Il criceto impossibile e il capitalismo impossibile – Decrescita e finanza etica all’Università degli Studi di Brescia
ottobre 22, 2013 in Approfondimenti da Sonia Trovato
The impossible hamster (“Il criceto impossibile”) è un video di poco più di un minuto, nel quale sono mostrate le conseguenze disastrose e apocalittiche dell’eventuale crescita illimitata di un criceto. Nel filmato lo speaker spiega che questo piccolo roditore, nel breve periodo che lo porta alla pubertà, raddoppia di peso ogni settimana. Pertanto, se Madre Natura non gli desse un freno, all’età di un anno l’animale peserebbe nove miliardi di tonnellate e potrebbe mangiare, in un giorno, l’annuale produzione di grano dell’intero pianeta, senza peraltro risultare sazio dal ghiotto pasto. Una simpatica ed efficace provocazione, che intende inchiodare politica ed economia alla responsabilità dell’assurdo e testardo attaccamento a un modello di sviluppo basato sul concetto di crescita economica ad eternum. Se la Natura ha posto un limite alla crescita, perché l’economia non vi si deve adattare? All’annosa questione hanno provato a rispondere Andrea Bertaglio, giornalista ambientale del Fatto Quotidiano e tra i più attivi esponenti del Movimento di Decrescita Felice, e Pietro Ghetti, dipendente della sede bresciana di Banca Popolare Etica. Invitati da Jasmine Mondolo (Studenti Per-Udu Brescia) presso l’Aula Magna dell’ateneo bresciano, i due ospiti sono stati coordinati da Enrico Marelli, docente di politica economica.
Quello della Decrescita Felice non è un discorso di anime belle, alla peace and love, ma una proposta concreta per rilanciare l’economia, spiega Bertaglio all’inizio del suo intervento, consapevole del fatto che, in un sistema di informazione che tenta di propinare il PIL come unico indicatore del benessere di un Paese, l’accostamento delle due parole sembra quasi ossimorico. Ma decrescita – continua il giornalista – non equivale a recessione, è un nuovo paradigma culturale che si basa su scelte di consumo consapevoli. Prendiamo il caso degli Stati Uniti: è felice una persona che lavora tutto il giorno a ritmi insostenibili, che spesso deve ricorrere a psicofarmaci e che vede i suoi guadagni andare in fumo per comprare il frigorifero ogni due anni? Ventiquattro mesi è, infatti, la durata pianificata di molti elettrodomestici e dispositivi elettronici, come è emerso da un recente studio dei Grunen (i verdi tedeschi). Si chiama obsolescenza programmata ed è l’effetto più tangibile di un sistema di sovrapproduzione che satura i mercati e che dunque, a scopo di profitto, impone che i beni vengano realizzati con materiali scadenti e immessi sul mercato con l’obiettivo di durare poco. Il problema più direttamente conseguente al breve ciclo vitale dei prodotti è lo smaltimento dei rifiuti e l’inquinamento ambientale. La Apple sta diventando una veterana di battaglie legali contro class action di consumatori, che lamentano tasti difettosi o batterie progettate per tirare le cuoia dopo pochi mesi. Un fatto che dovrebbe far riflettere i consumatori bulimici e integerrimi, che sacrificano la metà del loro stipendio per un telefono, magari rinunciando alle spese sanitarie, per ingrossare gli introiti di un’azienda che è peraltro assai poco rispettosa dei diritti dei lavoratori http://www.greenme.it/tecno/cellulari/11000-apple-sfruttamento-lavoratori-iphone-5-low-cost.
Dalla messa a fuoco di questi brevi punti programmatici si intuisce l’approccio pragmatico del Movimento, dipinto spesso come roba da fricchettoni hippies che vorrebbero tornare al mulo e alla carriola. Nessuno pretende di andare a vivere nei boschi, io sto parlando da un microfono e ho un cellulare in tasca, prosegue Bertaglio, ma si vuol tentare di fornire soluzioni per emanciparsi da un mercato traboccante e che ha dimostrato, in questi cinque anni di crisi acuta, la propria vulnerabilità. Attraverso l’autoproduzione, ad esempio, che può offrire una valida alternativa a chi non può più permettersi il pane fresco tutte le mattine. A tale scopo, sono state istituite – e hanno avuto molto seguito – le Università del Saper Fare, dove, gratuitamente, vengono condivise delle conoscenze per imparare a svolgere autonomamente piccoli lavori di riparazione domestica, per preparare detersivi casalinghi o, ancora, per confezionare pane o formaggi.
E che posto può avere la finanza in una società di decrescita felice? La finanza – spiega Pietro Ghetti – può essere etica e costruire un modello di banca diverso da quello cui siamo abituati, costituendo un punto di incontro tra risparmiatori consapevoli e iniziative socioeconomiche ispirate allo sviluppo sostenibile. Risparmiare consapevolmente significa, in primo luogo, non lasciare alle banche una delega in bianco, senza domandarsi per quali cause vengano investiti i propri soldi. Intesa San Paolo e Unicredit sono nella black list degli istituti coinvolti nel finanziamento di armi nucleari, black list che si estende a dismisura se vengono presi in considerazione altri parametri (impatto sociale e ambientale, armamenti, paradisi fiscali. Per una lista dettagliata si veda il seguente link http://www.vizicapitali.org/).
Banca Etica è anche Popolare perché segue la logica di “una testa, un voto” e pertanto non ammette che ci siano proprietari o azionisti di maggioranza. Ha scelto però di essere “banca” per poter figurare tra i soci dell’ABI e provare a fare pressioni affinché gli altri istituti si uniformino a criteri maggiormente rispettosi dell’ambiente e dei risparmiatori. Il primo principio della finanza etica è dunque la trasparenza, che implica che le attività finanziarie siano pubbliche e che non vengano accettati soldi di dubbia provenienza (es: i soldi rientrati in Italia grazie allo scudo fiscale del 2009). Caldeggia inoltre la partecipazione attiva dei soci, attraverso un dibattito sui territori, e la sobrietà, per la quale non può esserci una forbice eccessivamente disparitaria tra gli stipendi dei dirigenti e quelli dei dipendenti. Segue, inoltre, la logica di accesso al credito, che considera un diritto umano e che prescinde dalle garanzie, dato che l’unica condizione di erogabilità di un prestito è la sua destinazione al soddisfacimento di bisogni primari (prima casa, istruzione, sanità). Ma il suo fiore all’occhiello è l’attenzione alle conseguenze non economiche di azioni economiche: se un progetto non risponde a criteri di eticità non riceve i finanziamenti. Un circolo arci che chiedesse dei soldi ma che avesse al proprio interno un videopoker – afferma Ghetti – si vedrebbe negare il prestito. A prima vista ossimorica quanto “decrescita felice”, Banca Etica in dieci anni di attività ha dimostrato che può esistere un modo di fare finanza maggiormente rispettoso dell’ambiente e dell’uomo e che tenga conto di tutto il ciclo del denaro.
Chi volesse approfondire può rivolgersi a Gruppo Decrescita Brescia (facebook) o mandare una mail a info.decrescita@gmail.com.