Il sapore dolce-amaro dell’esame di maturità
giugno 24, 2022 in Approfondimenti, Recensioni da Viola Allegri
Non sempre l’esame di maturità, di per sé ansiogeno, inoltre velato dalla certezza di perdere i compagni di anni di studio e di segreti, dal ricordo dei professori che ci lasciamo alle spalle, porta dritti in Procura e a un paio di processi in tribunale. È capitato nel 1939 a Marcella Olschki, nipote del fondatore dell’omonima casa editrice.
Il suo piccolo libro, 90 pagine, Terza liceo 1939, prefazione di Piero Calamandrei, vincitore del premio Bagutta Opera Prima 1954, è ora ripubblicato da Olschki, certo per tener compagnia ai maturandi.
Il passaggio per il tribunale è dovuto a un professore fascista, meschino e feroce, che la prende di mira e la schiaccia sotto perpetue gravi insufficienze poi scomparse all’esame. Ed è dovuto in egual misura al carattere di Marcella che durante le vacanze all’Elba, vede una cartolina con Portolongone e un ergastolano bonario e innocuo, con tutte le sue finestrine in fila e gli alberi stenti.
È il momento della vendetta: Marcella sottolinea la parola ergastolo, mette una bella freccia a un finestrino, vi scrive: riservato per Voi, gli invia la cartolina con una grande firma per esteso. Mi ha avvelenato tre anni di vita e non lo posso dimenticare, risponde ad un’amica che cerca di trattenerla.
Quel professore di scienze che si era presentato eretto, sfrontatamente rigido dietro la cattedra, il saluto romano, lo sguardo gelido che passava in rivista la plebe, e più tardi, quando il primo della classe chiede: “Scusi professore”, subito lo interrompe: Io voglio essere chiamato signor professore perché ho la serva e vado in villeggiatura.
La cartolina di Marcella viaggia: buca delle lettere, timbro, postino, bidello, tavolo del professore, amministrazione giudiziaria.
L’avvocato di famiglia, informato e dapprima incredulo, due giorni dopo telefona: il professore ha sporto regolare querela per oltraggio a pubblico ufficiale. Anche i professori sono pubblici ufficiali, da sei mesi a due anni di reclusione.
Marcella si salva in appello per l’energia e l’intelligenza dell’avvocato che ferma l’applicazione delle leggi razziali approvate l’anno prima.
L’ultimo anno di scuola è tuttavia per lei come per tutti, l’anno più inquieto, quello in cui si pensa al futuro e intanto si guarda indietro come il dio Giano. Ma al momento c’è il professore che fa rivivere Odisseo e il preside che mette un bidello ad ogni piano perché scriva su due quaderni, uno per i maschi, l’altro per le femmine, cerati in nero, intestati in bella grafia rossa, i nomi di chi “occasionalmente esce di classe per recarsi alle latrine”. Il preside teneva rigorosamente il conto e lo studente amante delle latrine “era osservato a sua insaputa” per capire se si trattasse di un difetto o di un insano istinto di bighellonare. Concetti compatibili in un uomo, non in uno studente, nota Marcella che aveva senz’altro una vena di vivacità e monelleria anarchica.
Naturalmente in tutte le classi c’era un apparecchio radio gracchiante con cui il preside interrompendo le lezioni dei professori, impartiva agli studenti sghignazzanti le necessarie disposizioni così da ribadire anche ai sordi la sua esistenza: “Disciplina regolante l’uscita degli alunni o delle alunne durante i dieci minuti di intervallo per recarsi alle latrine”, seguivano le norme opportune affinchè non ci fosse promiscuità. Il piacere del preside per le latrine, credo non sfuggirebbe al dottor Freud, né alla definizione del Devoto-Oli, né all’ufficio del catasto. Quanto all’apparecchio radio in classe, l’avevo anch’io al liceo trent’anni dopo, ma non funzionava.
Entrare in classe è più divertente che “far forca”, cioè “bruciare”, prendersi una mattina di libertà. Come tutti sanno, la mattina della “forca” è solo inizialmente felice, ma dopo un’oretta si fa vuota e noiosa così da far nascere qualche rimpianto.
Il carattere di fondo del libro di Marcella è la sua spontaneità e verità. Felice e diritta lei viene verso di noi, ci guarda, ci costringe a ripensare al nostro banco, amici e amiche, al ripetente incallito, così bravo la prima settimana di scuola, a quello che viveva tra le nuvole, perso tra gli uccelli fuori dalla finestra, e attento a chi alla finestra si affacciava.
Aggiungo di mio, che non dimenticherò mai chi mi passava i compiti, anche se qualche volta arrivavano in ritardo, mentre ho dimenticato quelli a cui io li passavo.
Gli occhi di Marcella sono sereni (anche se talvolta leggo qualche allusione geometrica), lucidi di passione in una scrittura vivace e limpida così che non dimentichiamo quando abbiamo cristallizzato le manie di un professore in un suo gesto, le immense fantasie che un altro generava in un’aula improvvisamente slargata. Come in un blog ciascuno di noi può aggiungere il suo ricordo, ogni ricordo è vero. E’ vero il ricordo del primo amore nato quasi per caso, la mano nella mano, le passeggiate nel parco, infine l’addio, come ad ogni primo amore.
Scrive Calamandrei, che fu suo insegnante all’Università, nell’introduzione: “Liceo, dolce stagione in cui ogni ora si nasceva, in cui ogni giorno si scopriva qualche mistero di noi, imparare era scoprire, che si stesse attenti o ci si svagasse”.
di Viola Allegri