Il verso va giù di moda, è arrivato il google metaverso, lo scriverò sui muri e sulle metropolitane

agosto 13, 2024 in Recensioni da Viola Allegri

Copertina PolicastroScrivere poesia e sulla poesia è oggi un sentiero fra tracce incerte e confuse, smarrimenti tra temperature alte e climi difficili. Non è cosa nuova, in passato fu destreggiarsi tra l’epica e la lirica, la canzone e l’elegia; tra la viella, il pianoforte e il bongo; tra i castrati, tra Claudio Villa e Gaber e si potrebbe continuare.

Gilda Policastro

Gilda Policastro

Lo studio di Gilda Policastro, critica letteraria e insegnante di Letteratura italiana contemporanea all’università di Perugia, Il metaverso. Appunti sulla poesia al tempo della scrittura automatica, ed. Quodlibet, denso e appassionato, mostra la forza centrifuga, i confini labili, il labirinto e il tormento che la poesia vive oggi quando non si pone più come palpito cardiaco e cambiamento del mondo, ma acuta d’occhio e con una botta ermetica pretende di “dire le cose come stanno”.

Non sono proprio i volantini anni sessanta/settanta, ma la nuova poesia cavalca il limite che la separa dalla cronaca, riflette il presente ai confini dell’articolo giornalistico e del “commento a caldo”.

Il Postmoderno con i suoi strumenti informatici è piombato sulle carte del poeta demolendo da un lato il canone e i suoi criteri di selezione (cosa che mi è sembrata sempre auspicabile), dall’altro si è aperto all’ipertesto “ricombinando materiali presi dalla rete” inventando “il googlismo per restituire l’idea di un mondo più fedele alla nostra esperienza”. Esagerando: lo studente moderno non sa le tabelline, ma sa come trovarle in internet.

La poesia, combinando testi di varia provenienza “oscilla dall’impersonalità della macchina all’ipercentratura egotica del selfie”. L’infinito di Leopardi è passato all’io della finzione grazie al procedimento elettronico, al ”sedendo e scrollando tra dolce naufragio e compulsione digitale”.

Non con rime si poeta, ma “con le stringhe prodotte dagli algoritmi” e con frasi prese da altri contesti. Lo scrittore tradizionale è sostituito dal programmatore di linguaggio, è un pensatore iperconnesso: crescono le procedure e l’aspetto emozionale: più della voce del poeta, emerge “la voce del linguaggio”.

Così ci si imbatte in un titolo poetico di Goldsmith: Ctrl+C, ctrl+V.

I poeti installativi cresciuti a pane e internet praticano l’arte dello scrolling, digitano, linkano e taggano considerando il testo un ipertesto disponibile.

In che altra forma si esprime oggi la poesia? L’unica forma sopravvivente è quella antica della “canzone”, osserva Policastro, ora però totalmente diversa, è la canzone di Laura Pausini.

La strada compiuta si misura in pochi secoli: dall’ode sociale di Parini, all’espressione di stati d’animo di Leopardi, dal politico all’ermetico per approdare al musicale. Un Nobel l’ha preso anche Bob Dylan che non è un poeta perché i suoi versi nascono dalla musica. Jovanotti ha mashuppato il Dante di Paolo e Francesca Amor ch’a null’amato amar perdona… lo scriverò sui muri e sulle metropolitane, per rotolare poi a Sandro Penna: Felice chi è diverso; essendo egli diverso, ma guai a chi è diverso, essendo egli comune.

Insieme si assottiglia lo spazio tra palco e pubblico, si versa il minestrone tra poeta e spettatore. La poesia si fa marginale, breve, instagrammabile, si accoppia alla canzone.

Un’altra domanda: dove restano le parole a futura memoria? A questa ha dato una risposta un libro del nostro Gruppo G9 chiedendosi: Se Cicerone avesse avuto il tablet? Farebbe come fa uno scrittore serio, le Filippiche se le scrive prima con la penna su un block notes.

Non basta: la poesia può anche trasformarsi in prosa: “quando è notte e non dorme Ida apre gli occhi, e nel buio il buio diminuisce”. Come uno scout vado a stanare la poesia in ciò che la poesia non è, in luoghi in cui non abita, nella narrativa.

Il poeta per tradizione è cieco, si farà anche muto? Ma ci sarà sempre un suo linguaggio, l’hanno anche i muti.

di Viola Allegri

POESIA INEDITA DI GILDA POLICASTRO

Quando vai a trovare qualcuno malato

di solito passi davanti a un altro

malato nella stanza solo
nel letto sbagliato

Quando esci dalla stanza lo vedi
addormentato sul fianco uguale
al tuo malato soltanto
nel letto sbagliato

Te ne ricordi l’indomani
che sei passato dritto
non hai salutato
e nemmeno guardato
quell’altro
malato
uguale
solo
nel letto
sbagliato

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