Il referendum e la logica d’accentramento dei poteri: alcune ragioni per il no
settembre 30, 2016 in Approfondimenti da Marco Castelli
Egregio Direttore,
ci sentiamo in dovere di prendere la parola nel dibattito pubblico che tocca il tema del progetto di revisione costituzionale sul quale, come cittadini, dovremo pronunciarci in via referendaria il prossimo autunno. Riteniamo che questa riforma, unitamente alla legge elettorale (c.d. Italicum), si ispiri ad una logica di accentramento dei poteri che mina agli equilibri istituzionali, sancendo la preminenza del Governo sul Parlamento e comprimendo, come non mai in epoca repubblicana, la rappresentatività delle istituzioni.
Anzitutto è necessario evidenziare come la riforma rafforzi in misura esorbitante il ruolo dell’Esecutivo mentre contestualmente il Parlamento, unica istituzione diretta espressione del corpo elettorale, finisce in secondo piano, perdendo la propria soggettività e divenendo, strutturalmente, organo di ratifica dell’agenda politica del Governo. É in questo ambito che si innestano gli effetti distorsivi dell’Italicum, una legge elettorale che attribuisce ad un’unica lista, anche di minoranza, un premio tale da consentirle di ottenere sempre una maggioranza in Parlamento che sia funzionale al perseguimento degli obiettivi di un Governo, anch’esso espressione di quella lista. Dietro questo si cela il mito della “governabilità”, Minotauro al quale tutto va sacrificato, cioè l’indimostrata idea secondo la quale solo un Paese dotato di un Governo forte, stabile e duraturo possa rispondere con sufficiente prontezza alle esigenze dei cittadini. In realtà, l’immedesimazione della maggioranza parlamentare nel Governo, prodotto di questa riforma, altro non farà che snaturare il ruolo delle opposizioni, annullare la dialettica parlamentare (che viene descritta come inutile e di intralcio alle decisioni) spostando l’asse da una democrazia parlamentare ad una democrazia “d’investitura” (o, come sostengono alcuni studiosi, ad un “premierato assoluto”).
Inoltre, è difficile mascherare un certo scetticismo relativamente alle modalità con le quali l’attuale Governo intende perseguire la “semplificazione”: sotto il profilo della produzione legislativa, la riforma in questione moltiplica i procedimenti rendendoli confusi e incerti; nell’ambito del riparto delle competenze tra Stato e Regioni, l’eliminazione della potestà legislativa concorrente, in un’ottica ancora una volta di accentramento, oltre a svilire le autonomie territoriali, rimette in discussione un assetto a malapena raggiuntosi a seguito della riforma del Titolo V del 2001 e viene operato utilizzando categorie fumose e criteri poco definiti; il bicameralismo paritario non scompare affatto (contrariamente ai proclami e mantra governativi), ma permane per una serie di materie anche particolarmente rilevanti; il Senato vede sì ridotto il numero dei propri membri, ma di esso non appaiono chiari né il ruolo, né le competenze, né, tantomeno, le modalità di elezione. Sempre sul “nuovo” Senato, occorre ricordare che i costi della politica, al netto dei tagli, sostanzialmente non mutano: la struttura e l’organizzazione interna rimangono. In ogni caso, riteniamo che il reale problema non sia la quantità, ma la qualità dei rappresentanti di un Paese e la concreta possibilità che essi hanno di incidere nel contesto democratico. La democrazia è sicuramente un regime politico esigente, in termini di costi e tempi procedurali e decisionali, ma non pensiamo che questa sua fragilità possa essere un buon motivo per tradirne i fondamenti, modificarne gli istituti.
Siamo infine convinti del fatto che la Costituzione italiana non sia soltanto, sotto il profilo tecnico-giuridico, la norma fondamentale dell’ordinamento, ma rappresenti soprattutto, come alcuni ricordano, la “casa comune”, quel “testamento di centomila morti” nel quale tutti debbono potersi riconoscere e ritrovare. Cambiarla, con un ampio progetto di riforma prepotentemente avanzato dal Governo, approvato nottetempo ed in costante urgenza, fuori dal confronto con le opposizioni e la società civile, è la strada che intendiamo accettare? Noi rispondiamo NO e crediamo che ne esistano altre, talvolta faticose, fatte di dialogo, confronto e partecipazione.
Marco Ladu e Marco Castelli
neolaureato e studente
presso il Dipartimento di Giurisprudenza
dell’Università degli Studi di Brescia