Il partigiano Primo Levi
marzo 4, 2013 in Recensioni da Piera Maculotti
Nel luglio 1986 feci una lunga intervista a Primo Levi (Bresciaoggi, 26-7-1986). Mi aveva sconvolto il suo ultimo libro I sommersi e i salvati, che è anche il titolo di un capitolo di Se questo è un uomo. L’anno dopo, Primo Levi moriva.
In quell’intervista gli avevo chiesto, tra l’altro, di dirmi qualcosa sul periodo antecedente ad Auschwitz. Mi rispose che lo sentiva come un periodo opaco, vissuto con altri giovani sprovveduti e sciocchi, un periodo da dimenticare.
Eppure fu proprio dall’ottobre 1943 al febbraio 1944 che Primo Levi partecipò alla Resistenza, fu catturato e inviato a Fossoli e poi al Lager. Di quei quattro mesi si sapeva molto poco, poche lettere, qualche testimonianza orale di amici. Ora è stato pubblicato un saggio che racconta quei giorni anche attraverso indagini d’archivio: Frediano Sessi. Il lungo viaggio di Primo Levi. La scelta della Resistenza, il tradimento, l’arresto. Una storia dimenticata, editore Marsilio.
Nell’ottobre 1943 Primo Levi con la mamma e la sorella fugge ai bombardamenti su Torino nell’alta Valle d’Aosta. Nella Valle si rifugiava gente d’ogni sorta, profughi, prigionieri di guerra inglesi fuggiti dopo l’8 settembre, antifascisti, sfollati, brandelli delle truppe italiane provenienti dalla Francia. I Levi risiedevano in un albergo ad Amay. Nei dintorni incontrarono degli amici di Torino e, parlando nei lunghi giorni di noia, maturarono la coscienza di dover fare qualcosa per liberare l’Italia dai nazisti, un dovere morale. L’unica impresa di Levi, oltre a distribuire volantini, fu la scoperta di un deposito di armi in un fienile e il loro trasporto ad Amay. Quanto alle armi, sparò un solo colpo per prova, aveva una piccola e inutile pistola col manico di madreperla. Ed era tanto sprovveduto da continuare a risiedere in albergo.
Purtroppo in un paese vicino c’era una grossa banda detta “I casalesi”, perché provenienti per lo più da Casale Monferrato. Era una banda disorganizzata, con sbandati e qualche ladro, piena di conflitti tra cattolici, marxisti e altre tendenze. I fascisti vi infiltrarono senza fatica tre spie che divennero addirittura i capi della banda. Ad una riunione partecipò anche il capo del gruppo di Primo Levi (che contava dodici persone in tutto, tra cui due donne), solo così i fascisti vennero a sapere della loro esistenza.
Il 13 dicembre 1943 i fascisti fecero una grande retata, distrussero la banda dei casalesi e si allungarono fino ad Amay, circondarono l’albergo e catturarono quel piccolo gruppo. Nell’interrogatorio Levi e gli altri si proclamarono ebrei per sfuggire alla pena di morte e furono inviati a Fossoli. La vicenda continua poi in Se questo è un uomo.