Il piacere di uccidere un negro
agosto 23, 2024 in Approfondimenti, Recensioni da Mario Baldoli
L’ampio testo (p.300) di Tu uccidi. Come ci raccontano il crimine di Antonio Paolacci e Paola Ronco, ed. effequ è il viaggio attraverso i più noti delitti italiani per approdare al nostro pensiero e sensibilità di oggi: i pregiudizi e l’ignoranza, debitamente sostenuti dalla trivialità dei mass media: la vicina di casa e un amico promossi criminologi, anche il sindaco e il parroco se c’è tempo: era una ragazza solare, un lavoratore che usciva tutte le mattine alle sette, sì qualche volta discutevano, ma non avrei mai pensato. Questo è un paese tranquillo.
Oggi, tranne un caso che analizzeremo più per esteso, gli autori mostrano che accarezziamo il delitto con morbosa e superficiale curiosità, soprattutto con ferme convinzioni: di fronte a un negro, una prostituta, un tossico le reazioni sono simili e svaniscono in fretta. Il desiderio comune è che tutto torni come prima, che anche il dolore finisca sotto il tappeto.
Gli autori ricordano che il concetto di crimine e di punizione cambiano nel tempo e nello spazio e non c’è un Lombroso che ne possa fissare i confini, come non c‘è un Beccaria (e chi lo ricorda?) che getti un po’ di luce, né un Foucault che lo infili nella nostra coscienza.
I due scrittori, già affermati giallisti, tradotti anche all’estero, osservano che anche la percezione del delitto cambia, e a volte può provocare sussulto e sgomento (quando sostenuto dai media), una scossa che divide le persone, che cambia la visione della realtà.
In Italia il primo fu certo il caso di Enzo Tortora (1983). Vederlo in manette e accusato di camorrismo il commento dell’informazione fu immediato: “è un mostro glaciale algido, privo di emozioni, uno spietato criminale, un malvivente psicopatico”. Il comportamento era il solito, non basato su logica e conoscenza, ma su ripetizione di luoghi comuni. Nei giorni seguenti gli articoli cambiarono indirizzo.
Negli Stati Uniti uno studio condotto su mezzo milione di persone chiamate in giudizio penale, passate attraverso un algoritmo (ma quale algoritmo, da chi preparato?), mostrò l’errore di chi giudica immediatamente sulla base dei precedenti, “a pelle”, sull’impressione.
Chi è sospettato d’aver commesso anche una piccola effrazione finisce dal giudice che lo libera o condanna, ma può cavarsela pagando. Poi c’è la polizia che agisce con una violenza spesso incontrollata, basta pensare che negli Usa mediamente uccide tre persone al giorno. Solo la morte di George Floyd, soffocato il 25 maggio 2020 ha scosso il Paese e dato vita al movimento Black Lives Matter che tuttavia non ha impedito che, passato qualche mese, la stessa violenza fosse ripetuta.
In Italia scioccante fu il caso di Cogne (2002): perché una madre ineccepibile da ogni punto di vista avrebbe ucciso il figlio? Quella volta i pareri rimasero divisi.
Ci sono modi diversi di descrivere un delitto: c’è quello di Vespa con plastici, esibizioni e pettegolezzi; agli antipodi quello di Lucarelli e Augias: la ricostruzione di un contesto, di incontri ed eventi che fanno precipitare la situazione. Ma naturalmente per fare ciò occorre studiare, capire ed evitare lo spettacolo.
Un intervento diverso, basato su un’accanita ricerca individuale, è la scoperta del giornalista Andrea Tortelli direttore del quotidiano online Bsnews: in un fosso sacchi della spazzatura con una donna fatta a pezzi, unico indizio: alcuni tatuaggi. Un amico gli dice di aver forse visto brani di quei tatuaggi su un’attrice porno. Tortelli scalda computer e cellulare. Viene a sapere che quello del porno era un mestiere che lei non amava, ma aveva un bambino e bisogno di soldi, il padre se n’era andato, la madre era morta, la ditta dove lavorava aveva chiuso. Scopre dall’account che l’attrice è una giovane col nome d’arte di Charlotte Angie. Ricordava certo i Rolling Stone:
Angie, Angie, non è un bene essere vivi?
Angie, Angie, non possono dire che non ci abbiamo mai provato.
Lei aveva provato a vivere lavorando, ma le era rimasto solo il porno.
Tortelli scopre che l’account di Angi non è aggiornato da tempo. Contatta regie e registi con cui lei ha forse lavorato, scopre il suo numero di cellulare, il telefono è spento, manda allora un messaggio su whatsapp. Inattesa, gli arriva una risposta, Tortelli chiede di parlare con lei, ma la voce risponde di no. Tortelli intanto ha scoperto il vero nome della vittima, Carol Maltesi, ma invece di godersi lo scoop, porta il suo materiale alla polizia. L’assassino si presenta alla polizia il giorno dopo denunciando la scomparsa di Carol. La storia è ormai tutta chiarita, Tortelli ha scoperto l’assassino. Giornali tedeschi, inglesi e americani lo intervistano, scrive un libro, Sulla tua pelle. Il caso di Carol Maltesi, Giunti editore. La delicatezza con cui racconta la storia s’intreccia con la sua vita familiare, un bambino di due anni, la moglie che lavora tutto il giorno in ospedale. Lui tra portatile e cellulare.
Pressochè nello stesso tempo la tv inizia un programma Dalla parte vostra, un video che durerà qualche anno, in cui Belpietro e altri cervelli giocano alla Stazione di Milano Centrale. Fanno parlare un ragazzo immigrato: in Italia non c’è lavoro, mafia, vendo erba. Le conclusioni sono ovvie: sporco, mafia, erba, da espellere subito.
Gli autori ricordano che la polizia nasce quasi ovunque “per il mantenimento del potere politico più che per la sicurezza delle persone comuni”. Anche da questa origine deriva il suo carattere autoritario che però non giustifica nella gente il formarsi e l’affermarsi di quell’opinione comune dovuta a una sorta di “panico morale”, una forma di angoscia collettiva non giustificata.
A dicembre 2011 a Firenze da un’auto partono colpi di rivoltella che uccidono due senegalesi e ne costringono un terzo su una sedia a rotelle. Bloccato dalla polizia l’assassino si uccide. Sul passato dell’omicida si segnala solo che apparteneva a Casa Pound. Passano sette anni, nel frattempo il cugino di una delle vittime (ricordarsi che è di pelle nera) ha sposato la vedova del morto e ne cura la figlia. Un giorno un tizio che lui ha mai visto prima e che non lo conosceva gli spara diverse volte uccidendolo. La donna è rimasta vedova per la seconda volta per mano di italiani che sparano a sconosciuti. I giornali assolvono, scrivono di “tragica coincidenza”. La sera stessa parte un corteo di protesta, rompe qualche fioriera. Subito “la Repubblica” scrive che il gesto “semina il panico tra turisti e cittadini”, gli altri giornali lanciano l’indignazione contro “questi vandali che deturpano le nostre città”. L’opposizione tra Noi e Loro è entrata nell’immaginario nazionale. Nessuno ricorda che dietro quei delitti ci sono anni di incitamento all’odio e al razzismo. Sono anni terribili: nel 2022 a Civita Nova Marche un ambulante nero è ucciso da uno che gli strappa la stampella e lo colpisce mentre la gente fotografa la scena senza intervenire. Ciò avviene quando una maggioranza considera una persona o un gruppo una minaccia alle norme sociale e agli interessi della comunità. La minaccia diventa un simbolo sostenuto dai media e dai politici: “E’ finita la pacchia, siamo padroni a casa nostra”. Paura, violenza, degrado, espulsione. Il panico entra nel cuore della società. Quando si stempera, i media si preoccupano di farlo rinascere.
A Genova un peruviano di 40 anni, ormai cittadino italiano, è ucciso da una freccia scagliata da un italiano, “un onesto artigiano”. Per i media è comprensibile dato che certamente quelli in strada facevano schiamazzi perchè quello stesso giorno al peruviano era nato un figlio. Solo giorni dopo la polizia rende noto che “l’onesto artigiano” aveva scagliato una freccia con la punta d’acciaio per uccidere. Per i giornali l’episodio “è pittoresco e folkloristico”: un arco? una freccia? a Genova, in un caruggio, non a Wounded Knee. Attraverso la porta del pittoresco il delitto entra a far parte dei luoghi comuni: i migranti per strada sono delinquenti, i residenti stanno catenacciati a casa, sono vittime.
di Mario Baldoli