Il Cavaliere insistente
agosto 2, 2013 in Approfondimenti da Sonia Trovato
Cavaliere inesistente? Con buona pace di Calvino, Silvio Berlusconi resta, per il momento, un insistente. Nonostante la condanna definitiva, l’imminente interdizione dai pubblici uffici (che porta con sé la conseguenza, irrisoria ma significativa sul piano simbolico, della privazione del titolo di Cavaliere del lavoro) e gli altri sei procedimenti in corso, l’ex Premier prova a rimanere in sella, tirando fuori da una stalla polverosa e sguarnita lo sbilenco e malandato ronzino di Forza Italia, ormai dato per morto dopo la nascita del PDL.
Se non si badasse alla voce rotta, ai chili di troppo e all’affanno, il videomessaggio di ieri sembrerebbe un remake della celeberrima e infausta discesa in campo, remake in cui al temibile pericolo rosso è stato sostituito il potere giudiziario, per il quale B. fingeva di tifare quando, nel ’94, l’inchiesta Mani Pulite lo convinse (o lo costrinse) ad occuparsi della cosa pubblica e riempire il vuoto lasciato dalla fuga dell’amico Bettino e dall’affondo della Balena bianca. I suoi gazzettini sono, com’era prevedibile, già passati al contrattacco, sfoderando l’artiglieria pesante: di “sentenza vile e cazzona” parla il Foglio di Giuliano Ferrara; “senza parole” era invece ieri la redazione del Giornale, che oggi ha ritrovato la favella affidando ai due mastini più fidati – Sallusti e Feltri – il compito di raffinate e imparziali disquisizioni; “Risorgerò” è invece il sobrio titolo di Libero, che raffigura il patron della Fininvest come un novello Gesù Cristo, con muscolatura da Bronzo di Riace e aureola scintillante. Denominatore comune è la (per ora) pacata richiesta al Capo dello Stato affinché, con la scusa della stabilità del Paese, conceda la grazia al quasi ottantenne. Visto che la Cassazione ha rimandato alla Corte d’Appello milanese la decisione sulla pena accessoria, la macchina da guerra forzista avrà ancora qualche mese per continuare il pressing su Napolitano e sull’opinione pubblica.
E allora che ci sarà da festeggiare, dicono i disincantati? Berlusconi va sconfitto alle urne, non nei tribunali, asseriscono da vent’anni i più politically correct, ai quali si è recentemente unito anche il cantante Francesco De Gregori. Per rispondere ai primi chiariamo subito che nessuna persona di buon senso pensa di essere di fronte a un nuovo 25 Aprile, sappiamo bene che trent’anni di tv e informazione spazzatura, di machismo strisciante, di manganelli facili e razzismo dilagante non si cancellano con una sentenza. Ci sia concessa, però, almeno una piccola e timida esultanza nel constatare che per una volta la giustizia non funziona solo per i soliti sfigati, per i poveracci che non possono permettersi avvocati con parcelle da capogiro e poltrone in Parlamento.
Certo, l’imprenditore non metterà mai piede in una cella sovraffollata e maleodorante, non rischierà mai di essere massacrato di botte come Stefano Cucchi e, se non dovesse fare richiesta di lavori socialmente utili, potrà scontare i domiciliari spaparanzato in qualche villa paradisiaca della Costa Smeralda o della Brianza. Ma l’idea di togliergli l’alibi del una persona è innocente fino al terzo grado giudizio o il ghigno da onnipotente impunito, lo stesso che portò Don Rodrigo a non prendere nessuna precauzione contro la pestilenza, abituato com’era a farla sempre franca, ci pare già un motivo di contenuto gaudio. Anche i quattro gatti che attendevano il verdetto in Piazza Cavour e che, alle prime parole uscite dalla Camera di Consiglio riguardanti il rinvio della questione dell’interdizione in altra sede, esultavano con tifo da stadio hanno dovuto riporre bandieroni e trombette e prendere atto che, almeno stavolta, il vento è cambiato. C’è di buono, inoltre, che la condanna potrebbe dare coraggio ai (pochi) dissidenti del PD e ai (pochi) elettori che non hanno ceduto al ricatto, proclamato a reti unificate, secondo cui non esistono alternative a questo governo. C’è di buono che questi potrebbero iniziare a giudicare inappropriato che un condannato per frode fiscale possa dettare condizioni a un Premier che ha recentemente dichiarato guerra aperta ai paradisi fiscali e all’evasione o, ancora, che il suo vice sia lo stesso Alfano che diede il nome a un Lodo, poi bocciato dalla Corte Costituzionale, che tentò di rendere istituzionale la prepotente impunità del suo Capo. Se si andasse alle elezioni anticipate, facendo tacere per sempre i moniti minacciosi di Re Giorgio, Berlusconi non potrebbe più presentarsi, per effetto della Riforma Severino-Monti che prevede l’incandidabilità di chi è stato condannato a una pena superiore ai due anni.
Sull’idea che l’ometto vada battuto politicamente, a parte l’ovvia considerazione per la quale esiste l’obbligatorietà dell’azione penale ed è impensabile che la Magistratura attenda il suo ritiro a vita privata prima di rinviarlo a giudizio, ci appelleremo all’evidenza. B. non sarebbe, politicamente, quello che è se non avesse potuto disporre di una fortuna accumulata illecitamente. Senza Mediaset, i suoi scribacchini della carta stampata, il Milan o la corruzione di senatori difficilmente avrebbe amministrato il Paese per un ventennio, con l’aiuto di un’opposizione parlamentare blanda e compiacente. Se si considerano, poi, le leggi ad personam, l’utilizzo di presunti impegni istituzionali per disertare le sedute in Tribunale (ultimo è l’imbarazzante travestimento da cieca di Sorrento), le continue minacce di voto di sfiducia all’esecutivo in caso di condanna, la faccia funeraria che il segretario del PD ha sfoderato ieri non si può non capire come le vicende giudiziarie di quest’uomo ci riguardino direttamente, essendo presupposto, e non conseguenza, della discesa in campo (la prima condanna di Berlusconi, poi amnistiata, è infatti del 1990).
È questa l’Italia che amiamo? È questa l’Italia che vogliamo? chiedeva ieri, mestamente, alle telecamere il piazzista di Arcore. Non ci accontentiamo di così poco, caro Silvio, ma un’Italia che ti vede pensionato pregiudicato con obbligo di dimora ci sembra un tantinello più attraente e giusta di quella che ti contempla come statista moderato e riformatore della Costituzione. Se poi volessi ostinarti, con la tua Armata Brancaleone, a cavalcare il malconcio ronzino tirato a lucido con l’apporto di un 2.0, ci opporemo come abbiamo fatto finora, a costo di passare per giustizialisti, poveri comunisti, invidiosi, illiberali, tanto per citare un breve campionario dei nomignoli affettuosi che hai riservato, negli anni, a qualsiasi persona osasse contraddirti.