Il segreto del tasso [5]
luglio 23, 2016 in Letteratura da Silvano Danesi
Lars Laurinn si strofinò gli occhi con le mani, si guardò di nuovo attorno con fare circospetto; si toccò la fronte. No, non aveva la febbre e si era alzato ben disposto, in pieno vigore. Cosa stava accadendo? La nebbia era ancora lì e, anzi, il suo mondo, quello nel quale la festa stava per iniziare, gli pareva meno colorato di prima, più grigio, più uniforme, mentre quella casa lassù prendeva colore, in una giornata di sole splendente. Il freddo, almeno così a lui sembrava, era uguale e costante; l’aria era frizzante. Non capiva. Sentiva i suoni dei cimbali e dei corni, il vociare della gente, ma non ne percepiva più così nettamente i contorni. Diede un’altra strofinata agli occhi, ma la situazione non cambiò. Da dietro la casa spuntarono tre persone.
Procedevano in fila, con degli strani vestiti e con delle sacche colorate in spalla. Due uomini e una donna. Il primo della fila era un uomo grande e grosso, con pochi capelli e un viso strano, che gli pareva di aver visto ancora. In bocca teneva una cannuccia bianca, che ogni tanto aspirava e dalla quale uscivano volute di fumo azzurrognolo. Procedeva svelto, indicando agli altri la via. Dietro di lui la donna, piccola e mora, con uno strano abbigliamento: aveva le brache come gli uomini e aspirava anche lei da una cannuccia bianca, emettendo nuvolette di fumo.
Ultimo a comparire fu un uomo dai capelli bruni.
Lars Laurinn sentì un tuffo al cuore. Sentiva brividi, un vuoto allo stomaco. La testa gli girava. Distolse lo sguardo, ma quando riaprì gli occhi l’uomo era lì, vivo come prima, più vicino. Gli pareva non solo di conoscerlo, ma di coglierne i pensieri, le emozioni. Camminava con i suoi passi, guardava con i suoi occhi, sentiva con i suoi orecchi. Il turnot fece appello a tutta la sua lunga educazione iniziatica per rimanere fermo. Batté i piedi per terra, per sentire il contatto con il suolo. La terra era lì, solida e ghiacciata dal freddo pungente.
Le tre persone si avvicinavano sempre più. Entrarono nel cerchio di pietre.
Lars Laurinn ebbe l’impulso di gridare che non era consentito, ma si rese conto che non lo avrebbero sentito. O forse sì? I due uomini e la donna avanzarono ancora, fino a ché non giunsero nei pressi delle pietre disposte a traguardo, che i druidi usavano per osservare il cielo. Lì si fermarono.
La processione, nel frattempo era iniziata. I druidi avanzavano lentamente verso la parte alta del cerchio di pietre. Le sacerdotesse fecero altrettanto, sul fianco destro. I suoni cessarono. Sulla sommità del prato, dove il più anziano dei druidi, dopo aver ringraziato l’ascoso divino e le sue infinite manifestazioni e aver salutato il nuovo anno, avrebbe dato inizio al rito, ora stava un uomo.
Lars Laurinn vedeva contemporaneamente gli abitanti del villaggio, i druidi e le sacerdotesse e le tre persone venute da chissà dove nello stesso modo: vive e colorate, ma quell’uomo grande e grosso lo percepiva come una forma. Guardò meglio e vide la sua lunga veste, le braccia alzate verso il cielo; ne intravide il viso. I suoi gesti erano quelli di un druida. Le sue braccia alzate erano tese in un abbraccio sovrumano a tutte le persone presenti: tutte, quelle che partecipavano alla festa e quelle che, venute all’improvviso, stavano sul fondo del prato in silenzio, osservando stupite qualcosa verso l’alto. Poi la forma svanì.
La processione lentamente stava avanzando. Quando guardò nuovamente sul fondo del prato i tre venuti da chissà dove non c’erano più.
Lars Laurinn si lasciò andare su un masso. Sedette a lungo pensieroso. Era andato a Bar Ailt per vedere e aveva visto, ma non avrebbe mai immaginato di assistere allo svanire del tempo.
Le nebbie si erano alzate e i mondi si erano incontrati? E chi era quel druida che per un attimo aveva officiato il rito ed era svanito nel nulla?.
***
Gwydd osservava la scena compiaciuto.
Prima Lars Laurinn, esterrefatto davanti al comparire dei tre strani individui, poi la sorpresa di questi al formarsi, davanti a loro, di una scena dell’altro mondo.
Il vecchio druida seguiva commosso l’intrecciarsi dei due mondi, il rinnovarsi del mistero di Samain.
Era immobile da ore, nel tempo di Antares, sul promontorio che si affacciava sul grande fiordo. Il silenzio era totale, interrotto solo dallo sciabordio del mare che lentamente si ritirava e dallo stridio dei gabbiani. Il suo corpo era lì, ma la sua consapevolezza era altrove: su quei prati di montagna dove due mondi si stavano incontrando. Il vecchio druida si alzò lentamente e stese le braccia verso il cielo. Voleva abbracciare e benedire quegli uomini e quelle donne che presto avrebbe raggiunto, seguendo le vie dei commerci, per assolvere ad un compito e seguire il suo destino.