In quel Tesoretto si sono specchiati in tanti

novembre 3, 2024 in Letteratura, Recensioni da Viola Allegri

Coperina tesorettoSiete voi qui, ser Brunetto?

Nel XV canto dell’Inferno, uno dei più commoventi e suggestivi, Dante incontra il suo vecchio maestro. Affetto, nostalgia, invettive contro Firenze, previsione del futuro si mescolano ai margini di un sabbione ardente dove cade sui sodomiti una pioggia di fuoco. Tra i due avviene un dialogo di 102 versi che affrontano temi culturali, sociali e politici.

Ma più mi colpirono a scuola le ultime parole di Brunetto:

Sieti raccomandato il mio Tesoro

nel qual io vivo ancora, e più non cheggio

ed io curioso: qual è il Tesoro che le note a piè di pagina liquidano in breve come “libretto”?

Ora finalmente lo conosco. L’ha pubblicato l’editore Carocci: il Tesoretto, a cura di Giorgio Inglese.

Giotto, Cappella del Podesta, Palazzo Bargello, Firenze: affresco con Dante e Brunetto Latini (1335)

Giotto, Cappella del Podestà, Palazzo Bargello, Firenze: affresco con Dante e Brunetto Latini (1335)

Brunetto scrisse, in uno dei tanti rivolgimenti tra guelfi e ghibellini, mentre era esule in Francia, il Tresor e, tornato a Firenze, altra opera, in parte diversa dalla precedente, il Tesoretto, il primo in lingua francese e in prosa, il secondo in poesia e in volgare: 2945 settenari in rima baciata che dovevano essere nell’intento dell’autore un’enciclopedia, che parte dalla divina creazione per arrivare ai tempi suoi.

In realtà il Tesoretto svolge, a parte uno sforo nell’astronomia, solo argomenti letterari, di buon costume, di comportamento onesto e coerente, una morale immune da errori e colpe, una retorica nel significato nobile del termine. Nota il curatore che quei temi sembrano indirizzati al ceto dirigente fiorentino che andava formandosi fra cavalieri in via di imborghesimento e popolani in via di ingentilimento. Dei primi occorreva temperare la violenza e l’ardore promuovendo l’autocontrollo e la prudenza, ai secondi bisognava insegnare a non aderire passivamente al sistema di valori praticato dai magnati.

Tuttavia ciò che più colpisce in Brunetto è la modernità della sua concezione del mondo. La Natura, soggetto tanto caro all’Illuminismo, insegna la virtù, l’amore, la solidarietà, poi naturalmente ci sono i sette vizi capitali identificati dalla religione. Allegorie che impressionarono Dante, ancor più quando Brunetto rimpiange che pensando a capo chino al mondo corrotto

perdei il gran cammino

e tenni ala traversa

d’una selva diversa.

Inevitabile la vicinanza al mi ritrovai per una selva oscura della Commedia.

Dopo la selva, Brunetto vede una montagna con molti animali, Dante vede una collina e incontra tre animali. Dante attinse quindi al Tesoretto tanto che ancora gli è fitta in mente

la cara e buona immagine paterna

di voi quando nel mondo ad ora ad ora

m’insegnavate come l’uom s’etterna.

Etica comune che invita l’umanità allo studio, ad un miglioramento di costumi, virtuoso e non violento come a Firenze, a non viver come bruti. Né credo sia casuale la spinta verso la conoscenza che qui si trova come nell’Ulisse del canto XXVI. Due grandi uomini condannati all’Inferno.

Brunetto partecipò alla vita politica di Firenze dove occupò le cariche più importanti, come quella di sindaco, relatore contro l’interdetto papale alla città, ambasciatore, notaio, oratore. Ma la sua vita non fu solo quella del politico attivo e dello studioso, fu anche scrittore, poeta e, con lungimiranza, traduttore in volgare di opere latine, lingua che cedeva alle lingue nazionali, ed è Brunetto il primo che se ne accorge e parla di “lingua francese”. Fra tutti gli autori latini (il suo stesso cognome è probabilmente un genitivo) amò e tradusse Cicerone, considerato il massimo scrittore e virtuoso del tempo antico. Il dibattito sulla lingua fu a lungo al centro di scritti e discussioni tra intellettuali come Dante, Petrarca e Boccaccio, spingendoli a scrivere sia in latino sia in volgare, la lingua del popolo.

Nel Tesoretto la Natura condanna i vizi più comuni: il bordello, la vendetta, superbia, ira, accidia, avarizia, gola, lussuria. Vizi che riempiono cerchi e gironi dell’Inferno di Dante.

Nella descrizione dell’amore Brunetto nota che l’innamorato sovente muta stato (non è più lo stesso di prima) e interroga Ovidio che ha descritto tante diverse forme e atti dell’amore. Ovidio

Mi rispose in volgare

Che la forza d’amare

Non sa chi no la prova.

E qui siamo a Cavalcanti In donna me prega: imaginar nol pote om che nol prova e a Dante nel sonetto Tanto gentile: ‘ndender no la può chi non la prova.

Questo è il Tesoretto, dopo secoli tornato tra noi in un’edizione critica: una mammella da cui tanti hanno succhiato. È cosa che commuove ascoltare le sue ultime parole: vivere attraverso la sua opera. E a chi legge rimane in sospeso qualche domanda: quanto ha insegnato Brunetto ai suoi contemporanei e successori? Senza i suoi libri avrebbero scritto ciò che li ha resi grandi? Il problema Brunetto va forse rovesciato: va tolto all’angolo buio delle lettere e collocato vicino al vertice.

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