere, Roma 2020, una sorta di continuazione delle tre autobiografie, tutte su temi diversi, di Azar Nafisi, pubblicate da Adelphi.
Tra le due donne passa una generazione e le distingue la classe sociale. Nafisi nasce nel 1948 dal sindaco di Teheran e dalla prima donna eletta nel parlamento iraniano. Si è laureata negli Stati Uniti, ha conosciuto i tempi dello shah Palhavi, fin che ha potuto è stata docente universitaria a Teheran. Ha proseguito la lettura e la critica letteraria di autori occidentali, soprattutto Nabokov, clandestinamente con alcune studenti prima di abbandonare l’Iran.
Masih è invece “frutto della rivoluzione”, è nata nel 1976 (la rivoluzione è del 1971) in una famiglia poverissima a Ghomikola, poi è divenuta giornalista e scrittrice.
Non è un caso che queste autobiografie (e i guai per le loro autrici) nascano da donne e dalla letteratura: letture fatte di nascosto ma che infine vengono scoperte.
Rispondono anche ad una consuetudine, scrive Masih:
Tutti i persiani scrivono poesie, il citarle è segno di distinzione.
Ne cito qui arbitrariamente alcune che mostrano con la loro bellezza il mondo da cui l’Iran proviene, l’unico Paese islamico non arabo.
Omar Khayyam (1048-1131), Robayyat
Ogni istante di vita, al mondo, è passato.
Fa che sia passato in allegre e schiette gioie
Sappi che il tesoro vero della Terra
È la Vita, quella che passa, come la sai passare.
(trad. di Pierre Pascal e G. dagli Alberti, Ed. Boringhieri)
Jalāl al-Dīn Rūmī (1207-1273), Fihi mà fihi, L’essenza del reale (detto anche “Il Corano dei persiani”, cioè del mondo Sufi, oggi si direbbe sciita)
Felice il momento quando sediamo io e te nel palazzo,
due figure, due forme, ma un’anima sola, tu e io.
Gli amanti non si incontrano finalmente in qualche luogo.
Sono sempre stati l’uno nell’altro.
(Fabrizio Caranagna, Masnavi)
Khaje Shams Hafez (circa 1315-1390), Canzoniere
La tua bellezza, un baleno nell’attimo eterno
E l’amore che apparve fu fuoco che avvolge la terra di vampe.
La nostra esistenza è un enigma
A risolverlo vale soltanto un incanto o una fiaba.
Per un gitano bello e turbolento s’appassiona il cuore mio:
pelle bruna, d’assassino le mani, in volto il colore degli incanti.
(a cura di Stefano Pellò, trad. Gianroberto Scarcia)
Forugh Farrokhzad (1984-2016), la poeta contemporanea
Io sono quella candela che, con il dolore del proprio cuore,
illumina una rovina; se decidessi di spegnerla,
distruggerei un nido.
(in Masih Alinejad, cit)
L’Iran ha suscitato in varie epoche in Europa grandi entusiasmi per la sua antica civiltà, la forza e l’ordine del suo antico impero di cui restano imponenti palazzi, la bellezza dei paesaggi, la ricchezza della sua letteratura. L’antico nome di Persia rimanda alla sua grandezza, quando occupava terre dall’India all’Arabia, dalla Turchia al Caucaso, Iran è il suo nome più antico, Goethe se ne occupò per molto tempo, conosceva il Corano, amava la poesia persiana, soprattutto il poeta Hafez, cui dedicò il Divan occidentale-orientale (1814-1819). Ne riporto due poesie del “Libro di Suleika”. Il nome è quello della sposa di Putifarre e della vicenda che coinvolse lo schiavo Giuseppe, accennata nella Bibbia, ma molto sviluppata nella poesia persiana.
Goethe, Divan occidentale-orientale (1814-1819)
da Il libro di Suleika
Arrendermi ai tuoi sguardi,
alla tua bocca, al tuo seno,
percepire la tua voce, sono stati
il primo piacere e l’estremo.
E’ stata l’ultima, quella di ieri,
poi si estinse per me la luce e il fuoco,
prima mi divertivano gli scherzi,
che ora sono dolorosi e cari.
Prima che Allah sia disposto
A riunirci di nuovo, saranno
Per me sole, luna e mondo
Solo occasione di pianto.
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Che io t’accarezzi, amata, è possibile?
Che della voce divina intenda il suono?
La rosa sembra sempre impossibile.
Occorre una premessa: nel 1953 un colpo di stato di americani e inglesi abbattè il popolare governo di Mossadeq che aveva nazionalizzato la Anglo-Iranian Oil Company e avviato una riforma agraria e fiscale. Gli inglesi bloccarono le riserve d’oro che l’Iran aveva in Inghilterra, mandarono le loro navi da guerra a minacciare il paese e imposero un loro primo ministro. Andò al potere la dinastia Quajar, abbattuta da un colpo di stato di Reza Khan che fu abbattuto da un nuovo colpo di stato degli inglesi che lo accusarono di essere stato simpatizzante dei tedeschi durante la Seconda guerra mondiale.
Lo sostituì il figlio Mohammad Reza che impose una modernizzazione forzata e fece un uso violento della polizia segreta, il Savak. Reza Pahlavi fu cacciato nel 1971 da una rivoluzione di donne, forze islamiche, gruppi marxisti e altre organizzazioni. Da Parigi, dov’era in esilio, tornò l’ayatollah Ruhollah Khomeyni (1979-1989) che diventò la guida suprema religiosa dell’Iran che prese il nome di Repubblica Islamica dell’Iran e, come accade in questi casi, al governo andò la forza meglio organizzata, l’Islam più fanatico, come nella “Primavera araba”.
Subito cominciò la repressione contro le donne: l’imposizione del chador anche per quelle che lavoravano nei campi, l’esclusione dalle cariche pubbliche, la separazione dagli uomini che le donne non potevano guardare pena la perdita dell’onore della famiglia. L’ingresso alle università fu limitato, le donne entravano da una porta separata ed erano perquisite. Poi vi fu la guerra (1980-1989): l’Irak, spinto dagli americani, attaccò improvvisamente l’Iran, ma quando l’Iran stava vincendo, Usa, Israele e Nato aiutarono l’Iraq fino ad una pace che lasciava le cose come prima.
Scrive Masih: Sono figlia dell’Iran che porta su di sé tante cicatrici: la cicatrice della rivoluzione, le ferite di otto anni di guerra, gli squarci delle esecuzioni di massa, gli sfregi e i tagli delle discriminazioni che le donne affrontano quotidianamente
La guerra fece esplodere la crisi economica e la disoccupazione, in quel caos le donne riuscirono per qualche tempo a lasciare il chador per veli leggeri e vivacissimi, usare il trucco, muoversi liberamente. Tornò presto l’angheria dei preti e dei Guardiani della rivoluzione. Masih che aveva organizzato quel gruppo di lettura fu arrestata, conobbe la prigione islamica di Evin, nota per il trattamento dei dissidenti, “in confronto alla quale le prigioni dello shah erano alberghi” costretta a firmare documenti in cui si dichiarava colpevole, condannata a 5 anni di carcere e 74 frustate, pena sospesa se per 3 anni non avesse creato problemi. La sua vita in prigione ha la forza di un documento, sconvolge. Appena uscita gettò caparbiamente il chador.
Masih aveva 26 anni, era sposata e in carcere aveva scoperto di essere incinta. Lasciata dal marito, divorzia; il figlio è dato sempre all’uomo ma, una volta cresciuto, la raggiungerà in Usa per aiutarla nella lotta che lei ha intrapreso, mentre la divorziata in Iran è considerata donna a disposizione di qualunque uomo.
Masih deve trovarsi un lavoro a Teheran. Malgrado i precedenti, benchè non conoscesse nessuna lingua straniera e parlasse con la pronuncia del nord, riuscì ad avere un incarico provvisorio da un giornale progressista. L’orgoglio e l’ostinazione le aveva imparate da sua madre, una povera contadina: se ti buttano fuori dalla porta, tu entra dalla finestra.
Al giornale inventa una nuova rubrica: telefonare ai parlamentari e chiedere delle promesse non mantenute. Qualcuno di loro le fornisce del materiale segreto. Rende pubbliche le loro spese folli, i benefit, i mutui agevolati, mentre la gente vive in una povertà ben maggiore rispetto ai tempi dello Shah.
Altri giornali riprendono le notizie, “The voice of America” le divulga: tutti gli iraniani posseggono di nascosto una parabola, quasi tutte usano i cellulari, tutte hanno una seconda vita segreta, amori segreti (i ginecologi arricchiscono con gli aborti e le ricostruzioni dell’imene), fanno feste e balli in casa, appena non viste si tolgono il chador, in aereo lo indossano all’atterraggio.
Masih sfotte sul suo giornale Mahmud Hamadinejad (2005-2013) il peggior reazionario, eletto dopo che l’opposizione era stata in blocco arrestata. Il suo giornale viene chiuso, lei riesce a raggiungere la Gran Bretagna dove scrive due libri: L’occupazione e La corona di spine.
Respinta due volte alla frontiera con gli Stati Uniti, riesce infine ad entrare con una falsa dichiarazione. Osserva che gli Usa non sono meglio dell’Iran se non si è ricchi, che è falsa quella libertà che lascia a Brooklyn la gente dormire per terra.
Sulla libertà Usa ricordo una dichiarazione di Noam Chomsky (ne ha già scritto G9, scrivi Chomski nella finestra a destra e kl) dopo che ebbe parlato a una radio iraniana: Ho parlato più liberamente qui che in America dove, se sto per fare qualche critica, mi interrompono e mandano la pubblicità.
Le donne iraniane le scrivono, manifestano con grande coraggio sapendo di rischiare il carcere. Lei posta su tutto su youtube e facebook. Molte non temono che appaia sui social il loro volto senza velo, raccontano gli abusi, sfidano le autorità e le loro stesse famiglie. Una le chiede di togliere subito il suo volto dai social per non essere abbandonata dal fidanzato tradizionalista, lei risponde: che vita pensi di avere con lui quando l’hai sposato?
Masih sposa un giornalista americano di cui nel libro ricorda l’ironia con cui la sostiene nei momenti difficili, pubblica “Onda Verde”, un giornale che scrive da sola. Nel frattempo è continuamente intervistata, le interviste vanno sul web, sono trasmesse dalla Bbc in lingua persiana: Hanno tenuto in ostaggio i miei capelli per trent’anni, perchè gli altri paesi arabi non impongono il chador?
Poi è pronta al grande passo, fonda My Stealthy Freedom (La mia libertà clandestina) – visitate il sito!!- a cui migliaia di donne mandano le loro fotografie senza velo, cui si aggiungono uomini sarcasticamente avvolti nel chador; raccoglie centinaia di testimonianze di abusi, di carcere, di frustate che documenta in 17 puntate: il pavimento, coperto dalle carte, sembrava un obitorio, dal portatile colava sangue. Con quel lavoro Vittime dell’88, vince il primo premio radio-documentario per “il sublime lavoro di ricerca”. Tutto va sui social ed è ritrasmesso dalle televisioni europee. Infine My Stealthy Freedom lancia il mercoledì senza velo o con un piccolo velo bianco e chiede agli uomini di indossare qualcosa di bianco sul vestito.
Il governo reagisce investendola di calunnie, i Guardiani della rivoluzione lanciano acido sul volto delle donne che aderiscono, alcune sono sfigurate, ma le giornate hanno successo. Masih tiene un discorso alla sede centrale di Facebook e parla al Parlamento europeo,
Ricorda alle ministre europee la loro viltà: vanno in Iran e si mettono il velo, sono donne cui non sarebbe successo niente senza velo, mentre le donne iraniane per toglierselo sfidano coraggiosamente l’arresto. Si velano Federica Mogherini, alto rappresentante degli Affari esteri dell’Unione europea, la vice-presidente del Bundestag tedesco e una ministra svedese verde e femminista addobbata “con un cappotto lungo e un velo più delle iraniane stesse”. La sua visita è chiamata sui social “la passeggiata della vergogna”, un nome che le resta addosso. Invece una ministra olandese, che conosce My Stealthy Freedom si presenta ai colloqui con un turbante e in leggings, scatenando le reazioni dei giornali conservatori per cui “era nuda”. Masih nota che Michelle Obama non portò veli quando andò in Arabia Saudita.
Malgrado enormi difficoltà, la resistenza delle donne iraniane ha ottenuto successi importanti: soprattutto le giovani nelle città tengono solo un piccolo velo che lascia scoperti i capelli, mostrano le caviglie, l’età del matrimonio si è spostata (prima veniva combinato quando avevano 9 anni e partorivano a 12) ora hanno in media il primo figlio a 29 anni. Mai come adesso hanno spalancato gli occhi per sconfiggere il buio. Bisogna lottare per salvare l’identità femminile.
Sotto l’attuale presidente Rohuani, che aveva -come i precedenti – promesso uguaglianza tra uomini e donne, come prescrive il Corano, 106 donne sono state impiccate, altre condannate a lunghe pene detentive. Le donne non possono ballare se non con pubblico solo femminile, non ricevono un’eredità adeguata, non possono viaggiare all’estero da sole, sposarsi con chi vogliono, andare in bicicletta. Ogni anno emigrano dall’Iran 100.000 lavoratori qualificati, una continua perdita intellettuale ed economica.
Fra i libri sulla situazione della donna in Iran, sono importanti, soprattutto per il respiro internazionale e le molte interviste, i due di Lilli Gruber, Figlie dell’Islam e Chador, Rizzoli. Gruber incontra anche Shirin Ebadi, premio Nobel per la pace. Shirin ha lanciato One Million Signatures Campaign, una petizione per raccogliere un milione di firme e cambiare le leggi che discriminano le donne. In Iran il 65% degli studenti universitari sono ragazze, alle donne sono in teoria aperte tutte le professioni a tutti i livelli, votano per il parlamento che però ha a fianco la realtà teocratica che la domina. Shirin era giudice, ma gli ayatollah le hanno tolto l’incarico perché avrebbe giudicato degli uomini, lei ora fa l’avvocato in difesa dei diritti delle donne. “La cultura patriarcale è contro il Corano, dice che la donna deve poter scegliere e nessun uomo è autorizzato a punirla (…) le donne ce la faranno, sono l’avanguardia della democrazia: per cogliere la mela da un albero bisogna lasciarla maturare: la mela iraniana è finalmente pronta”.
Senza fretta nel 2018 interviene Amnesty International: le leggi sul velo forzato sonno una flagrante violazione dei diritti delle donne iraniane a alla libertà di espressione, culto e religione. L’anno seguente Amnesty ribadiva: le donne hanno continuato ad affrontare una radicata discriminazione sia nell’ambito del diritto di famiglia sia del codice penale (…) le autorità non hanno ancora inserito nel codice penale il reato di violenza contro le donne, compresa la violenza domestica e i matrimoni precoci e forzati (…) Le autorità hanno condannato donne al carcere e alla fustigazione per lo svelamento, hanno minacciato altre di aver tolto il velo mentre erano alla guida di un veicolo arrivando a sequestrarlo. In quell’anno fu concesso alle donne di andare allo stadio solo per le partite della Nazionale. L’Iran si trova al 148esimo posto su 153 per quanto riguarda i diritti delle donne.
“The Guardian” (2 novembre 2020) scrive che da qualche anno l’Iran cattura e tiene in prigione alcune ricercatrici e studiose iraniane che hanno sposato uomini di altri paesi e sono tornate in Persia per congressi o per salutare i parenti. Il doppio passaporto non è più sicuro. Ancora l’11 novembre 2020 “The Guardian” elenca sette donne con doppio passaporto arrestate e condannate ad anni di carcere e frustate, cui segue lo sforzo di governi e familiari per liberarle. La sofferenza di queste donne nei famigerati carceri di Evin e di Qarchak, nelle celle descritte da Alinejad, è una tortura.
La ricercatrice australiana Kylie Moore-Gilbert,di origini britanniche, docente all’Università di Melbourne, fu arrestata all’aeroporto di Teheran nel settembre 2018, dopo aver partecipato a una conferenza. I suoi 24 mesi di prigione sono stati “un calvario lungo e traumatico” superato soprattutto per il sostegno ricevuto dall’estero. Dietro il rilascio, uno scambio con tre iraniani detenuti all’estero.
Le accuse sono sempre le stesse: spionaggio o tentativo di rovesciare lo Stato iraniano. La liberazione avviene soprattutto per pressioni internazionali, più lenti e rari sono gli scambi con prigionieri iraniani.
Per le iraniane le pressioni dall’estero contano molto meno.
Nasrin Sotoudeh, avvocata per i diritti umani, è stata condannata
a 38 anni di carcere e 148 frustate. Ricoverata dopo 40 giorni
di sciopero della fame, è stata poi riportata nel famigerato carcere di Evin.
Nel 2012 aveva preso dall’Unione europea il premio Sacharov.
Dovrà scontare ancora 12 anni di carcere.
Dall’ospedale ha rilasciato questa dichiarazione:
“Cari amici e attivisti per i diritti umani, con il vostro amore e cura, sono tornata a casa in congedo medico per seguire le mie cure. Ogni giorno che passo fuori di prigione aspetto di sentire la notizia del rilascio di tutti i prigionieri politici. Vorrei esprimere la mia gratitudine a tutte le organizzazioni nazionali e internazionali in Iran e all’estero, alle associazioni nei vari Paesi, alle organizzazioni per i diritti umani e a diversi individui come artisti, scrittori, politici, attivisti per i diritti civili, difensori dei diritti umani e i miei cari colleghi di tutto il mondo. E’ grazie al vostro affetto e sostegno che i prigionieri politici possono sopportare la prigione. Sperando nel rilascio di tutti i politici”
Il 2 dicembre 2020, grazie alle pressioni internazionali è stata rinviata la condanna a morte dello scienziato svedese-iraniano Ahmadreza Djalali, in carcere dal 2016, con l’accusa di spionaggio a favore di Israele.
Nel novembre scorso, secondo Amnesty, almeno 22 giovani sono stati uccisi dalla polizia per proteste contro la crescita dei prezzi.
Anche israeliani e americani uccidono. Dal generale Qassem Soleiman che si trovava in Iraq forse per coordinare gruppi sciiti a Moshen Mahabadi, uno degli scienziati del programma nucleare iraniano. Altri gruppi meno noti che si trovavano in Iraq sono stati uccisi da bombe Usa.
I passi di pace iniziati con Obama sono stati annullati da Trump che ha fatto ripartire la corsa al nucleare in Iran.
La Persia – ha scritto il nostro redattore Giuseppe Origgi – è una bellissima rosa dal profumo intenso e penetrante, di cui scoprire i magnifici colori e la disperazione di essere imprigionate tra le spine. Ma il Corano dice: Ringrazia le spine che hanno la rosa.
Pino Mongiello, l’altro nostro redattore andato in Iran tempo dopo, ha scritto: Le donne dell’Iran comunicano con gli occhi, nerissimi, bellissimi. E il più delle volte quegli occhi sprigionano il sorriso: ora sereno, ora malinconico, ora seduttivo, sempre intenso e penetrante. Si intuisce nel mondo femminile dell’Iran lo sciogliersi di una lunga storia che viene da lontano e l’ergersi di una distinta nobiltà. L’antico mondo persiano che ho visto nelle rovine di Persepoli, è in grado di suscitare stupore ancor oggi. Allo stesso modo emoziona la vista delle antiche torri del silenzio poste sulla cima dei rilievi dove si abbandonavano i morti come prescriveva il rito zoastriano, perché divenissero pasto agli avvoltoi e tutto, una volta consumato, entrasse nell’eterno ciclo della vita. Fa effetto pensare che in Persia visse un sovrano, Ciro il grande, che amava l’incontro tra i popoli, che liberò gli Ebrei dalla cattività babilonese e consentì loro di ricostruire il tempio a Gerusalemme.
di Nahid Salan
Per comprendere l’Iran e la sua evoluzione è utile conoscere anche i contributi e le fotografie di due nostri redattori, Giuseppe Origgi e Pino Mongiello:
http://www.gruppo2009.it/iran-nuove-immagini-e-poesia/
http://www.gruppo2009.it/7636-2/