I quadri dimenticati del Seicento e del Settecento bresciano. Un catalogo necessario ad una pinacoteca necessaria.

gennaio 23, 2013 in Arte e mostre da admin

Mina Gregori, una delle più illustri studiose d’arte dei nostri tempi, ha definito il nuovo catalogo della Pinacoteca Tosio Martinengo – limitato alle opere del Sei e Settecento – uno dei migliori volumi editi negli ultimi anni.

Pinacoteca-Tosio-Martinengo-ItinerariBrescia

I cataloghi scientifici dei musei italiani seguono, generalmente, il principio secondo il quale le collezioni di un museo si raggruppano per area geografica (pittura veneta, lombarda, emiliana, etc…); all’interno di ogni area, si succedono le schede dei dipinti ordinate alfabeticamente, per autore.
Il catalogo della pinacoteca bresciana si conforma, in linea di principio, a questo modello; con una variante molto significativa, che ha suscitato perplessità in non pochi addetti al settore. I curatori – Elena Lucchesi Ragni e Marco Bona Castellotti – hanno tentato, nella prima sezione del volume, legata alla pittura bresciana, di accennare ad un criterio storico artistico che andasse oltre la consueta prassi catalogica: raggruppare sotto la “Pittura a Brescia” tutti i dipinti di artisti non necessariamente bresciani, che hanno lasciato in città opere di grande importanza. Sotto la pittura bresciana, per esempio, figura anche il veneziano Palma il Giovane; l’artista non è bresciano, ma le sue opere in città hanno costituito la base per buona parte della pittura del Seicento. Palma diventa parte integrante dell’arte locale; diventa “bresciano”. Opere che a Venezia si sarebbero disperse nella marea della pittura manieristica, nella Lombardia orientale sono diventate materia su cui lavorare per creare nuove strade, da parte dei pittori che volevano svincolarsi dai modelli cinquecenteschi, ancora moretteschi.
La questione, che può sembrare capziosa ai non addetti ai lavori, si rivela di grande importanza quando si tratta di giudicare l’ampiezza dello sguardo di un volume e la prospettiva che lo ha generato. Sfogliare la prima sezione del volume – bella impaginazione, classica e chiara – è fare un excursus sull’intera storia della pittura bresciana. Un criterio analogo non è stato applicato ai dipinti delle altre scuole italiane e straniere; questa discrepanza è ampiamente giustificabile per il fatto che la pinacoteca di Brescia non è sufficientemente rappresentativa di tutte le altre realtà locali e, quindi, sarebbe stato ridicolo tentare una storia della pittura marchigiana o napoletana nel seno delle collezioni comunali.
La novità sin qui rilevata non è sconvolgente; non rivoluziona il modo di fare cataloghi; tuttavia, tenta un discorso diverso in un settore in cui pochissimo spazio è concesso alle varianti sul tema.
L’ironia della sorte è che, accanto alla scelta di pubblicare le opere meno note della pinacoteca bresciana, rivalutando un periodo tutt’altro che morto per l’arte locale, manca una pinacoteca in cui esporle.  Si resta sorpresi del fatto che, nel progetto del nuovo allestimento di palazzo Martinengo da Barco, presentato all’uscita del catalogo, nessuna sala venga riservata ai secoli di Palma il Giovane, di Francesco Paglia con i suoi figli, di Pietro Scalvini e di Andrea Celesti. Pitocchetto a parte.

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