Il giornalista, un mestiere da evitare

febbraio 19, 2014 in Crisi da Mario Baldoli

Fra i tanti lavori che volgono alla fine c’è quello del giornalista, quello della carta stampata e, in prospettiva, anche quello del web.

Prima ancora dei numeri, la crisi dei giornali testimonia la disgregazione della democrazia come l’abbiamo concepita dal Settecento, con un pilastro radicato nella libera stampa. Oggi ci sono tante bandierine, per una democrazia senza democratici.

La strategia degli editori è evidente da tempo in tutta Europa e in tutti i settori economici, si chiama esternalizzazione.

I giornalisti professionisti, regolarmente assunti, sono oggi in Italia 6.000, i collaboratori (unendo co.co.co e freelance, come pomposamente si dice) sono 30.000.

Questi poveracci percepiscono da zero a 30 euro (in questo caso lordi) ad articolo. Non hanno nessuna tutela, non ferie pagate, riposi settimanali, copertura di malattie e sono a loro carico tutte le spese: tempo, viaggi, documentazione, rischi, ecc.I costi di produzione per le aziende editoriali sono quasi a zero. I tempi di pagamento per un articolo possono arrivare a un anno.

Un collaboratore su due percepisce meno di 5.000 euro all’anno, cioè circa 400 euro al mese. Ciò senza calcolare il vasto numero di collaboratori che sfuggono ad ogni rilevazione. Non bastasse, c’è la truffa delle partite Iva: alcuni sono sollecitati a iscriversi all’Iva pur svolgendo un lavoro subordinato. Così il padrone (difficile chiamarlo datore di lavoro) si libera di qualunque eventuale problema.

A protezione del settore, anche all’estero esistono delle regole non rispettate.

I sindacati europei dei giornalisti si sono incontrati per accorgersi che i contratti “atipici” e le varie situazioni sono troppo diversi tra un paese e l’altro, che occorre fare un glossario comune, se possibile, quindi niente di concreto, per ora.

In Italia c’è l’Allegato contenuto nel Contratto collettivo di lavoro 2009-2013, ancora vigente. Prescrive lettere collettive di contratto, tipo di rapporto, pagamento entro 60 giorni, una commissione paritetica. Mai entrato in vigore.

Altra Commissione dovrebbe  varare la legge sull’equo compenso. Doveva partire in gennaio, ma non ci sono le norme attuative e non c’è accordo tra i componenti: ministero, editori, giornalisti.

La commissione potrebbe votare a maggioranza, e governo e giornalisti insieme vincerebbero, ma si sa che gli editori finanziano i partiti, mentre i loro giornali sono finanziati dal governo, quindi è ovvio che la commissione non voterà proprio niente.

Gli editori impediscono anche l’istituzione di un modesto “equo compenso minimo”. Piangono perché il loro fatturato pubblicitario è crollato in un anno del 19,4% per i quotidiani; del 25% per i settimanali; del 24,6% per i mensili. Forse si chiedono anche perché. Al Corriere è sempre in bilico la vendita della sede storica di via Solferino a causa dell’acquisto folle della spagnola Recoletos Gli errori dei grandi li scontano sempre i piccoli. Da tempo si risparmia sugli inviati all’estero e sul numero dei giornalisti e i risultati si vedono: crescono solo il pettegolezzo politico e la cronaca nera.

Licenziamenti sono in corso a Bresciaoggi che resterà con cinque giornalisti stabili.

Si sa che la disperazione induce a sperare in Dio. Undici freelance, membri della Commissione lavoro autonomo della Federazione nazionale della stampa (Fnsi)  hanno scritto a papa Francesco: lavoriamo a tempo pieno e senza orari, viviamo nell’incertezza del presente e del futuro, siamo pagati mediamente dai 5 ai 15 euro lordi per un articolo che può richiedere anche varie ore di lavoro. Alcuni editori impongono di scrivere gratis in nome della “visibilità” della firma su un testo pubblicato: “Santità, la preghiamo di aiutarci”.

Non conosciamo la risposta, anche se la supplica ci fa pensare che scriveranno davvero una volta raggiunto il paradiso.

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