Il Paese si sveglia prima delle bombe, ma il governo “se ne frega”
novembre 10, 2021 in Approfondimenti, Recensioni da Viola Allegri
Il libro di Pietro Cavallo, Italiani in guerra. Sentimenti e immagini del 1940 al 1943, ed. Il mulino, è forse il punto più avanzato di una evoluzione della storiografia dagli anni Cinquanta ad oggi.
Dalla definizione di Meinecke: La storia deve dire ciò che è realmente accaduto, alla più ampia ricostruzione storiografica di Chabod sensibile alle reazioni istituzionali, militari e civili, alla storiografia scritta “dalla parte degli umili, oppure dei vinti”, all’avvento della microstoria cui diede fiato Carlo Ginzburg coi suoi stregoni, streghe e i vermi di Menocchio, (la microstoria naufragò di fronte al problema della rilevanza), il passaggio è stato rapido, spinto certo dalla temperie politica della seconda metà del Novecento.
Marc Bloch per primo scrive che la storia è fatta anche di una tegola o di un fosso, che ogni oggetto è oggetto di storia, fino alla storia di lunga durata delle “Annales” di Braudel e altri studiosi soprattutto francesi. Meno di mezzo secolo quindi per arrivare a Jacques Le Goff degli anni Settanta, pure annalista, ma ormai su posizioni più avanzate: ogni forma storica è soggettiva, non ha più ragione di esistere la distinzione tra documento e monumento. Ogni documento è il risultato di un messaggio della società che l’ha prodotto, ma anche delle epoche successive durante le quali ha continuato a vivere e ad essere manipolato. (Basti pensare al significato che hanno oggi i monumenti ai caduti delle ultime guerre). Bisogna modificarne il significato apparente. Non esiste un documento-verità. Ogni documento è menzogna. Sta allo storico non fare l’ingenuo. Altrimenti è più attendibile Poirot.
Non solo: come Le Goff, George Mosse nota che sapere quel che pensa la gente è importante quasi come conoscere i fatti in se stessi.
Pietro Cavallo ha pubblicato Italiani in guerra negli anni Novanta, ora l’ha ripreso riscrivendolo e ampliandolo, inserendo una parte sulla filmografia, costruendo un’opera nuova nella quale interseca una grande varietà di documenti storici inediti scoperti in circa 30 archivi: il fondo censura teatrale, la posta militare, i carteggi riservati e così via. Essi gettano luce su come gli italiani hanno percepito la Seconda guerra mondiale, probabilmente la più inutile e sbagliata, certamente quella che ebbe più vittime tra la gente comune.
Tutto è finzione, ma è anche documento, scrive Cavallo, operando una lieve, ma fondamentale torsione rispetto a Mosse e Le Goff:, quella di lasciare su uno scenario lontano e sbiadito i maggiori avvenimenti, per raccontare una storia del popolo scritta dal popolo stesso.
Almeno fino ai primi mesi del 1940 gli informatori di polizia e carabinieri registrano il disprezzo degli italiani per i tedeschi, ”pronti a combattere solo se l’avversario è più debole”. Dalla beffa di Buccari alla farsa di Montevideo titola un informatore, che registra l’opinione sull’autoaffondamento della corazzata Graf Spee che si era limitata a colpire navi mercantili. Quando però si trovò bloccata nel porto di Montevideo dagli incrociatori britannici, il suo comandante fece sbarcare gli uomini e saltare nave con la santabarbara. Un atto di viltà, secondo gli italiani, uno spettacolo pirotecnico.
Ma già nel maggio del 1940 le vittorie tedesche fanno cambiare atteggiamento. C’è chi scrive: Ora è la volta nostra, è difficile stabilire quando cominceremo, ma certo tutti i preparativi si fanno; molti sono chiamati alle armi e le chiamate continuano ogni giorno.
Ma anche chi vede più lontano. Da Matera una donna scrive: Quel che si dice di questa brutta guerra fa venire timore; si parla di un’altra volta peggio di prima, speriamo che si parlasse ma non ci fosse niente (…) ieri mattina il prete nella Cappella di San Vincenzo non parlava di altro che del pericolo della guerra, tanto che fece piangere tutti, diceva vogliamo la pace per tutto il mondo in terra.
Un informatore riferisce che la gente che se ne andava da piazza Venezia dopo la notizia della guerra, commentava: Mussolini non ha giustificato in modo esauriente l’immenso sacrificio chiesto al popolo italiano (la cittadinanza accetta questa nuova guerra come una calamità, senza il minimo entusiasmo e con la convinzione che si poteva evitare). Ma gli entusiasti sognano: Gli inglesi ormai hanno perso la testa, non sanno più nemmeno loro che cosa fanno, è finita la cuccagna, ora anche noi dobbiamo fare un po’ di bella vita.
Un intellettuale come Giaime Pintor scrive: Questo fatto atteso e temuto era entrato nella nostra vita e probabilmente (lui è con due amici) ne avvertimmo subito le conseguenze.
Dubbi nascono subito sulla classe dirigente, e come sempre su onnipresenti “traditori e “spie”, oltre ai nullafacenti: infatti i bombardamenti all’aeroporto di Emmas in Sardegna avvengono perché I nostri valorosi aviatori sbronzati di birra e ubriachi di vino, passeggiavano con le servette mentre le bombe fischiavano. Un soldato scrive dalla Libia alla fidanzata: Sentirsi dare del ladro e dello sporcaccione dal comandante noi che possiamo insegnare a loro, anche se superiori, quella che è la vera onestà e il vero spirito di sacrificio; sentirci chiamare soldati accattoni da chi avrebbe avuto l’obbligo di non farci sembrare tali…
L’immediata sconfitta con la Grecia apre gli occhi: l’Italia non è una grande potenza, i bombardamenti inglesi crescono, si capisce che i tedeschi se vincono sottometteranno subito noi italiani, già ci considerano inferiori.
Dalla provincia di Catanzaro una donna scrive alla figlia emigrata in America di essere viva per miracolo che forse ancora non è venuta l’ora della morte qui si tratta senza pasta e senza caffè e latte e senza petrolio e senza un pò di baccalà insomma non posso dire la miseria…
Il blocco dei prezzi non funziona nasce subito il mercato nero.
Soprattutto dalle fonti del popolo e degli informatori emerge l’autobiografia di un Paese dominato da angoscia, dolore, rassegnazione che si attacca a superstizioni e invocazioni alla chiesa e ai miracoli, mentre la propaganda sui popoli giovani che annienteranno i rammolliti non ferma i bombardamenti.
Salendo la scala gerarchica, è ovvio che la nettezza delle informazioni si scolorisse.
Tutti hanno capito che la guerra è persa, rinasce l’ostilità verso i tedeschi, la simpatia per i Russi e gli Americani. Le critiche arrivano ora anche al duce. Un informatore nota “il compiacimento per il bombardamento di Roma, “un sentimento mostruoso di soddisfazione”, anche perché a Roma sono i centri propulsori dell’orrore.
La storia è letta da Pietro Cavallo anche attraverso i film. Fra gli altri analizza La nave militare, opera di De Robertis, regìa di Rossellini (1941). Le immagini del combattimento a capo Teulada e Punta Stilo si sposano a quelle girate all’interno della nave dove lo scontro è vissuto e partecipato anche dai marinai della sala macchine. La nave e i marinai sono un unico corpo e non manca la storia d’amore a lieto fine.
In casi come questo, prendevano e perdevano senso le parole di Mussolini: il cinema è l’arma più forte.