In Valvestino sull’altalena… Tra storia e fantasia
agosto 28, 2016 in Album fotografici, Approfondimenti da Pino Mongiello
Questioni di confine ricordando Francesco Giuseppe
Quest’anno mi son lasciato convincere a partecipare, in Valvestino, alla festa di compleanno dell’imperatore austro-ungarico Francesco Giuseppe, morto nel 1916, nel corso della Prima guerra mondiale. L’evento non ha ancora una tradizione solida ma lo si celebra già da sette anni. Moerna, dunque, un piccolo borgo di 191 abitanti, a 1000 mt di altitudine, ha ospitato la festa con rievocazione in costume di un fatto che non è mai avvenuto: la visita in valle del sovrano asburgico, con la sua corte. Sta di fatto che una gran folla di gente si è avventurata fin lassù per vedere da vicino le comparse di una sceneggiata dal vago sapore nostalgico, belle statuine dai volti rassicuranti atteggiati al sorriso. Diversamente dal lontano tempo che fu, i forestieri accorsi mi sono parsi disincantati e pragmatici, desiderosi solo di accaparrarsi qualche scatto fotografico con ogni mezzo, cellulari compresi, per trasmetterlo in diretta a parenti ed amici, pagando così il tributo alla nostra civiltà dell’immagine, che esalta la celebrazione dell’effimero. Non si può negare che la scenografia dei monti sia stata suggestiva; ed anche la coreografia degli Schützen di Bedollo di Piné ha fatto la sua parte insieme alla musikkapelle che ha suonato durante la Messa, celebrata all’esterno della chiesina di San Rocco. Il parroco, però, poteva ben lamentarsi del chiacchiericcio diffuso: l’interesse e l’attenzione maggiore della gente si orientava, e non poteva essere diversamente, verso i gruppi folkloristici, verso i cappelli piumati degli Schützen, verso gli ottoni lucenti dei musicanti, verso i visi gentili delle bionde bellezze alpine. La Messa del celebrante appariva, in quel contesto, come un elemento della grande coreografia costruita a tavolino. L’atmosfera che si respirava aveva del fiabesco. Che meraviglia trovarsi, quasi per incanto, vicini alla principessa Sissi, sotto gli occhi di Francesco Giuseppe, mentre il corteo dei figuranti, con pennacchi e bandiere colorate, procedeva verso il luogo dei discorsi. Nelle file del corteo c’era anche qualche sindaco della Comunità montana, con tanto di fascia tricolore a tracolla. A tratti, tuonavano le salve dei cannoni e apparivano mutevoli colonne di fumo. Ad un certo punto, per ricordare i caduti in guerra, è stato dato il via alle note dell’inno dalla chiara impronta germanica, scandite nel silenzio commosso della moltitudine. L’inno italiano non è stato suonato. Mi sono chiesto se per caso i miei studi sulla realtà storico-geografica della zona non fossero stati viziati da errori imperdonabili. Dopo aver ascoltato il discorso ufficiale del politico d’occasione, consigliere regionale lombardo della Lega, che sosteneva l’importanza di riscoprire i valori che, pur nelle differenze, ci tengono uniti, e che quindi la cerimonia in corso entrava in quell’ottica, volevo chiedere ad alta voce: e l’inno italiano? Forse, però, sarebbe stato meglio che non si cantasse nemmeno l’inno tedesco. Una polka o un valzer, o un canto triste sarebbero stati meglio intonati alla dimensione complessiva di quella fantasiosa rievocazione storica, per lo più giocata sulla finzione scenica. E quanto ai morti, qualcuno ha già detto da tempo che sono tutti uguali! Ma ce lo scordiamo. Non so se i pensieri che sto esternando sono frutto di paturnie solo mie. Qualcuno mi ha detto che mi tormento troppo. In fondo, la gente non vuol pensare; vuole solo divertirsi. C’è già troppa malinconia in giro. Non convinto da questi ragionamenti di superficie, ho chiesto a un amico di origini valvestinesi di spiegarmi cosa sta succedendo. E così, il prof. Alfredo Rizza, glottologo, di recente entrato a far parte dell’Ateneo di Salò, ha cercato di chiarirmi le idee e mi ha subito detto: “Il genetliaco dell’imperatore asburgico non fa parte della tradizione, ma di fatto sta divenendo una tradizione”. Ha quindi argomentato in maniera articolata su diversi aspetti, parlandomi anche della sua esperienza personale: “Ho ancora i libri di scuola della nonna, con l’effigie di Sua Maestà l’Imperatore, dai quali ho appreso anch’io qualcosa. I Tirolesi, soprattutto nel periodo antecedente la Prima guerra mondiale, sono stati molto aperti alla modernità e hanno favorito il progresso igienico e infrastrutturale dei territori poveri (acquedotti, edifici scolastici, caseifici, dal 1910 al 1915; nel 1897-98 la mulattiera con i ponti di pietra dal confine con l’Italia lungo i sei paesi, Bocca di Valle e i Baitoni). Nel 1914 hanno portato l’acquedotto a Cadria, il paese più sperduto della valle. In precedenza, nel 1866 (fine terza guerra d’indipendenza) i valligiani avevano potuto scegliere se stare con l’Austria o con l’Italia: la maggioranza, allora, scelse l’Austria, seguendo le raccomandazioni dei preti, legati al principato vescovile di Trento, di nomina imperiale. In periodo fascista, quando i Feltrinelli facevano pesare le loro volontà, la maggioranza cambiò orientamento e la valle passò sotto Brescia (1934). Poco prima fu realizzata una strada carrozzabile (1931-32) che, non dimentichiamolo, serviva molto anche all’attività dei Feltrinelli. Nel frattempo, la situazione giuridico-amministrava della Valvestino visse uno stato ibrido: la diocesi rimase a Trento (fino agli anni Sessanta del Novecento). Il tribunale e il Catasto fecero capo a Rovereto e Riva. Che cos’ha la Valvestino che la avvicini alla Lombardia? Il dialetto: chiaramente più bresciano che trentino. Ma anche lo sbocco geografico: la valle sfocia nel Garda. Toscolano e Salò sono sempre stati, insieme a Gargnano, punti di riferimento. A dividere la Valvestino dal Trentino sono le montagne ma, a pensarci bene, per l’economia le montagne sono, spesso, più alpeggi che confini. Sul Tombea si incontrano e scontrano le comunità di Bondone, Storo, Valvestino. Potrei continuare in questa lettura dei fatti storici, ma mi fermo. Da un punto di vista dello sviluppo, vantaggi e perdite si possono trovare in ogni periodo, tirolese e italiano. Io credo che oggi stia prevalendo la sensazione dell’abbandono. La Lombardia non è stata all’altezza delle aspettative della Valvestino mentre la Provincia autonoma di Trento sembra poter essere in grado di mantenere ciò che promette: la realizzazione, cioè, di un traforo verso il Trentino che la gente del luogo ricorda come un progetto già austriaco, ma che al tempo venne rifiutato dai valligiani stessi”. Oggi, ad essere contrari a quella strada è, invece, Legambiente, che ha già assegnato al Presidente della Provincia di Trento la bandiera nera, conferendogli anche il titolo di “Pirata delle Alpi”.