Il Rinascimento a tavola, dalla gastronomia all’uomo
giugno 8, 2016 in Recensioni da Mario Baldoli
Una ricetta a caso, la Crostata di carni domestiche: Se vorrai fare una crostata di piccioni, come di qualsiasi volatile, per prima cosa falli bollire; quasi giunti a cottura, toglili dalla pentola, dividi in pezzi, soffriggili in padella…la ricetta continua per altre dieci righe con lardo, prugne e ciliegie amare, sarà lenta da digerire, raffrenerà la bile, ma irriterà il petto.
All’apparenza abbiamo davanti un libro di cucina De honesta voluptate et valitudine pubblicato ora in una nuova definitiva edizione filologicamente ineccepibile, commentata, testo latino a fronte, repertorio delle fonti di Enrico Carnevale Schianca, che vi ha aggiunto il sottotitolo Un trattato sul piacere della tavola e la buona salute, Olscki editore.
Scritto nel 1467 dall’umanista Bartolomeo Platina, nome forse derivante da Piadena, il piccolo paese tra Mantova e Cremona dove nacque, l’opera fu un best-seller dell’epoca, 18 edizioni in settant’anni. Pubblicazioni anche volgarizzate, rivolte quindi a lettori che non avevano dimestichezza col latino. Poi la dimenticanza.
Ma non sfuggiva nemmeno all’epoca l’ossimoro del titolo: può la voluptas (il piacere dei sensi) sposarsi all’onestà? Ricorriamo a stoici ed epicurei: alla loro coincidenza nel fine da raggiungere: il sommo bene, l’atarassia. A questo si riferiva l’umanista? Forse possiamo andare oltre e trovare nel titolo la traccia del decoroso edonismo di Ovidio.
Invece il successo fu decretato da un’assoluta originalità, quella che dà ancor oggi modernità al libro: non abbiamo davanti un volume di ricette, ma, come scrivono J.L.Flandrin- M.Montanari, Histoire de l’aliméntation, Fayard): ci “trovi il gusto del mangiare, la selezione dei cibi, i tempi del consumo”, e il Naso: “un trattato di igiene alimentare, summa del sapere gastronomico dell’epoca, il più grande classico della dietetica culinaria”. O il Milham: “il primo passo verso la moderna gastronomia”.
Mescolato alle ricette, come fosse una di queste, Platina spiega che esercizio fisico occorre, come vivere la cena: a tavola si va “col corpo completamente rilassato”. Si mangia leggero, come il serpillo (timo) che giova contro i morsi delle serpi, e in decozione con l’aceto toglie il mal di testa; o il puleggio (una varietà di menta) che oltre a rianimare gli stanchi, uccide col suo odore le pulci.
Passata la cena, ci si astiene per un paio d’ore da attività fisiche e intellettuali finché si conclude la prima digestione. Nel frattempo svaghi tranquilli, di gusto cortese e misurato, senza scurrilità e battibecchi, ma gioco dei dadi, scacchi, carte (senza imbrogli beninteso). Segue un paragrafo sul sonno, che non dev’essere troppo lungo. Poi si fanno avanti altre ricette. Le ricette, come conviene a un buon umanista, richiamano a volte a storie mitologiche, magari difficilmente calzanti. Esse sono anche un pretesto per parlare degli uomini, affinare il loro gusto e i loro comportamenti
Resta da chiedersi chi fu Platina: veniva dal nulla e si fece strada prima come soldato di ventura, poi come studente alla Casa Gioiosa a Mantova, il più moderno ginnasio d’Italia, voluto dai Gonzaga, cui fu sempre affezionato. Lì fu insegnante di latino e greco e iniziò la sua vita di cortigiano con un libro celebrativo del suo signore Ludovico Gonzaga. Poi si trasferì a Firenze per imparare meglio il greco e respirare l’aria dell’umanesimo.
Lì conobbe Marsilio Ficino, Poggio Bracciolini, Pico della Mirandola.
Infine eccolo a Roma, dove incontrò Leon Battista Alberti e il Maffei.
Alla corte papale essere cortigiani è più difficile, data l’enorme concorrenza. E tuttavia piace al papa di turno, Pio II Piccolomini, che gli dà incarichi di prestigio, poi si trova contro Paolo II, che smantella l’operato del predecessore. Platina non è però un cortigiano solo ossequiente. Lo si descrive anche di carattere mordace, ironico, nemico di una curia di parassiti e contemporaneamente da essa dipendente. Contro Paolo II che lo licenzia, si rivolge furibondo alla Sacra Rota. Naturalmente, ben prima di arrivarci, finisce in carcere a Castel Sant’Angelo. Liberato dopo qualche mese su raccomandazione del cardinale Francesco Gonzaga, vi ritorna presto accusato di congiura contro il papa. Ora conosce la tortura e ne esce con una spalla lesionata, ma con le idee per la Honesta voluptate. Infine diventa papa Sisto IV, un Della Rovere che lo prende in simpatia. Platina gli dedica un libro, un altro lo scrive su commissione e gli si apre la carica di Bibliothecarius alla Biblioteca Vaticana.
A sessant’anni muore di peste. Questo è il suo libro più noto, l’esaltazione dell’uomo attraverso la tavola.
Per trovare un’opera che vada oltre la sua, bisogna aspettare il 1825 quando Brillat-Savarin scrive La fisiologia del gusto, nella quale il cibo assume, oltre al buon gusto, anche un valore sociale. Ma a quell’umanista, il Platina, non possiamo che essere debitori.